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nella pratica museale: riflessioni ed esemp

2.4. Arte e cecità

Il titolo ripreso in questo paragrafo aiuta senza dubbio a circoscrivere l’argo- mento e a orientare l’attenzione25. Su suggerimento di Harue Murayama – cui devo il piacere di essere qui a Tokyo a parlare con voi –, ho però pensato che forse vi è un modo più stringente per indicare il punto focale del mio interven- to. Per questo vi propongo ora un sottotitolo, che potrebbe suonare così: “co- me favorire nei ciechi la percezione dei colori”.

Non allarmatevi: non sono un mago né ho intenzione di suggerirvi strani sorti- legi. Sono viceversa una persona dotata di un forte senso della realtà; ma proprio per questo so bene quanto le cose di questo mondo possano essere penetrate in profondità e quali straordinarie risonanze interiori esse siano in grado di suscitare quando ci si sia avvicinati alla loro natura più intima. E allora, se consideriamo i co- lori come vibrazioni dell’anima associate a una forte base percettiva, non vedo per- ché non si possano valorizzare al massimo le risorse percettive, cognitive ed emo-

25 Questo paragrafo ripropone il testo di una lezione tenuta a Tokio nell’estate 2006 presso il

zionali anche dei ciechi, fino a consentire loro di cogliere e di “sentire” gli aspetti più profondi del reale, di cui i colori sono una dimensione indissolubile da tutto il resto. Come dire che se al colore non si può arrivare attraverso la percezione diret- ta delle diverse caratteristiche dei raggi luminosi, non è detto che non se ne possa penetrare almeno in parte la natura profonda percorrendo altre strade, forse meno consuete ma non per questo meno produttive.

Nei giorni scorsi ho avuto modo di considerare la cura con cui la città di Kyo- to ha predisposto strumenti utili a garantire anche ai ciechi una più autonoma mobilità per le strade del centro: semafori sonori, segnalazioni tattili a terra sui percorsi principali, indicazioni acustiche alle entrate della metropolitana, mappe visivo-tattili nelle stazioni, ecc. Una simile rete di indicazioni mirate presuppone uno studio accurato del territorio, la scelta delle informazioni ritenute più utili e la loro traduzione in forme adeguate alle specificità degli interlocutori disabili. Si tratta di un compito non facile, che ci aiuta a comprendere quali e quante opera- zioni analoghe e magari ancora più complesse è necessario compiere per andare incontro alle esigenze dei disabili visivi, sia nella vita di tutti i giorni sia in altri ambiti dell’agire umano fino a comprendere il mondo dell’arte; e in tutto questo, come sappiamo bene, anche i colori – oltre a mille altri aspetti – sono una varia- bile con cui prima o poi è impossibile non fare i conti.

Di un simile lavoro mi accingo dunque a parlare ora, non prima però di aver precisato che quando nel mio ragionamento parlerò di ciechi non mi riferirò e- sclusivamente ai ciechi assoluti e ancor meno solo ai ciechi dalla nascita. Nella re- altà di tutti i giorni si ha infatti a che fare con un universo di disabilità molto più vario, che comprende individui dotati ognuno di capacità percettive diverse da quelle di tutti gli altri, spesso nella condizione di poter sfruttare un residuo visivo maggiore o minore che agisce insieme a tutte le altre capacità sensoriali; un uni- verso peraltro anche molto ampio – molto più ampio di quanto non si pensi normalmente –, che, nelle nostre società dove la vita media tende ad essere sem- pre più lunga, comprende fra gli altri un numero crescente di anziani, spesso co- stretti nella dolorosa contraddizione fra una vista sempre più debole e una persi- stente volontà di vedere e di vivere.

Tre esempi dall’Italia

In Italia, oramai da una ventina d’anni, il grande aumento dei visitatori, se- guito ai processi di ampia diffusione della cultura soprattutto fra i più giovani, ha spinto i musei a sviluppare le attività didattiche e, specialmente in questo ambito, a tenere conto sempre di più delle diverse esigenze del pubblico. Più in particolare, data la grande importanza della vista per accedere alle collezioni, i ciechi sono stati considerati come i primi a rischiare la più totale esclusione: di conseguenza sono stati loro anche i primi a essere presi in considerazione co-

me possibili interlocutori di uno sforzo di maggiore apertura e di un accurato lavoro di adattamento.

Un altro stimolo decisivo è venuto dalla crescente sensibilità della società e delle istituzioni ai temi dell’accessibilità per i disabili. L’accessibilità alla cultura è oramai riconosciuta come un diritto fondamentale, oltre che dalle grandi organizzazioni internazionali come l’Unione Europea e le Nazioni Unite, anche da una ricca pro- duzione legislativa nazionale e regionale, peraltro in molti casi assai più avanzata di quanto non sia la realtà concreta nella quale le persone con disabilità si trovano a vivere tutti i giorni. La forte spinta all’integrazione, che – sull’onda dei movimenti di critica alla società sviluppatisi negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso – ha portato in modo piuttosto precipitoso alla chiusura delle scuole speciali e all’inserimento dei ragazzi con disabilità nelle scuole normali, ha finito infatti per creare uno iato fra dichiarazioni di principio molto progressive e una capacità di intervento sulla specificità dei singoli casi spesso ancora molto limitata.

È indiscutibile tuttavia che dal nuovo clima venutosi via via a determinare so- no nate interessanti esperienze e riflessioni, fra l’altro anche riguardo al rapporto fra cecità e arte. Questo però più nei musei che non nelle scuole. L’estrema di- spersione dei disabili nel vasto sistema scolastico italiano conseguente all’integra- zione ha infatti reso più difficile per il mondo del’istruzione concentrare atten- zione e risorse specifiche su attività innovative in quell’ambito, che non fossero episodiche e di limitata risonanza. Inoltre ha pesato la tradizionale tendenza della scuola italiana – meno accentuata solo nelle classi primarie – a sottovalutare l’importanza dell’educazione artistica. Viceversa nei musei lo spirito più libero degli operatori e la diffusa consapevolezza del carattere gratuito della fruizione artistica hanno agito in senso molto più positivo.

Fra le esperienze più interessanti realizzate sinora mi limito qui a citarne tre, per le questioni generali che esse hanno sollevato e su cui mi riprometto di ri- flettere in modo più sistematico nella seconda parte del mio intervento.

La prima è quella del Museo Omero di Ancona: esso offre ai visitatori la possibilità di toccare reperti archeologici originali (ceramiche, utensili, ecc.); copie in gesso e in scala 1:1 di sculture dall’arte egizia fino al Novecento, vere pietre miliari della cultura occidentale; opere originali di scultori contempora- nei; e infine modelli in scala di opere architettoniche anch’esse molto importan- ti per la storia italiana ed europea.

Il Museo Omero è nato come museo per ciechi e proprio per questo, in una prima fase, è stato al centro di numerose polemiche. Alcuni pensavano che una simile istituzione potesse contraddire la prospettiva della necessaria integrazio- ne dei ciechi nella società di tutti. In realtà, forse in parte anche grazie a quelle discussioni, le diffidenze iniziali sembrano essere state pienamente superate. Il museo svolge infatti diverse funzioni nel quadro di una strategia coerente e a-

perta alle idee più aggiornate. È prima di tutto un luogo altamente specializzato dove i disabili visivi possono fare esperienze altrimenti inaccessibili, come fa- miliarizzarsi con alcuni capolavori della storia dell’arte e per altri versi provare il piacere di misurarsi con opere originali: tutto questo in condizioni partico- larmente favorevoli perché studiate appositamente per loro. Si tratta inoltre di una struttura frequentata anche da un vasto pubblico di vedenti: bambini delle scuole per i quali vengono organizzate attività specifiche, studenti di storia dell’arte e molti altri visitatori richiamati da numerose iniziative sulla percezio- ne e su altro. Esso infine non pretende certo di sostituirsi ad eventuali attività rivolte da altri musei al pubblico dei disabili visivi, ma anzi funge da stimolo perché in varie realtà museali si diffonda una più vasta e mirata cultura dell’ac- cessibilità e nell’insieme del pubblico cresca la sensibilità sui temi della perce- zione – con particolare attenzione al tatto – e della disabilità.

Il secondo esempio è quello del Museo Egizio di Torino, fra i primi in Italia a permettere ai ciechi di esplorare con le mani alcune opere originali di eccezionale valore, attraverso una visita dello statuario appositamente concepita per loro.

Esso ha anche realizzato, oramai parecchi anni fa, un libro con immagini visi- bili e tattili, accompagnate da un testo registrato di guida all’esplorazione delle mani. Quando quel libro è uscito, si trattava di uno strumento particolarmente innovativo, per varie ragioni. Esso offriva ai visitatori ciechi un supporto indi- spensabile alla visita tattile in loco, che consentiva loro di prepararla con uno studio precedente e di richiamarla poi alla memoria a distanza di tempo. Inoltre quel libro era concepito per poter essere letto dal cieco in piena autonomia – grazie alle immagini tattili e al testo di guida all’esplorazione –, ma anche con- temporaneamente da ciechi e vedenti, grazie alla doppia immagine visiva e tattile. Su questo vale la pena soffermarsi un momento. Il libro sullo statuario del Museo Egizio è infatti uno dei primi esempi, non solo in Italia, di libro concepito per favorire la piena integrazione: a una prima stampa offset di immagini visibili – nel caso specifico le fotografie delle statue – è stata sovrapposta la stampa in serigrafia con inchiostro trasparente di disegni in rilievo, appositamente concepiti per essere facilmente decifrati dalle mani. In pratica la stessa immagine può esse- re letta da chi vede e da chi non vede senza che il rilievo per i ciechi crei difficol- tà ai vedenti o viceversa.

Il terzo esempio si riferisce all’esperienza del Museo Anteros (Bologna) – che peraltro lavora in collaborazione con il NISE (National Institute of Special Needs Education) di Yokosuka in Giappone –. Al Museo Anteros i ciechi possono e- splorare con le mani riproduzioni in bassorilievo di grandi opere pittoriche dell’ar- te europea. Si tratta di un interessante lavoro di sperimentazione nel campo della traduzione, di un tentativo cioè di gettare sempre nuovi ponti fra universi percet- tivi diversi: l’uno – quello dei vedenti – fortemente dominato dalla vista, l’altro –

quello dei ciechi – in cui il tatto sembra assumere una posizione primaria.

Mi limito qui a sottolineare che la traduzione impone prima di tutto un la- voro di analisi e di interpretazione dell’oggetto su cui si vuole operare, poi una scelta degli elementi ritenuti essenziali e infine uno sforzo di trasferimento in quella che non può non essere definita se non come un’altra cultura, con la sue specificità e i suoi codici, che è necessario conoscere a fondo e cui è altrettanto indispensabile sapersi adeguare per poter essere capiti dal destinatario finale. Si tratta nell’insieme di un lavoro difficile che richiede competenza, esperienza, sensibilità, creatività e disciplina.

L’esperienza della Tactile Vision di Torino

Dato sino a questo momento un primo sguardo sommario alle questioni in esame attraverso l’illustrazione di alcune esperienze significative, vorrei ora con- centrare l’attenzione sui risultati cui, insieme al gruppo costituito intorno alla Tactile Vision onlus di Torino, sono giunto dopo molti anni di lavoro impegnati nella realizzazione di strumenti intesi a favorire la comunicazione con i disabili visivi. Quella che proporrò di seguito è una prima sintesi di quei risultati nella forma di criteri generali ricavati da una pratica a stretto contatto con il mondo dei ciechi e da una verifica puntuale delle acquisizioni conseguite volta per volta.

Va subito detto che, per trattare dell’accesso dei ciechi al mondo della cono- scenza e quindi anche a quello dell’arte, si possono distinguere tre ambiti diver- si ma strettamente connessi fra loro: in primo luogo le condizioni che possono favorire un approccio fruttuoso; poi, i metodi più adatti allo scopo; infine l’at- teggiamento di fondo che è più giusto e utile assumere.

Sia chiaro che qui si tratterà solo ed esclusivamente di criteri orientativi, non già di regole che sia sufficiente imparare una volta per tutte e applicare rigida- mente. Dico questo perché è ricorrente la tentazione di voler sottomettere il la- voro di traduzione a forme di forzata standardizzazione, di affidare cioè a codici che si pretendono rigorosi e universali il compito di incasellare le innumerevoli variazioni che la realtà ci offre. Ipotesi del genere vengono spesso proposte quando si parla di immagini in rilievo, per le quali si vorrebbe ad esempio defini- re una simbologia in grado di designare una volta per tutte questo o quel- l’oggetto, questo o quel messaggio specifico. Indubbiamente un sistema di segni dotati di un preciso significato è spesso necessario, ma esso può essere definito solo volta per volta e all’interno di un ambito limitato: di un libro, di un proble- ma, di un sistema di riferimenti particolare, ecc.; tanto che i medesimi segni – di- sponibili sempre in numero molto ridotto per le limitate risorse della grafica in ri- lievo – devono poter essere utilizzati per designare realtà diverse in contesti di- versi. Per il resto la traduzione deve intendersi essenzialmente come un lavoro comunicativo fondato sull’applicazione creativa e intelligente di criteri adeguati.

Le condizioni per un approccio fruttuoso

La prima condizione utile a favorire un approccio fruttuoso dei disabili visivi alla realtà circostante, anche nelle sue manifestazioni più complesse come quelle arti- stiche, prevede che essi siano educati sin da bambini almeno in tre ambiti fonda- mentali: a) a un uso appropriato della parola; b) a una corretta manipolazione de- gli oggetti; c) all’utilizzo nei più diversi contesti di rappresentazioni in rilievo, dai modelli fino al disegno bidimensionale, quest’ultimo uno strumento sinora trop- po a lungo sottovalutato nell’educazione e nella comunicazione corrente.

Al riguardo mi limito qui a sottolineare lo stretto legame che vi è fra mani- polazione e uso delle rappresentazioni in rilievo – compreso il disegno – da un lato e adeguato sviluppo del linguaggio dall’altro. Sappiamo quanto sia impor- tante che un cieco possa esplorare direttamente una pera o una noce perché e- gli apprenda pienamente il significato delle parole “pera” e “noce”. Allo stesso modo, di fronte a termini quali “nuvola” e “fiamma”, oggetti impossibili da toccare direttamente, egli potrà senz’altro trarre profitto dall’esplorazione tattile di adeguate rappresentazioni grafiche in rilievo. La manipolazione e le rappre- sentazioni in rilievo possono entrambe offrire una più solida base percettiva al linguaggio. Aggiungo ancora che, fra le diverse forme di rappresentazione, da scegliere ogni volta con cura a seconda degli obiettivi che ci si propone e delle risorse disponibili, il disegno bidimensionale può compensare il suo carattere indubbiamente più astratto dei modelli o delle varie forme di bassorilievi con una straordinaria versatilità e una più facile disponibilità.

In tutti questi ambiti bisogna poter cominciare a lavorare il più presto possibi- le, per aiutare i disabili visivi a sviluppare sin dall’infanzia le abilità necessarie. Senza dimenticare che una più adeguata conoscenza della realtà anche da parte dei più piccoli può favorire un ulteriore sviluppo della loro fantasia. Ad esempio conoscere, magari anche attraverso il disegno, la forma di uno o più castelli veri può contribuire non poco a costruirne tanti altri nella propria mente.

E passiamo ora alla seconda condizione, che potremmo formulare così: dovun- que sia possibile, va garantita ai ciechi e ai disabili visivi un’informazione ade- guata alle loro necessità e alle loro particolarità percettive. Questo può valere nelle città, nei musei, nella scuola, negli edifici pubblici, ecc. L’integrazione nel- la vita di tutti è oramai un dato indiscutibile della condizione dei disabili nelle società sviluppate, al di là delle differenze fra i diversi sistemi educativi, fondati o meno su strutture speciali o residenziali. Sono molti i luoghi in cui può dun- que essere necessario offrire ausili adatti, per realizzare i quali è senz’altro indi- spensabile una diffusa iniziativa di sensibilizzazione dei tecnici comunali, degli insegnanti, degli operatori museali, ecc., intesa a chiarire in che cosa possa con- sistere il lavoro di traduzione, nonché quello di produzione e di riproduzione di

strumenti dedicati. Senza dimenticare che la stessa realizzazione di qualcuno di quegli strumenti può avere, se gestita correttamente, una funzione educativa: mi riferisco ad esempio alla diffusione delle mappe visivo-tattili nei luoghi pub- blici, che può diventare un modo molto concreto ed efficace per richiamare l’attenzione di tutti su quanto stiamo qui discutendo.

Ma eccoci ora alla terza condizione. Spesso i limiti indotti nell’esperienza dei disabili visivi dalle loro difficoltà percettive influenzano negativamente la loro possibilità di conoscere. Di conseguenza per loro le parole rischiano di essere povere di contenuti concreti. Bisogna dunque arricchirle, come abbiamo visto, di riferimenti percettivi, senza però dare nulla per scontato. Infatti i vuoti di esperienza e di conoscenza possono riguardare anche ambiti che potremmo considerare “di base”, situazioni cioè nelle quali per un vedente è quasi impos- sibile non essere pienamente competente. Molte conoscenze e capacità del tut- to ovvie per chi vede richiedono da parte dei disabili visivi uno sforzo di ap- prendimento non indifferente.

Propongo qui due casi nei quali è indispensabile offrire ai ciechi strumenti utili a compensare le loro difficoltà. Il primo riguarda la conoscenza del corpo umano come realtà viva e in continua trasformazione: un cieco non può vede- re, e quindi eventualmente imitare, gli altri, non può guardarsi allo specchio. Così pure non ha un’idea precisa della forma che può assumere il corpo quan- do compie determinati movimenti. Quindi deve essere messo in grado, attra- verso immagini apposite, di far corrispondere alle sensazioni cinestetiche che percepisce in determinate situazioni – ad esempio quando solleva il braccio de- stro all’altezza della spalla – l’immagine relativa. Si tratta di un modo straordi- nariamente utile per precisare e per rinforzare la percezione di sé e degli altri.

Anche in altri casi è non meno decisivo sapere esattamente che cosa vedono i vedenti per poter comunicare con loro in condizioni di tendenziale parità. Non è per niente ovvio per un cieco sapere come si muove il sole nel cielo du- rante la giornata dal momento in cui sorge al momento in cui si nasconde nuo- vamente dietro l’orizzonte. Non è ovvio sapere che cosa siano l’orizzonte, l’alba, il tramonto, quali differenze vi sono fra il percorso del sole in estate o in inverno, quale sia precisamente la forma della luna nelle diverse fasi e così via.

Quarta condizione: i ciechi devono poter conoscere i diversi modi attraverso

cui nelle varie forme di rappresentazione si dà conto della terza dimensione, della profondità degli oggetti: nel caso dei modelli, dove è importante padro- neggiare adeguatamente le variazioni di scala; nel caso delle diverse forme di bassorilievo, laddove lo schiacciamento dei volumi è il risultato volta per volta di procedimenti diversi, spesso piuttosto approssimativi; nel disegno in rilievo bidimensionale, dove la tecnica più appropriata è senz’altro quella delle proie-

zioni ortogonali e non invece la prospettiva, senza con questo escludere la pos- sibilità per i ciechi di comprendere che cosa essa sia. Una conseguenza di quest’ultima affermazione è che, data l’importanza del disegno, sin da piccoli i disabili visivi devono essere educati a riconoscere sul piano gli oggetti tridi- mensionali a cominciare da quelli più consueti nella loro realtà di tutti i giorni.

La tecnica delle proiezioni ortogonali, attraverso la quale si offrono tre di- verse visioni dello stesso oggetto – quella frontale, quella laterale, e quella in pianta – può essere facilmente spiegata attraverso esempi concreti adatti alla