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Il problema della definizione di tortura, trattamenti inumani e trattamenti degradant

La norma contro la tortura

Paragrafo 1- Il problema della definizione di tortura, trattamenti inumani e trattamenti degradant

Come accennato in precedenza, la tortura è un metodo di coercizione fisica o psicologica imposta al fine di punire o di estorcere delle informazioni o delle confessioni; molte volte è accompagnata dall'uso di strumenti particolari, che hanno lo

scopo di infliggere punizioni corporali. La tortura lede quei diritti imprescindibili di ogni individuo che

vanno a costituire la categoria dei diritti umani. Le definizioni date dagli studiosi sono varie e guardano ad

aspetti diversi dello stesso fenomeno. Per Henkin i diritti umani sono “quelle libertà, immunità e benefici

che, secondo i valori contemporanei accettati, tutti gli esseri umani dovrebbero essere capaci di pretendere, come diritti veri e propri, dalla

società in cui essi vivono”;15

15 Henkin, L., Human Rights, in Enc. Publ. Int. Law, 2, Amsterdam, 1995,pag.

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Zanghì li vede come “diritti fondamentali ed essenziali della persona che sono, quindi, imprescrittibili, inalienabili, irrinunciabili ed

universali”.16 Per Focarelli possono costituire, inoltre, “un livello minimo

invalicabile per ogni essere umano che il diritto deve proteggere a

qualsiasi costo”.17

Si potrebbe anche andare a ricercare una nozione dell’istituto affrontando diverse considerazioni: per esempio, in senso letterale, si potrebbe parlare di torsione del corpo umano, con riferimento al tormento corporale che si infliggeva nel Medioevo all'imputato, affinché confessasse così un delitto o rivelasse il nome dei complici, e anche, ma meno

frequentemente, ai testimoni per farli parlare. Oppure si potrebbe fare riferimento alle sofferenze di qualsiasi

tipo e alle violenze, fisiche o psicologiche o, magari, ancora, farmacologiche, inflitte a spie o prigionieri per ottenere informazioni di interesse giudiziario o militare; infine, e quindi

16 Zanghì, C., La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, II ed., Torino,

2006,pag. 5.

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per estensione, si può pensare ad ogni forma di costrizione fisica o morale ai danni di qualcuno al fine di estorcergli qualche cosa o per pura crudeltà.

Vale la pena ricordare, come accennato precedentemente, che fra tutti gli strumenti internazionali vincolanti che si occupano di questa materia, solo la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 e la Convenzione inter-americana per prevenire e punire la tortura si preoccupano di fornire una nozione autonoma del

concetto di tortura. Si legge all’ articolo 1 del primo strumento menzionato:

“For the purposes of this Convention, torture means any act by which severe pain or suffering, whether physical or mental, is intentionally inflicted on a person for such purposes as obtaining from him or a third person information or a confession, punishing him for an act he or a third person has committed or is suspected of having committed, or intimidating or coercing him or a third person, or for any reason based on discrimination of any kind, when such pain or suffering is inflicted by or at the instigation of or with the consent or acquiescence of a public official or other person acting in an official capacity. It does not include pain or suffering arising only from, inherent in or incidental to lawful sanctions.”

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Questo strumento di coercizione si articola in tre fasi che seguono una scala crescente di intensità:

1. Il trattamento degradante;

2. Il trattamento inumano;

3. La tortura.

Come è noto, anche il sistema penale italiano utilizza delle ‘scale di gravità’ al fine di individuare statisticamente la criminalità del reo, la quale può essere classificata in:

1. Bassa;

2. Media;

3. Alta;

4. Totale.

Tale previsione di pericolosità consente di inquadrare il comportamento per adeguare, così, la risposta punitiva.

La giurisprudenza internazionale ha comunque tenuto distinte, in chiave generale, le tre fasi di sviluppo prevedendo, in ogni caso, una sorta di vulnus al principio fondamentale del rispetto della dignità umana: a parere della Corte europea, (parere che si è sviluppato seguendo un percorso interpretativo della corte di Strasburgo) infatti, necessariamente una condotta che integra

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il crimine di tortura contiene in sé tutti gli elementi del trattamento inumano oltre, chiaramente, un elemento in più che sia idoneo ad elevare la violazione al grado superiore di tortura: così anche ogni trattamento inumano contiene in sé gli elementi del trattamento degradante, e, al contrario, la configurazione di un trattamento degradante non è detto che abbia in sé tutti gli

elementi necessari ad integrare un trattamento inumano. La Corte Europea ha previsto, pertanto, il parametro della

cosiddetta soglia minima di gravità per consentire l’applicazione

dell’art. 3 della Convenzione.18 Il criterio della soglia minima di gravità elaborato dalla Corte

europea non solo individua e circoscrive il focus applicativo dell’art.3 della Convenzione, ma rileva anche ai fini della distinzione nell’ambito delle tre condotte illecite contemplate dal medesimo articolo:

18 Nel ricorso n. 9870/04, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ricordato

che un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità ai fini dell'applicabilità dell'articolo 3 della Convenzione. Per valutare tale minimo di gravità è necessario prendere in considerazione alcuni dati tra i quali: la durata del trattamento, i suoi effetti psichici e mentali nonché, a volte, il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima.

Nella sentenza sul caso Idalov v. Russia (5826/03), la Corte ha ribadito come ogni atto di tortura sia anche allo stesso tempo un trattamento disumano e degradante.

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• Trattamento degradante come soglia minima; • Trattamento inumano come soglia intermedia; • Tortura come soglia superiore.

Le tre soglie di gravità non sono previste da un riferimento normativo fisso, ma hanno un carattere mobile, da valutare perciò caso per caso. Per "degradante" la Corte intende un trattamento che sia in grado di causare nella vittima paura, angoscia e umiliazione e portarla

così ad agire contro la propria volontà e coscienza. Così il Fornari si esprime in merito:

"Una volta stabilito che un determinato trattamento supera la soglia minima di sofferenza, il grado di intensità costituirà il criterio per distinguere un trattamento inumano o degradante da un atto di

tortura". E ancora:

“...nella giurisprudenza della Corte, la tortura non risulta essere una fattispecie autonoma, ma viene definita in relazione alle altre due categorie di reato. In particolare, la tortura è un trattamento disumano

o degradante che causa sofferenze più intense". Si potrebbe, allora, concludere come ogni atto di tortura sia

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degradante.19 L’analisi della definizione ha preso origine da due casi in

particolare: il caso Irlanda c. Regno Unito (no. 5310/71, ECHR ,18 Gennaio 1978) ed il caso Greco (n. 3321/67, 3322/67,

3323/67 e 3344/67, 1969). Grazie a queste due sentenze la Corte ha individuato il criterio

della soglia minima di gravita, o threshold of severit utilizzato per distinguere le categorie di trattamento.

19 Matteo Nicola Fornari “L'art. 3 della Convenzione europea sui diritti umani”,

in AA.VV. La tutela internazionale dei diritti umani, a cura di L. Pineschi, Giuffrè, Milano, 2006, p. 353.

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