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La norma contro la tortura

Paragrafo 3- Il reato di tortura e l’ordinamento italiano

21 L’art 13 della Costituzione italiana recita: “La libertà personale è

inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

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degradanti, che vige per la Repubblica italiana dall'11 febbraio 1989, dopo il deposito dello strumento di ratifica del 12 gennaio del medesimo anno, ha come obiettivo la previsione di una norma ad hoc contro tale crimine, all’interno di tutti gli Stati firmatari.

Tanto è vero che la legge di autorizzazione del 3 novembre 1988 conteneva l'ordine di esecuzione d'uso per le norme della Convenzione, così direttamente introdotte nell'ordinamento italiano.

Tale ordine di esecuzione prevedeva l'obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura fosse previsto come reato.

Inoltre, il secondo paragrafo dell'art.4 della medesima Convenzione prevede l'obbligo per ogni Stato parte di stabilire senz'altro per il reato stesso delle pene adeguate in

considerazione della sua gravità. Non v'è, però, tuttora traccia nel diritto penale italiano, di

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Ad oggi è però presente un disegno di legge previsto dall’ Atto

della Camera 2168-A22, che introduce il delitto di tortura nell'ordinamento italiano (“Introduzione del delitto di tortura

nell'ordinamento italiano"). Il testo è arrivato in commissione Giustizia del Senato il 22

luglio 2013 ed è stato votato dall'Assemblea di Palazzo Madama

il 5 marzo 2014. Dopo il voto dell’Assemblea, il testo di legge è arrivato alla

Camera, dove è rimasto in commissione dal 6 maggio 2014 fino

al marzo 2016. Nella seduta dell’Assemblea numero 660 del 14 luglio 2016, la

maggior parte degli emendamenti presentati è stata respinta

dalla maggioranza dei votanti. Il Senato ha quindi deciso di sospendere la discussione del ddl

fino a data da destinarsi. La sospensione arrivata da Palazzo Madama ha visto il favore

degli oppositori al disegno di legge.

22 Proposta di legge: S. 10-362-388-395-849-874. - Senatori Manconi ed altri;

senatori Casson ed altri; senatore Barani; senatori De Petris e De Cristoforo; senatori Buccarella ed altri; senatore Torrisi: "Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano" (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (2168).

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Il testo è stato infatti rinviato alle commissioni grazie all’opposizione di Forza Italia, Lega nord, Nuovo centro destra e Conservatori riformisti: la proposta di legge non prevede per la contestazione del reato né le reiterate violenze, né il dolo intenzionale, legando così “le mani” alle forze dell’ordine che, secondo Alfano si troverebbero esposte a “denunce strumentali

da parte dei professionisti del disordine e dei criminali incalliti”. Durante i lavori sono intervenuti, inoltre, singoli cittadini con

richieste di petizioni e organizzazioni quali Amnesty

International.23 Con il testo proposto dalla Commissione giustizia si

introdurrebbero nel codice penale gli articoli 613-bis, che disciplina il delitto di tortura, e 613-ter, che incrimina la condotta del pubblico ufficiale che istiga altri alla commissione

del fatto. Secondo l’articolo 1 «chiunque, con violenza o minaccia ovvero con

violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo,

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informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose, è

punito con la reclusione da quattro a dieci anni». Sono previste anche delle aggravanti: se a commettere il fatto è

un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio «con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, si applica la pena della reclusione da cinque a dodici anni», ma solo se la sofferenza inflitta è «ulteriore» rispetto «all’esecuzione delle legittime misure privative o limitative dei diritti». Se dal fatto deriva una lesione personale le pene sono aumentate di un terzo se la «lesione personale è grave»; della metà «in caso di lesione personale gravissima». Se dal fatto deriva la morte «quale conseguenza non voluta», la pena è la reclusione a trent’anni. Se la morte è causata da un atto volontario, la pena è

l’ergastolo. Si è optato per l'introduzione di un reato comune, connotato da

dolo generico, con un catalogo di circostanze aggravanti: un esempio è rappresentato dal reato commesso da un pubblico ufficiale e che dalla condotta derivino gravi conseguenze

(lesioni personali o morte).

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commettere tortura: si prevede che se un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio istiga un collega, la pena è stabilita con la reclusione da sei mesi a tre anni e questo indipendentemente dal fatto che il reato di tortura venga poi

effettivamente commesso. Inoltre, le dichiarazioni ottenute attraverso il delitto di tortura

non sono utilizzabili in un processo penale. I termini di prescrizione, infine, per il delitto di tortura sono

raddoppiati. Si stabilisce anche che «in nessun caso può disporsi l’espulsione o il

respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o oggetto di tortura, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione o dalla tortura

ovvero da violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani». Non può essere riconosciuta l’immunità diplomatica «ai

cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per

il reato di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale».

In assenza di una norma ad hoc, Zagrebelsky24fa notare come

24 Vladimiro Zagrebelsky, estratto da un articolo su La Stampa del luglio

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il dibattito sulla mancanza in Italia di una norma che vieti la tortura abbia preso origine dalla sentenza della Cassazione in

merito al caso Diaz25 (Sentenza 38085/12). Nella sentenza la Cassazione aveva parlato di «tradimento della

fedeltà ai doveri assunti nei confronti della comunità civile» e di «enormità dei fatti che hanno portato discredito sulla Nazione agli

occhi del mondo intero». Prosegue Zagrebelsky,

“I fatti sono noti. Per giustificare l’irruzione nella scuola vennero portate al suo interno delle bottiglie molotov per attribuirne il possesso ai manifestanti che vi si erano raccolti e che poi, tutti insieme, furono arrestati. E’ noto anche che costoro furono minacciati ed umiliati dalle forze di polizia, violentemente colpiti, feriti anche gravemente. Decine di persone, molte straniere, furono ferite, due furono in pericolo di vita. Le imputazioni hanno riguardato la calunnia nei confronti degli