Malgrado di disegno a rilievo si parli da quasi duecento anni, esso è ancora uno strumento assai poco diffuso nella comunicazione con i ciechi, sulla base della convinzione, fortemente radicata tra i vedenti e poi condivisa da molti an- che nella comunità dei ciechi, secondo la quale le immagini, considerate come il luogo del visivo per eccellenza, sarebbero in gran parte precluse a chi non vede. Verso il disegno a rilievo si sono manifestate resistenze che sembrano ricor- dare quelle che hanno non poco rallentato, nel corso dell’Ottocento, la diffusio- ne della scrittura Braille. Ma se l’ostilità verso il Braille – una forma di comunica- zione difficile da padroneggiare per chi non fosse privo della vista – era stata chiaramente alimentata dal timore degli insegnanti vedenti di perdere parte del controllo che avevano sempre esercitato sui propri allievi ciechi, la diffidenza e la scarsa attenzione alle potenzialità del disegno a rilievo hanno avuto ragioni e una storia più complesse, sulle quali vale la pena soffermarsi un momento.
Le prime raffigurazioni a rilievo per persone cieche sono state proposte sot- to forma di carte geografiche. Esse si sono diffuse, seppure molto timidamen- te, a partire dalla fine del Settecento, su iniziativa di alcuni tra i pochi precettori privati che già a quell’epoca si occupavano dell’educazione dei ciechi; va da sé che i primi allievi privi della vista furono allora giovani appartenenti a famiglie aristocratiche.
Con la nascita degli istituti, alle carte geografiche si sono affiancate le prime raffigurazioni di altro genere. La diffusione dei disegni a rilievo ha poi ricevuto un forte impulso soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, quando si è imposto su scala europea il modello pedagogico di Pestalozzi. Il principio su cui si fondava l’intero pensiero del grande pedagogista svizzero, che cioè la vera conoscenza do- vesse avere solide basi percettive e andasse quindi fatta scaturire appunto da un’esperienza concreta, si era subito tradotto in una precisa istanza educativa: gli oggetti descritti a parole in classe dovevano essere mostrati ai sensi; così pure i fe- nomeni dovevano essere, nella misura del possibile, sperimentati. L’impostazione pedagogica di Pestalozzi, pensata inizialmente per i bambini vedenti, è stata poi adottata anche dagli istituti che si dedicavano all’educazione dei ciechi. I disegni a rilievo, in quella fase, sono stati utilizzati, insieme a strumenti affini come i model- li tridimensionali e i bassorilievi, appunto per mostrare attraverso il tatto le con- crete cose di cui si parlava in classe, gli animali che il maestro descriveva nelle le- zioni di zoologia o le piante di cui si discuteva nelle lezioni di botanica.
Su tali basi, alla fine dell’Ottocento, si è assistito a una fase di vasta diffusione delle immagini a rilievo, sostenuta anche da importanti innovazioni nelle tecniche di stampa. A quel momento di fulgore è seguito però un periodo di progressivo irrigidimento, caratterizzato dal continuo riproporsi senza grandi cambiamenti degli stessi strumenti didattici e delle stesse strategie educative consolidatesi nel- l’Ottocento. Gli istituti, sempre più impermeabili alle istanze del mondo circo- stante, si sono mostrati via via sempre meno capaci di rinnovarsi, isolandosi in una dimensione destinata ad allontanarsi progressivamente dal contesto circo- stante. Si è prodotta cioè una sorta di forbice tra strumenti e metodi educativi di vecchia concezione da un lato e un mondo in rapida evoluzione, nel quale peral- tro le immagini divenivano ogni giorno di più il riferimento centrale dei nuovi mezzi di comunicazione. Un tale processo si è protratto, più o meno con le stes- se caratteristiche e in forma vieppiù accentuata con il passare del tempo, per tutta la prima metà del XX secolo e si è di fatto concluso soltanto con la fine degli isti- tuti come luogo chiuso e separato dal resto della società, avvenuta – quanto me- no in Italia, ma non solo – tra gli anni ’60 e gli anni ’70 del Novecento.
E siamo così giunti agli ultimi decenni, caratterizzati da almeno due fatti im- portanti. In primo luogo, con la progressiva caduta delle barriere tra il mondo dei ciechi e quello dei vedenti e l’avvio dei processi di integrazione, la scarsissima dimestichezza dei ciechi con il mondo delle immagini, frutto dei metodi educativi tradizionali, è divenuta a quel punto un limite concreto, sperimentato dai singoli nel loro confronto quotidiano con il mondo dei vedenti e destinato a produrre difficoltà facilmente individuabili. Su tutt’altro versante, in psicologia – come già ho avuto modo di accennare – le ricerche sulle percezione hanno condotto al superamento della concezione per cui i sensi dovessero essere considerati come
ambiti separati; viceversa ha cominciato ad affermarsi la tendenza a considerare la percezione come un sistema complesso, articolato cioè su più livelli indissolu- bilmente interconnessi fra loro.
Tutto questo è avvenuto però in presenza, nel mondo dei ciechi e in quello più vasto di chi si occupa di educazione e di comunicazione con riferimento al- le disabilità visive, di una disponibilità molto limitata ad accogliere quelle novità e a farne oggetto di riflessione e ricerca. Di qui la tendenza prevalente, frutto di un’impostazione educativa consolidata da molti decenni, a considerare il dise- gno in rilievo come una sorta di versione “appiattita”, e dunque assai più diffi- cile da interpretare, dei modelli tridimensionali e dei bassorilievi utilizzati tradi- zionalmente. Di qui anche la scarsa disponibilità a concepire i rilievi – tutti i ri- lievi – non già come media isolati e autonomi ma come parte di un sistema co- municativo integrato.
L’apparente maggiore vicinanza del modello tridimensionale all’oggetto reale ha portato spesso a sottovalutare il fatto che anch’esso necessita, per essere com- preso appieno, di un accompagnamento verbale, di solito offerto a voce dall’in- segnante o dal genitore senza che tuttavia a quelle parole si riconosca l’impor- tanza essenziale che invece esse hanno. Lo stesso atteggiamento si è riproposto e si ripropone tuttora assai sovente nel caso dei disegni a rilievo, per i quali il testo di accompagnamento è ancor più necessario dato il loro maggior livello di astra- zione; da questo consegue una sfiducia ancora assai diffusa fra i ciechi nella loro capacità rappresentativa: una sfiducia che deriva però dall’aver trasferito a carico del disegno un difetto che sta invece nell’uso a dir poco monco che se ne pre- tende di fare.
Ma proviamo adesso a definire più precisamente cosa sia il disegno a rilievo: a) il disegno a rilievo è parte di un sistema complesso di strumenti per la co-
municazione che comprende anche modelli tridimensionali e bassorilievi. Possiamo anzi considerarlo come la terza tappa di un percorso che, a partire dal modello e passando per il bassorilievo, conduce a forme di rappresenta- zione progressivamente sempre più astratte;
b) più esattamente il disegno a rilievo è una forma di rappresentazione della re- altà a due dimensioni: la terza dimensione, quella data dal rilievo, serve sola- mente per rendere percepibili al tatto le linee, i punti e le superfici di cui si compongono le figure, senza alludere in nessun modo alla profondità o al volume degli oggetti raffigurati. La tecnica del disegno a rilievo non va dun- que confusa con quella del bassorilievo – anche se in certi casi bassorilievo e disegno a rilievo si trovano combinati in una stessa raffigurazione –, nel quale viceversa la variazione del rilievo rimanda pur sempre alla variazione di volume degli oggetti rappresentati;
cesso di astrazione soggetto a regole e criteri precisi, le immagini a rilievo pre- suppongono uno specifico processo di apprendimento. La capacità di inter- pretare correttamente le immagini, d’altra parte, non è data in modo naturale neppure ai vedenti, ma è sempre il risultato di un processo di apprendimento più o meno faticoso e guidato. Credere che l’interpretazione delle immagini sia, per i vedenti, una sorta di facoltà congenita e spontanea è soltanto un e- quivoco indotto dalla continua esposizione alle informazioni visive cui tutti noi siamo abituati fin dalla nascita. Per i ciechi, oltretutto, sorgono alcune dif- ficoltà specifiche: la prima è data dal tempo necessario per esplorare una figu- ra con le mani, che è assai maggiore di quello richiesto dalla vista; la seconda è data dalla necessità di capire, per poter davvero comprendere il significato di un disegno qualsiasi, le relazioni che intercorrono tra un oggetto tridimensio- nale e la sua rappresentazione grafica bidimensionale (vi sono strumenti ap- positamente concepiti a questo scopo, rivolti soprattutto ai bambini).
Fatte queste premesse cerchiamo di capire come si fa a disegnare per le mani. Vediamo cioè quali criteri occorra adottare per rendere le figure percepibili at- traverso il tatto.
a) Il primo criterio da rispettare è quello della semplificazione. Il tatto, come è stato fatto notare più di una volta, ha una capacità di discriminazione assai minore rispetto alla vista. Le immagini devono dunque essere semplificate, devono presentare solo gli elementi essenziali, quelli cioè che colgono l’es- senza degli oggetti che si vogliono raffigurare (possibilmente senza banaliz- zarli). Generalmente un disegno a rilievo si compone di un contorno ten- denzialmente chiuso, che aiuta a cogliere l’immagine d’insieme dell’oggetto raffigurato, e di un certo numero di particolari che ne segnano la specificità, in alcuni casi proposti anche a parte, ingranditi, accanto al disegno d’insie- me. Lo sfondo deve per lo più essere abolito perché altrimenti si rischia di proporre figure troppo ricche di informazioni. La semplificazione, che con- duce anche – come si è appena visto – a decontestualizzare gli oggetti, com- porta alcuni rischi che bisogna ogni volta trovare il modo di contrastare: le immagini per ciechi risultano spesso drasticamente impoverite; esse finisco- no in tal modo per ridurre non poco la complessità e il disordine che regna- no nella vita reale; esse d’altra parte assumono in molti casi l’aspetto di im- magini “operative”, simili cioè alle rappresentazioni schematiche che si tro- vano nei manuali d’uso, assecondando con questo un approccio troppo uti- litaristico da parte di chi se ne serve;
b) il secondo aspetto di cui bisogna tenere conto quando si disegna in rilievo è il formato dell’immagine. Tendenzialmente occorre offrire disegni di dimen- sioni tali che possano essere percepiti nella loro globalità dalle due mani del
lettore. Proponendo immagini del genere, percepibili in pochi passaggi, è possibile aiutare il cieco a compensare in parte la sua connaturata difficoltà a ricostruire nella propria mente immagini d’insieme degli oggetti. Il grado di riduzione o di ingrandimento degli oggetti raffigurati, cioè la scala, va sem- pre chiaramente indicato;
c) il terzo aspetto da considerare è l’impostazione della pagina. I limiti esterni del foglio offrono un riferimento utile a collocare il disegno rispetto a un siste- ma di orientamento costituito da contorni e da un centro ben definiti, a co- gliere l’orizzontalità e la verticalità degli elementi raffigurati, ecc. I titoli e i numeri di pagina vanno collocati rispettando le abitudini di lettura del pub- blico al quale i disegni sono destinati, ecc.;
d) un ulteriore aspetto decisivo è dato dalle risorse grafiche effettivamente di- sponibili. Innanzitutto, va detto che devono essere poste a rilievo solo le in- formazioni che interessano, anche quando ciò possa risultare in contrasto con una logica “da vedenti”: in una carta topografica, ad esempio, verranno disegnate in rilievo le strade e non gli isolati che le costeggiano.
Va segnalato inoltre che i tre elementi fondamentali sono: punti, linee e superfici: - il punto: quando si usano punti isolati o in gruppi di estensioni e configu-
razioni varie, occorre evitare di ingenerare confusione con il punto Brail- le (1 mm di diametro). È consigliabile pertanto usare punti di dimensioni maggiori. Il punto – o, meglio, tanti punti – può anche essere impiegato per formare una linea, nel qual caso si ha un punto-linea, o per riempire una superficie, nel qual caso si ha un punto-superficie;
- la linea: le potenzialità della linea a rilievo possono essere sfruttate entro tre differenti contesti: come linea-oggetto, per rappresentare direttamente un oggetto filiforme: ad esempio uno spillo; come linea di contorno, per delimitare una superficie: ad esempio nel caso di un corpo umano; come linea di tessitura, per riempire una superficie di un retino: è la stessa fun- zione del punto-superficie. Per quanto concerne la percepibilità della li- nea a rilievo vanno rispettate dimensioni minime al di sotto delle quali il tatto non riesce ad avere una percezione adeguata; tra due linee vicine occorre d’altra parte una distanza di almeno due millimetri affinché esse vengano percepite nella loro singolarità e non come una linea unica di dimensioni maggiori. Le linee tratteggiate o puntinate risultano essere particolarmente efficaci: la successione di tratti o di punti determina una stimolazione tattile continua e ripetuta che incrementa notevolmente la percepibilità della linea. Da notare infine che ogni irregolarità non voluta di una linea rischia di essere percepita come una cattiva informazione e quindi va assolutamente evitata;
- la superficie: ci sono tre modi per definire una superficie: attraverso la sola linea di contorno, attraverso un rilievo pieno, attraverso una linea di con- torno che racchiude un retino. L’ultima soluzione è la più efficace. Il reti- no dovrebbe essere mantenuto a circa 2 mm di distanza dal contorno. La stessa distanza, 2 mm, dovrebbe sempre dividere due superfici diverse, affinché la mano possa intenderle effettivamente come elementi separati della figura. È fondamentale, per evitare inutili sforzi interpretativi e spreco di preziose energie mentali, mantenersi coerenti, entro un medesi- mo contesto, nell’uso dei retini: superfici con uguale significato dovreb- bero essere riempite con retini identici.
e) Il quinto aspetto rilevante concerne la rappresentazione sul piano della terza di-
mensione, ossia della profondità. Per dare il senso della tridimensionalità delle
cose si usano le proiezioni ortogonali, tecnica attraverso la quale di un og- getto si offrono tre immagini differenti dette anche viste: dall’alto o pianta, frontale e laterale. Normalmente la prospettiva non viene usata, non perché non possa essere compresa da chi non vede, ma per il fatto che l’eccesso di linee oblique complica e appesantisce notevolmente l’immagine, rendendola difficile da esplorare attraverso le mani.
f) Il sesto aspetto da considerare concerne la rappresentazione di oggetti complessi. Quando occorre disegnare scene o oggetti complessi si ricorre a sequenze di immagini semplici, in modo da proporre poche informazioni alla volta. Tali sequenze devono però essere strutturate in una forma facilmente accessibile: tra un’immagine e l’altra non devono esserci cesure o salti bruschi, altrimen- ti si compromette nell’interlocutore la possibilità di ricostruire con sufficien- te gradualità la realtà dell’oggetto nel suo insieme. Di norma si seguono al- cuni criteri di massima che permettono di ottenere sequenze di immagini comprensibili. Il primo consiste nel simulare un movimento del cieco sul- l’oggetto o rispetto all’oggetto raffigurato; è possibile ad esempio ipotizzare un movimento di avvicinamento o, viceversa, di allontanamento: nel primo caso la sequenza proporrà immagini che partono da lontano e che a mano a mano si avvicinano all’oggetto – si pensi al libro sul Partenone citato sopra –; nel secondo caso si procederà in senso opposto. Un altro modo per strut- turare sequenze comprensibili consiste nel proporre in successione diverse “viste” dell’oggetto nella logica delle proiezioni ortogonali.
g) Un ultimo aspetto riguarda l’adozione di codici grafici. Nel disegno a rilievo è fondamentale adottare codici grafici comprensibili e soprattutto coerenti al- l’interno di uno stesso ambito: all’interno dello stesso disegno se il disegno è uno solo, nello stesso libro, ecc. Purtroppo non è possibile, come alcuni vor- rebbero, definire un codice standard universale – non è possibile cioè adottare per il mare, per il cielo o per altro ancora sempre gli stessi segni grafici – per-
ché le risorse grafiche a disposizione – tipi di linea, di retino, ecc. – sono mol- to poche e in contesti diversi vanno utilizzate con significati diversi.
Prendiamo ora in considerazione per concludere le tecniche di realizzazione delle immagini a rilievo. Esse si dividono in due grandi categorie. La prima si fonda sul principio della deformazione del supporto come per il Braille tradi- zionale: pensiamo ad esempio alla goffratura (francese gaufrage, inglese embos-
sing), nella quale vengono impressi e modellati fogli di carta, o ad applicazioni di termoformatura, nelle quali lo stesso effetto viene prodotto su fogli di plasti- ca; la seconda si fonda invece sul principio del deposito di un materiale capace di solidificarsi e di mantenere un volume percepibile: ad esempio in serigrafia si usa uno speciale inchiostro che, depositato sulla carta e passato in un forno a raggi ultravioletti, si consolida producendo un rilievo apprezzabile.
Ogni tecnica disponibile presenta vantaggi specifici a seconda degli obiettivi che di volta in volta ci si propone in relazione a vari aspetti come: l’altezza del rilievo, la sua precisione e regolarità, la sua aggressività, cioè la maggiore o mi- nore verticalità della superficie laterale del rilievo con cui il dito si scontra, l’aderenza alla superficie e la durata nel tempo del rilievo, il comfort di lettura del rilievo e del supporto, la possibilità di stampare fronte e retro o quella di stampare sulla stessa facciata in nero e in rilievo, le tirature possibili e ancora i tempi e i costi di realizzazione, la complessità dei mezzi tecnici necessari, ecc.