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La norma contro la tortura

Paragrafo 2- Gli elementi costitut

A primo impatto, quindi, la tortura appare un trattamento inumano molto grave che viene inflitto con l’intenzione di

raggiungere un obiettivo. Va, però, notato che non esistendo una definizione univoca del

termine o, meglio, esistendone molteplici a seconda del documento internazionale cui si fa riferimento,

l’interpretazione del trattamento può variare. Come detto a conclusione del paragrafo precedente, è stata

individuata la soglia minima di gravità del dolore al fine di catalogare tali atti: è innegabile, però, che non possa essere fatta una distinzione basandosi esclusivamente su di una misura

approssimativa statica. È necessario ricorrere all’analisi della struttura del reato per

individuarne gli elementi costitutivi. Gli elementi che devono essere individuati sono due: l’elemento

oggettivo e l’elemento soggettivo. L’elemento oggettivo del reato di tortura può essere costituito secondo il già citato articolo 1 par.1 della Convenzione Onu contro la tortura del 1984 da:

“…severe pain or suffering, whether physical or mental, is intentionally inflicted on a person for such purposes as obtaining from

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him or a third person information or a confession, punishing him for an act he or a third person has committed or is suspected of having committed, or intimidating or coercing him or a third person, or for any reason based on discrimination of any kind, when such pain or suffering is inflicted by or at the instigation of or with the consent or acquiescence of a public official or other person acting in an official capacity. It does not include pain or suffering arising only from,

inherent in or incidental to lawful sanctions.” L’elemento soggettivo, invece, è costituito dall’atteggiamento

psicologico del soggetto agente richiesto dall’Ordinamento per la commissione di un reato: tale elemento, (richiamato anche dall’art. 27 della Costituzione italiana) può assumere solo ed ovviamente la forma del dolo ed è considerato criterio

principale per la commisurazione della pena. Quest’ultimo elemento richiede che il soggetto ottenga dalla

persona sottoposta a tortura o da una terza persona, delle informazioni, una confessione, oppure la volontà di infliggere una punizione per comportamenti che egli o una terza persona ha commesso o è sospettato di aver commesso, di intimidirlo o fare pressioni su di lui o su una terza persona, o, infine, per qualunque altro motivo fondato su di una discriminazione di

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Infliggere dolore e sofferenze, perciò, deve essere perciò

intenzionale.

Ci sono svariate sentenze cui possiamo fare riferimento.20 Nella sentenza Ilhan v Turkey, la corte Europea dei diritti umani affermò che:

“Any use of force must be no more than “absolutely necessary” for the achievement of one or more of the purposes set out in sub-paragraphs (a) to (c).”

Nella sentenza Salman v Turkey si condanna la violazione dell’articolo 5 (Diritto alla libertà e alla sicurezza) in seguito ad

un’istanza del Tribunale penale di Ardahan. Nel caso Bati e altri v Turkey, la denuncia dei tredici ricorrenti

di maltrattamenti subiti dalla polizia turca fu avvalorata nella sentenza della Corte, la quale affermo:

“In that connection, the Court notes at the outset that the Istanbul Assize Court classified the treatment to which Bülent Gedik and Devrim Öktem were subjected as torture, in view of the severity of the acts in question and the fact that the treatment was intentionally inflicted on themby State agents acting in the course of their duties in

20 Vedi Ilhan v Turkey, no. 22277/93, ECHR, 27 Giugno 2000, §85.

Salman v Turkey, no. 21986/93, ECHR, 27 Giugno 2000. Bati e altri v Turkey, no. 57834/00, ECHR, 3 Giugno 2004.

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order to extract confessions or obtain information from them on offences they were alleged to have committed”.

La giurisprudenza, sia europea che internazionale, ha quindi affrontato molteplici casi nei quali si è trovata a condannare organismi statali per aver posto in essere atti annoverabili nelle

suddette categorie, nei confronti di singoli cittadini. Nel caso Al-Saadoon e Mufdhi vs. Regno Unito

(61498/08,03/07/2009) la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il governo del Regno Unito, nel rimpatriare nel proprio Stato di appartenenza i due cittadini Faisal Al Saadoon e Khalaf Mufdhi, consapevole della condanna alla pena capitale che avrebbero qui scontato, ha di fatto violato l’Articolo 3. Afferma la Corte:

“The deliberate and premeditated destruction of a human being by the state authorities, causing physical and psychological suffering intense pain for the fact of knowing in advance the date of his death, can be considered as inhuman and degrading, and contrary to Article 3”. La Corte interamericana dei diritti umani, relativamente al problema postosi nel rapporto tra pena di morte e tutela dei diritti umani, si è basata sull’Articolo 4 della Convenzione americana e sull’Articolo 5, i quali recitano rispettivamente:

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“Everyone has the right to respect for his integrity, physical, mental and moral.”

“No one shall be subjected to torture or cruel treatment or punishment, inhuman or degrading. All persons deprived of their liberty must be treated with respect for the inherent dignity of the human being”.

Sono posti in capo agli Stati tutta una serie di obblighi, primo

fra tutti quello di prevenzione. Nel caso A c. Regno Unito (no. 25599/94, 23 Settembre 1998), si

afferma che:

“The obligations on High Contracting Parties under Article 1 of the Convention to secure to everyone within their jurisdiction the rights and freedoms defined in the Convention, taken together with Article 3, requires States to take measures designed to ensure that individuals within their jurisdiction are not subjected to torture or inhuman or degrading treatment or punishment, including such ill-treatment

administered by private individuals.” La Convenzione contro la tortura specifica inoltre che per

qualificare un comportamento come inumano o degradante o per farlo rientrare nella tortura, l’atto deve essere posto in essere con il consenso di un pubblico ufficiale: si aprirebbe qui il

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problema degli atti compiuti da un organo de iure o da un

organo de facto. Viene da chiedersi fino a che punto lo Stato sia responsabile per

l’attività di tali organi. Generalmente, lo Stato è sempre responsabile, e lo diventa

ulteriormente per gli atti di tortura posti in essere da privati, qualora, a monte, abbia fallito nel prevedere una norma e degli

strumenti di repressione adeguati. Nel caso El-Masri contro The former Yugoslav Republic of

Macedonia (Application no. 39630/09), Khaled El-Masri, un cittadino tedesco di origini libanesi, venne arrestato al confine

con la Macedonia a bordo di un autobus. In seguito all’arresto, viene interrogato per 23 giorni da

probabili agenti inglesi della CIA, per un’accusa di terrorismo. Gli agenti che hanno proceduto all’interrogatorio lo

sottopongono a violenze, anche sessuali, prima di metterlo a bordo di un aereo e di trasportarlo in una destinazione

sconosciuta dove viene rinchiuso in una cella. La Corte Europea dei diritti dell’uomo condanna gli agenti sia

per la reiterata violazione dell’articolo 3, sia per gli atti di

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Lo Stato fallisce proprio nel non aver previsto misure adeguate. L’obbligo di provvedere è direttamente collegato ad un altro

obbligo che è quello di protezione che ogni Stato deve fornire ai

propri cittadini. Con sentenza del 20 luglio 2012, nel caso Belgio c. Senegal (ICJ

Reports 2012, pag. 422 ss., par.99), la Corte internazionale di giustizia ha accertato la responsabilità internazionale del Senegal per aver violato gli articoli 6.2, ovvero l’obbligo di attivare un’inchiesta preliminare (come spiegheremo meglio in seguito) e 7.1, cioè l’obbligo di sottoporre il caso di fronte alle autorità giudiziarie, della Convenzione contro la tortura nella vicenda relativa al caso Hissène Habré, già dittatore del Chad tra il 1982 e il 1990.

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