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La storia personale degli animal

Sebastiana Boscarino

Dip. di Scienze Cognitive della Formazione e degli Studi Culturali, Universi- tà di Messina

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Secondo John Locke il concetto stesso di persona dipende dalla capacità di mantenere una memoria del proprio passato, entro cui si costruisce quella storia che è l'unico appiglio solido dell'identità personale, in grado di soprav- vivere a tutti i cambiamenti fisici che avvengono durante la vita di ognuno. La storia della filosofia dice come la visione di Locke non fosse vangelo, già alla sua epoca aveva attirato numerose obiezioni, per esempio da parte di Leibinz e Butler. Qui non interessa tanto la disputa se coscienza e identità siano solo questo, piuttosto due fatti: anzitutto quanto sia importante la di- mensione della memoria per la coscienza personale, e secondo, come queste considerazioni riguardassero esclusivamente l'uomo. In questo Locke e gli al- tri non si discostavano dalla posizione di Cartesio, che aveva escluso catego- ricamente l'esistenza di un mondo mentale per gli animali.

Da secoli i biologi si sono occupati invece della sfera mentale degli animali, a partire da Darwin stesso, ma soprattutto con l'avvento dell'etologia, Lorenz e Tinbergen, ma soprattutto per gli aspetti cognitivi meno impegnativi, come le reazioni percettive ed emotive, o il risolvere semplici problemi. Ci sono sem- pre stati timori ad indagare direttamente sulla coscienza, come ben descritto da Griffin (1994): ―Animal cognition: yes of course; but animal conscious-

ness: unlikely, or, if it does occur, impossible to detect, since whatever the animal does might be done unconsciously.‖

Non è poi così strano che la biologia si senta intimidita nell'avventurarsi nella coscienza, quando non pochi filosofi sostengono che anche quella umana non è alla portata dei metodi delle scienze naturali. Una posizione ben riassunta dall'esperimento mentale degli Zombie di Chalmers (1996): l'impossibilità a capire da un comportamento esteriore se dietro di esso ci sia o meno uno sta- to di coscienza. Ma oramai la coscienza animale non è più tabù, tantissime ricerche l'hanno affrontata negli ultimi decenni. Non si vuol farne qui una rassegna, ci fermiamo a dire che uno dei filoni più promettenti finora è quello sulle emozioni. Uno dei principali sostenitori è Denton (2006), secondo cui ci sono due componenti nel sistema che è emerso centinaia di milioni di anni fa della coscienza: produrre nell'organismo una sensazione imperiosa, che pren- desse il sopravvento su tutto il resto, e poi indurre in modo irresistibile a sod- disfarla. Sulla stessa linea Cabanac (2009), che ha approfondito sperimental- mente certe reazioni emotive primordiali, come febbre e tachicardia, riscon- trabili in rettili, mammiferi e uccelli, ma non negli anfibi.

Ricerche quindi deviate su aspetti della coscienza molto lontani dal nucleo indicato da Locke, la storia personale, a cui la psicologia moderna ha dedica- to un meccanismo ben preciso, la memoria episodica (Tulving, 1983). Gli animali la posseggono?

Nemmeno per sogno avevano risposto Suddendorf e Corballis (1997), che la negano per ogni animale privo di linguaggio, senza il quale sarebbe impossi- bile realizzare quello che chiamano ―viaggio mentale nel tempo‖, in cui ci si colloca all'indietro in episodi del proprio passato. Ancor di più, questa stessa capacità di viaggiare mentalmente nel passato permette anche di farlo nel fu- turo, immaginando cioè cosa succederà, e questo spiega la capacità di fare piani nel futuro, di cui saremo capaci solo noi umani.

Loro mettono già le mani avanti ai biologi, dicendo che gli studi sugli animali per parlare di memoria episodica debbono soddisfare due condizioni: quella nota come www (what, where, when), cioè la capacità di piazzare un evento nel tempo, e poi il cosiddetto criterio Bischoff-Koehler, che sarebbe la dimo- strazione di comportarsi in un modo che guardi al futuro e non in semplice risposta al presente.

Su entrambi i punti arriva ben presto la smentita di Clayton e Dickinson (1998), dopo studi sulle ghiandaie californiane, graziosi uccellini, che vivono in foreste sempre verdi dell'America, nutrendosi di due cibi: pinoli o bruchi. Loro quando c'è abbondanza di questi cibi li raccolgono, e li depositano in uno dei loro ripostigli a terra. Quello che succede è che i bruchi morti dopo

circa una settimana marciscono, mentre i pinoli si possono conservare per mesi e mesi.

Alle ghiandaie californiane però i bruchi piacciono di più. Quello che si è os- servato in questo esperimento, è che questi uccellini vanno preferibilmente ai depositi dove avevano messo i bruchi, se li avevano messi non più di cinque giorni prima, mentre passati cinque giorni non ci vanno più, e preferiscono andare dove ci sono invece i loro depositi di pinoli. E' chiaro quindi che deb- bono avere tenuto a mente sia il posto in cui hanno depositato qualcosa, sia anche da quanto tempo lo avevano depositato, e questa è proprio memoria episodica.

Suddendorf non si dà mica per vinto, e con Busby (2003) ribatte, sostenendo che le prestazioni delle ghiandaie californiane potrebbero essere spiegate in modo più parsimonioso con una serie di comportamenti istintivi, che non ri- chiedono una vera e propria capacità cognitiva di viaggiare nel tempo. Si pensa invece che dal primo lavoro di Clayton e Dickinson ad oggi, si siano accumulate interessanti nuove evidenze, che anzitutto permettono di smentire Suddendorf e Corballis, gli animali viaggiano abbondantemente nel tempo, all'indietro ma pure in avanti. Forse iniziano a far luce sulla possibilità di una storia personale interiore, alla Locke, anche per alcuni animali.

Anzitutto si sono accumulati ulteriori dettagli sempre sulle ghiandaie califor- niane, con tanti altri studi, e poi si sono esplorate le capacità di memoria epi- sodica su molti altri animali come topi, scoiattoli, maiali, una rassegna recen- te è in (Mendl, 2008).

Vi sono in aggiunta altri esperimenti ancor più clamorosi. Kouwenberg e coautori (2009) hanno introdotto una variante del paradigma www in cui l'ul- tima w è un which, nel senso di contesto in cui si è svolto l'episodio da me- morizzare. E' un concetto che pare più appropriato in quanto non è che la memoria episodica fissi veramente un tempo scandito dall'orologio, piuttosto un contesto specifico in cui si è verificato, e permette una sperimentazione con animali che non hanno l'abitudine a nascondere il cibo. I loro preferiti sono i maialini dello Yucatan, che si sono dimostrati bravissimi a tenere di- stinti il what (un tipo di oggetto), where (il posto) e il which (il contesto) in un ambito sperimentale.

Van Schaik (2013) ha invece fatto una scoperta direttamente allo stato selva- tico, sull'uso di richiami specifici emessi da maschi di orango delle isole Su- matra, per avvertire le loro femmine su quale sarà la direzione del viaggio che intendono intraprendere. Con la particolarità che il richiamo lo emettono la sera prima di partire! Risulta quindi estremamente evidente come gli esemplari maschi abbiano già in mente il giorno prima cosa intendono fare, e le loro femmine se lo ricorderanno il giorno seguente.

Oltre a queste esperienze dirette, altrettanto interessanti sono i progressi ri- spetto alle basi neurologiche della memoria episodica. Allen e Fortin (2013) hanno ripercorso, nella storia evolutiva, il sorgere nei cervelli delle strutture neurali alla base della memoria episodica, che sono anzitutto l'ippocampo, e poi la regione para ippocampale, e le connessioni di entrambe con la cortec- cia prefrontale. L'ippocampo, inizialmente sviluppatosi come memorizzatore specifico del where, ha pian piano esteso, insieme alle altre regioni, la sua capacità alla memoria episodica in pieno negli uccelli, nei roditori, e nei pri- mati.

Suddendorf e coautori (2009) non mollano, anche se devono necessariamente concedere spazio alle evidenze su tanti aspetti centrali della memoria episo- dica negli animali, insistono che la storia personale e il poter navigarla è fac- cenda solo umana. Certamente uno può imboccare la strada dogmatica, sen- za linguaggio non ci sono i termini per indicare il passato e il futuro, come diceva Wittgenstein che non ha senso dire che un cane ha paura di essere pic- chiato il giorno dopo. Se vi sono dimostrazioni in alcuni animali di memoria episodica e pianificazione futura, e se tali animali posseggono lo stesso appa- rato cerebrale che si sa nell'uomo essere predisposto a queste funzioni, non sarebbe più semplice e ragionevole immaginare che gli animali abbiano un modo di riferirsi al loro passato e al loro futuro, che non richiede linguaggio?

Bibliografia

Allen T. and Fortin N. (2013) The evolution of episodic memory, PNAS 110:10379- 10386.

Cabanac, M., Cabanac, A.J., Parent, A. (2009) The emergence of consciousness in phylogeny, Behavioural Brain Research 198, 267-272.

Chalmers, D. (1996) The Conscious Mind: In Search of a Fundamental Theory, Ox- ford University Press, Oxford (UK).

Denton, D. (2006) The Primordial Emotions: The Dawning of Consciousness, Oxford University Press, Oxford (UK).

Griffin D. (1994) Animal Minds, Chicago University Press, Chicago (IL).

Kouwenberg A. et.al. (2009) Episodic-like memory in crossbred Yucatan minipigs (Sus scrofa), Applied Animal Behaviour Science 117:165172.

Mendl M. and Paul E. (2008) Do animals live in the present? Current evidence and implications for welfare, Applied Animal Behaviour Science 113:357-382.

Suddendorf T. and Busby J. (2003) Like it or not? The mental time travel debate: re- ply to Clayton et al. Trends Cogn. Sci. 7:437438.

Suddendorf T. and Corballis M. (1997) Mental time travel and the evolution of the human mind. Genet. Soc. Gen. Psychol. Monogr. 123:133167.

Suddendorf T., Addis D. and Corballis M. (2009) Mental time travel and the shaping of the human mind, Phil. Trans. R. Soc. B 34:13171324.

Tulving E. (1983) Elements of Episodic Memory, Clarendon Press, Oxford (UK). Van Schaik C., Damerius L. and Isler K. (2013) Wild Orangutan Males Plan and

Il dibattito sulla definizione d‟arte: un contributo