Illeciti e responsabilità
Paragrafo 3- Ipotesi di responsabilità dell’Egitto: i presupposti dell’illecito
Come abbiamo visto, l’elemento oggettivo di un illecito internazionale è costituito dalla violazione di una norma di diritto internazionale, quindi nel caso che qui interessa, si tratta di valutare la violazione, posta in essere dall’Egitto, di norme a tutela della persona umana ed, in primo luogo, delle norme che
vietano la tortura. L’Egitto ha ratificato diverse convenzioni e accordi in tema di
diritti umani che vietano la tortura, nonché la Convenzione ONU sul divieto di tortura.
Per quanto riguarda il divieto di tortura possiamo ricordare, in particolare, l’articolo 5 della Carta Africana, l’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l’articolo 4 della Carta araba.
L’articolo 5 del primo strumento menzionato recita:
“Ogni individuo ha diritto al rispetto della dignità inerente alla persona umana e al riconoscimento della sua personalità giuridica. Qualsiasi forma di sfruttamento e di svilimento dell'uomo, specialmente la schiavitù, la tratta delle persone, la tortura fisica o morale, e le pene o i trattamenti crudeli, inumani o degradanti sono interdetti.”
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All’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici si legge:
“Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico.”
Infine, l’articolo 4 della Carta araba afferma:
“In situazioni eccezionali di emergenza che minacciano la vita della nazione e la cui esistenza sia stata proclamata ufficialmente, gli Stati Parti alla presente Carta possono assumere misure che derogano alle obbligazioni da essi assunti con la presente Carta, nella misura strettamente richiesta dalla situazione, a condizione che tali misure non siano incompatibili con altri obblighi secondo il diritto internazionale e non comportino discriminazioni basate esclusivamente su razza, sesso, lingua, religione o origine sociale.” Per quanto riguarda invece la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984, l’articolo 10, primo comma, recita:
“Ogni Stato Parte vigila affinché l'insegnamento e l'informazione relativi all'interdizione della tortura, siano parte integrante della formazione del personale civile o militare incaricato dell'applicazione delle leggi, del personale medico, degli agenti della funzione pubblica e di altre persone che possono intervenire nel corso della custodia,
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dell'interrogatorio o del trattamento di ogni individuo arrestato,
detenuto o imprigionato in qualsiasi maniera.” L’articolo 11 del medesimo strumento recita inoltre:
“Ogni Stato Parte esercita una sistematica sorveglianza su regolamenti, istruzioni, metodi e pratiche di interrogatorio e sulle disposizioni relative alla custodia ed al trattamento delle persone arrestate, detenute o imprigionate in qualsiasi maniera, su qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione, al fine di evitare ogni caso di tortura.”
Infine, nell’articolo 13 si legge:
“Ogni Stato Parte garantisce ad ogni persona che pretende essere stata sottoposta alla tortura su qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione, il diritto di sporgere denuncia davanti alle autorità competenti di detto Stato, che procederanno immediatamente ed imparzialmente all'esame della sua causa. Saranno presi provvedimenti per assicurare la protezione dell'attore e dei testimoni contro qualsiasi maltrattamento o intimidazione a causa della denuncia inoltrata o di qualsiasi deposizione resa.”
L’Egitto, seppure parte contraente della Convenzione, non ha aderito alla clausola per cui ogni stato firmatario può lamentare una violazione della stessa, chiedendo inoltre l‘istituzione di un
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E’ opportuno ricordare l’articolo 3 della Convenzione contro la tortura, che richiede che gli Stati membri adottino misure volte a garantire che gli individui, soggetti alla loro giurisdizione, non siano sottoposti ad atti di tortura o a trattamenti disumani
o degradanti.37 Si prevede infatti l’obbligo degli Stati di adottare ed applicare
leggi ad hoc: qualora tale obbligo non venisse rispettato, lo Stato incorrerebbe in una violazione del diritto internazionale per condotta omissiva.
La Carta africana prevede un obbligo da parte degli Stati di protezione degli individui nei confronti di atti di tortura
commessi sia da organi statali che da attori non statali. Le disposizioni di questi strumenti internazionali pongono
quindi una serie di obblighi di punizione e repressione dell’atto di tortura che, cercheremo di applicare, in ipotesi, al caso Regeni. Stabilito che se fosse provato che all’Egitto è imputabile l’atto di tortura e uccisione di Giulio Regeni, tale Stato sarebbe
responsabile nei confronti dell’Italia.
37 Vedi H.L.R. v France, no. 24573/94, Rep. 1997-III, judgement of 29 April
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Al momento, a livello giuridico internazionale, non esiste una
controversia tra i due Paesi.
La violazione dell’obbligo internazionale da parte dell’Egitto può essere visto anche dal punto di vista della condotta
omissiva. In primis, nel codice penale egiziano non esiste una norma
contro la tortura, inoltre, stando ai fatti, si prospetterebbe a carico dell’Egitto un mancato rispetto dell’obbligo di indagine,
così come, a priori, dell’obbligo di protezione dei cittadini. Secondo il rapporto dello ‘Special Rapporteur on torture and other
cruel, inhuman or degrading treatment or punishment’ dello Human Rights Council, si legge:
“The Rapporteur finds that the Government, in its reply, does not sufficiently address the concerns, legal obligations, and questions raised in the initial communication, which prompts him to infer that the Government fails to fully and expeditiously cooperate with the mandate issued by the Human Rights Council in its resolution 25/13, as well as to comply with its obligation, under international customary law, to investigate, prosecute and punish all acts of torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, as codified, inter alia, in the Convention against Torture (CAT)”.
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(Case No. EGY 7/2014). Come anticipato, sia Amnesty International che lo Human
Rights Watch hanno più volte denunciato le violazioni dei
diritti umani in Egitto, come lo dimostrano proprio i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty (citati nel paragrafo
precedente). Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, si dovrebbe provare
che atti di tortura sono stati commessi da individui le cui attività sono attribuibili allo Stato egiziano, secondo le regole
sull’attribuzione esaminate in precedenza. Se il fatto fosse stato commesso da un organo de iure dello Stato,
la condotta sarebbe sempre imputabile allo Stato, anche
nell’ipotesi di atti commessi ultra vires. Se, al contrario, l’atto fosse stato commesso da un organo de
facto, la condotta sarebbe imputabile allo Stato nella misura in cui si riscontrasse un effettivo e diretto controllo dello Stato
nella realizzazione della condotta. Se, infine, l’atto fosse stato realizzato ad opera di privati
cittadini egiziani, l’imputabilità allo Stato risulterebbe nel momento in cui si individuasse un controllo dello stesso nella realizzazione della condotta; se invece tale legame non sussistesse, lo Stato egiziano potrebbe comunque risultare
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responsabile per la mancata azione degli obblighi di
prevenzione e sicurezza delineati sopra. Seri dubbi possono essere avanzati in merito al comportamento
dello Stato egiziano in relazione agli atti di tortura che si
sospetta siano stati posti in essere da organi dei servizi segreti. In mancanza di prove a tale riguardo, si porrebbe
probabilmente, comunque, un’ipotesi di responsabilità conseguente alla violazione dell’obbligo di protezione e, successivamente, di mancata attivazione degli strumenti di
indagine, richiesti dalle norme del diritto internazionale. Poiché stiamo comunque ipotizzando una violazione del
divieto di tortura posta in essere dallo Stato egiziano, ci si deve ora interrogare sulle conseguenze derivanti dalla commissione
di questo illecito. Possiamo ipotizzare le conseguenze.
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