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Artefatti cognitivi sostitutivi, innovativi e comple mentar

Marco Fasoli Indipendent Researcher mafasos@gmail.com Massimiliano Carrara

Dipartimento FISPPA – Università di Padova massimiliano.carrara@unipd.it

Siano artefatti cognitivi quei particolari artefatti in grado di trasformare o interagire con il nostro sistema cognitivo: smartphone, pc, navigatori gps e molte altre tecnologie digitali sono esempi di questa particolare tipologia di artefatti. Se in passato gli artefatti cognitivi erano poco diffusi e usati a scopi particolari, in epoca moderna, in particolare attraverso la rivoluzione digitale, tutto ciò è cambiato in modo radicale. Ogni giorno usiamo in modi diversi strumenti che ci guidano negli spostamenti, ci ricordano cosa dobbiamo fare, ci aiutano a pianificare, ecc.

Tra i lavori che recentemente si sono focalizzati su questa specifica clas- se di artefatti, l'articolo di Heersmink (2013) A Taxonomy of Cognitive

Artifacts: Function, Information, and Categories, merita attenzione per il

problema particolarmente delicato che affronta, ovvero la costruzione di una tassonomia degli artefatti cognitivi. Tale tassonomia, secondo Clark (2004), rappresenta «il compito singolo più importante...» Clark (2004, p. 32-33) che

riguarda il tema in oggetto perché permette di acquisire una «comprensione sistematica di come differenti impalcature cognitive possano aumentare o danneggiare le performance in differenti compiti cognitivi» (Heersmink 2013, p. 466). La tesi principale sostenuta da Heersminck è che gli artefatti cognitivi rappresentino una grande famiglia di oggetti, definiti interamente dalla loro funzione, e che questa famiglia possa essere ulteriormente classifi- cata in due generi - rappresentazionale ed ecologico - e diverse specie: ico-

nico, indessicale, simbolico, spaziale e strutturale.

Obiettivo di questo lavoro è mostrare come la particolare tassonomia proposta da Heersmink, pur essendo fondata su una concezione funzionale degli artefatti cognitivi in larga parte consolidata in letteratura (si veda ad esempio Carrara e Veermas 2009), non tiene in considerazione un aspetto es- senziale degli artefatti cognitivi, ovvero la diversità del rapporto che essi in- trattengono con la cognizione umana.

Il fatto che Heersmink non tenga nel dovuto conto tale aspetto emerge sin dalle prime pagine del lavoro. Si consideri, nello specifico, il modo in cui Heersmink introduce gli artefatti cognitivi. Essi sono definiti prima come quegli oggetti che «contribuiscono funzionalmente allo svolgimento di un compito cognitivo» (Heersmink 2013, p. 465) e poco oltre come quegli og- getti che ci «permettono di svolgere compiti cognitivi che altrimenti non sa- remmo in grado di svolgere» (Heersmink 2013, pp. 465-466). Si può tuttavia osservare che queste formulazioni si riferiscono a due tipi in realtà molto dif- ferenti di artefatti cognitivi. Nel primo caso si tratta di oggetti che contribui-

scono ad un compito cognitivo, che esiste comunque, al di là del contributo

dell'artefatto. Nel secondo caso si tratta di oggetti indispensabili allo svolgi- mento di un compito cognitivo. Un post-it o un mazzo di chiavi volutamente lasciato in un sito particolare, sono artefatti che contribuiscono a ricordare un evento, costituendo un supporto per la memoria, una capacità cognitiva che esiste indipendentemente rispetto alla presenza del post-it. In questo caso, dunque, si tratta di artefatti cognitivi che rientrano nella prima definizione. Al contrario, la seconda formulazione di Heersmink – quella che definisce gli ar- tefatti cognitivi come quelli oggetti che permettono di svolgere compiti co- gnitivi che non saremmo in grado di svolgere altrimenti – sembra riferirsi ad artefatti il cui ruolo all'interno del processo cognitivo non è opzionale. Un li- bro, ad esempio, è indispensabile alla lettura, un'attività che costituisce una vera e propria ―tecnologia mentale‖ e che per potersi realizzare con successo deve essere accuratamente ―installata‖ nel cervello umano (Wolf 2009), cioè deve essere stata appresa. Com‘è stato mostrato, non siamo evolutivamente predisposti a leggere e ciò è testimoniato dall'esistenza di disturbi come la di-

slessia (al contrario, siamo invece programmati per imparare il linguaggio). In altre parole, la lettura è un processo cognitivo che dipende completamente dall'esistenza di un artefatto cognitivo, come un libro, un geroglifico o una pergamena, e che quindi non potrebbe esistere senza questo supporto. Si pro- pone di chiamare complementari gli artefatti che s‘integrano con processi co- gnitivi autonomi, ad esempio un post-it, e innovativi gli artefatti cognitivi come il libro, che costituiscono l'elemento imprescindibile per la realizzazio- ne di alcuni processi cognitivi.

Prendendo in analisi il rapporto tra artefatti e processi cognitivi, è facile notare come la distinzione degli artefatti in innovativi e complementari non sia esaustiva. Non solo, infatti, un artefatto può integrarsi a un processo o permetterne la realizzazione di uno autonomo. È anche possibile che un arte- fatto si sostituisca ad un processo, che potenzialmente potrebbe realizzarsi in autonomia. Un navigatore gps, per esempio, più che integrarsi con la capacità di orientamento del soggetto (come al contrario fa una mappa) la sostituisce in blocco, rendendola superflua. Si propone di chiamare questa tipologia di artefatti sostitutivi, nella misura in cui essi tendono non ad integrarsi bensì a sostituire completamente un processo cognitivo che può esistere anche auto- nomamente.

Il fatto che un artefatto cognitivo possa interagire contemporaneamente con più processi cognitivi significa che non esiste una relazione biunivoca tra artefatti e processi cognitivi. Di conseguenza, può accadere che un artefatto cognitivo appartenga contemporaneamente a più di una specie rispetto a pro-

cessi cognitivi differenti. Un libro, ad esempio, è un artefatto cognitivo inno-

vativo rispetto alla lettura ma sostitutivo riguardo alla memoria, nella misura in cui esso può rendere inutile ricordare qualcosa. Un mazzo di chiavi lascia- to volontariamente in una posizione particolare, al contrario, è un artefatto semplicemente complementare (rispetto alla memoria): non interagisce con altri processi cognitivi. Proponiamo di chiamare artefatti cognitivi semplici gli artefatti che interagiscono con un solo processo cognitivo e che quindi so- no innovativi, complementari o sostitutivi in modo esclusivo e artefatti co-

gnitivi composti gli artefatti che, interagendo con più processi, possono essere

contemporaneamente innovativi, complementari e sostitutivi, rispetto a pro- cessi cognitivi differenti. Operando questa distinzione, dunque, si arrivano ad individuare due generi di artefatti cognitivi, semplici e composti, e tre specie:

complementari, innovativi e sostitutivi.

La tassonomia qui proposta è trasversale e alternativa rispetto a quella elaborata da Heersmink. Essa risponde alla necessità di valutare in modo ap- propriato le conseguenze che l'uso degli artefatti cognitivi ha per lo sviluppo

e il mantenimento delle nostre capacità mentali. Poiché la nostra proposta si basa sul rapporto tra artefatti e strutture cognitive esistenti, riteniamo che essa risponda in modo soddisfacente alle preoccupazioni espresse da alcuni stu- diosi (ad esempio Hutchins 1995) rispetto alla possibilità che lo studio degli artefatti cognitivi possa trascurare il ruolo delle strutture cognitive interne nei processi cognitivi, preoccupazione su cui si sofferma lo stesso Heersmink nelle prime pagine del suo lavoro (Heersmink 2013, p. 466-468). Distinguen- do gli artefatti cognitivi in sostitutivi, complementari e innovativi, si ricono- sce che questi processi sono indispensabili affinché gli artefatti cognitivi in-

novativi e complementari possano svolgere correttamente la loro funzione.

Infine, è interessante confrontare gli effetti e le conseguenze dell'uso di artefatti complementari con quelli legati ad un uso massiccio di artefatti di ti- po sostitutivo, in particolare per alcune capacità cognitive che sembrano svi- lupparsi in modo proporzionale rispetto al loro esercizio, quali ad esempio l'orientamento (Maguire et al. 2006). Se sembra plausibile ipotizzare che l'u- so di alcuni artefatti complementari, come le mappe, permetta il mantenimen- to o addirittura il rafforzamento di questa abilità, è anche plausibile sospettare che l'uso massiccio di artefatti cognitivi di tipo sostitutivo, che interagiscono con questo tipo di processi mentali, possano rappresentare, almeno poten- zialmente, una minaccia per il loro mantenimento. Infatti, l'uso di artefatti cognitivi di questa specie implica, almeno di principio, la rinuncia all'attiva- zione dei processi, che essendo sostituiti non sono esercitati, con potenziali ripercussioni sulla loro efficienza.

Bibliografia

Carrara, M., Veermas, P. (2009), The Fine-Grained Metaphysics of Artifactual and Biological Functional Kinds, in Synthese, 169, pp. 125-143.

Clark, A. (2004), Towards a Science of the Biotechnological Mind, in Cognition and

Technology: Coexistence, Convergence and Co-Evolution, ed. Gorayska, B., e

Mey, J., pp. 25-36, John Benjamins Publishing Company. Dehaene, S. (2009), I neuroni della lettura, Raffaello Cortina Editore.

Heersmink, R. (2013), A Taxonomy of Cognitive Artifacts: Function, Information, and Categories, in Review of Philosphy and Psychology, 4, pp. 465-481.

Maguire, E.A., Woollett, K., Spiers, H.J., (2006), London Taxi Drivers and Bus Drivers: a Structural MRI and Neuropsychological Analysis, in Hippocampus, 16, pp. 1091-1101.

Wolf, M. (2009), Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Milano, Vita e Pensiero.

Is Knowing-How reducible to Knowing-That? Cog-