LA DISCIPLINA DEGLI AIUTI DI STATO 1 La disciplina degli aiuti di Stato
3. I servizi di interesse economico generale ai sensi dell'art
Il concetto di “servizio di interesse economico generale” (successivamente SIEG) richiama quello di “servizio pubblico”, utilizzato negli ordinamenti nazionali. Si tratta tuttavia di un termine nuovo, di una vera e propria nozione autonoma del diritto dell'Unione, che abbraccia ed ingloba quella nazionale di “servizio pubblico”. La scelta di utilizzare
111 Nonostante l'elaborazione giurisprudenziale del principio sia precedente all'entrata in vigore del regolamento di procedura, esso è stato per la prima volta codificato solo a seguito della pubblicazione del Piano d'azione (in un regolamento desenzione a favore di investimenti regionali, Regolamento (CE) n. 1628/2006 della Commissione, del 24 ottobre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato per investimenti a finalità regionale, in GUUE L 302, 1 novembre 2006, p. 29). Grazie alla sua successiva codifica normativa all'interno del Regolamento generale d'esenzione del 2008, il principio Deggendorf costituisce oramai un elemento integrante della prassi applicativa della Commissione in materia di aiuti di Stato. Si veda in particolare l'art. 1, paragrafo 6, del Regolamento generale d'esenzione e il Considerando n. 16, secondo cui “è opportuno escludere dal campo di applicazione del presente regolamento gli aiuti in favore di un beneficiario che sia destinatario di un ordine di recupero pendente per effetto di una precedente decisione della Commissione che dichiara un aiuto illegale e incompatibile con il mercato comune. È pertanto necessario che gli aiuti ad hoc erogati a beneficiari di questo tipo e i regimi di aiuti che non contemplano disposizioni volte ad escludere esplicitamente beneficiari di questo tipo rimangano soggetti all'obbligo di notifica di cui all'articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE”.
un termine diverso non è casuale, ed implica anzitutto che le due nozioni, seppur assimilabili, non sono tra loro coincidenti. Difatti, la stessa nozione di “servizi pubblici” non è uniforme nei diversi ordinamenti nazionali, né vi è una comunanza quanto ai settori economici e sociali da essi interessati.
In particolare, sin dalle origini del processo di integrazione europea possono distinguersi in Europa due principali modelli di organizzazione dei pubblici servizi negli Stati membri: un modello liberale, che trova la sua massima espressione nell'ordinamento tedesco e in quello anglosassone; ed un modello classico, ben rappresentato dal sistema francese del service public112.
Il primo modello ha come obiettivo principale quello di creare un sistema giuridico in grado di evitare la concentrazione del potere economico in capo a poche entità, siano esse pubbliche o private, evitando sistemi di corporativismo, cartellizzazione e monopoli di vario tipo.
La disciplina del servizio pubblico ha, quindi, soltanto la funzione di sottrarre al mercato determinati servizi, prevedendo obblighi di informazione al pubblico, regole sugli obblighi di servizio pubblico e sulle caratteristiche del servizio, un divieto di discriminazione e l'obbligo di garantire un accesso generalizzato per i consumatori-utenti113.
112 Sul tema si veda, più ampiamente, W. SAUTER, H. SCHEPEL, State and market in European Union law, Cambridge, 2009.
113 C. IANNONE, Intervento pubblico e le regole della concorrenza comunitarie, Torino, G. Giappichelli Editore, 2009.
Il modello classico, cui si ispira il sistema francese (e in parte anche quello italiano), prevede invece specifici regimi per il servizio pubblico, che gode di uno status giuridico autonomo, in ragione degli obblighi che l'ordinamento pone in capo al concessionario. I concessionari del pubblico servizio hanno infatti obblighi di base, come ad esempio quello della continuità, la regolarità del servizio, l'universalità; devono inoltre rispettare determinate regole di gestione e, talvolta, anche tariffe fissate dalle autorità pubbliche114. Questa
concezione legittima l'intervento pubblico, relegando i meccanismi privati degli interessi configgenti ad un ruolo secondario. Nella concezione del service public è la sfera pubblica che deve essere protetta dalle pressioni del mercato. Pertanto, i sistemi ispirati a questo modello tendono ad ammettere con più difficoltà un intervento della concorrenza nelle attività considerate di servizio pubblico.
Per quanto riguarda l'articolo 106 TFUE, esso si inquadra nel titolo IV, parte terza del TFUE (“Norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul riavvicinamento delle legislazioni”), ed in particolare nel capo primo (“Regole di
114 In diritto italiano, sebbene vi sia una nozione generale di servizio pubblico (art. 43 Cost.), non vi è una disciplina uniforme. Le discipline hanno infatti carattere settoriale e riguardano specifiche categorie di servizi pubblici: C. IANNONE, Intervento pubblico, cit., p. 63; M. CAMMELLI, Ordinamento giuridico dei servizi pubblici locali, in A. MASSERA (a cura di), I servizi pubblici in ambiente europeo, Pisa, 2004, p. 95 ss. In Francia, il servizio pubblico è diventato un elemento caratteristico del sistema politico francese, e dell’identità nazionale. Così, W. SAUTER, H. SCHEPEL, State and market, cit., p. 16. Si vedano anche P. JOURDAN, La formation du concept de Service Public, in Rev. dr. pub., 1989, p. 89 ss.; J. M. PONTIER, Sur la conception française du service public, in Recueil Dalloz, 1996, p. 9 ss.; J. CHEVALLIER, Le service public, Parigi, 2005.
concorrenza”). La norma chiude quindi la sezione del TFUE dedicata alle regole di concorrenza applicabili alle imprese, ed ha pertanto una collocazione non pienamente coerente con il suo contenuto, poiché essa si rivolge agli Stati115.
L'art. 106 TFUE si suddivide in tre commi: il primo, relativo alle imprese titolari di diritti speciali o esclusivi; il secondo, che concerne gli operatori economici incaricati della gestione di un servizio di interesse economico generale; il terzo, relativo ai poteri della Commissione di adottare atti di portata generale in materia.
L'intervento statale nell'economia può assumere varie forme, tra cui hanno un ruolo di primo piano la creazione di imprese pubbliche, o il conferimento a un'impresa di diritti speciali o esclusivi da parte dello Stato116. Queste modalità di
intervento sono oggetto della previsione del primo paragrafo dell'art. 106 TFUE, che sancisce il divieto di emanare o
115 G. TESAURO, Intervento pubblico nell’economia e art. 90 del Trattato, in Dir. Un eur., 1996, p. 721; A. PAPPALARDO, Il diritto comunitario della concorrenza. Profili sostanziali, Torino, 2007, p. 823; A. ZOPPINI, G. ANGELONI, Misure di Stato, cit., p. 179.
116 P. FATTORI, Monopoli pubblici e art. 90 del Trattato CE nella giurisprudenza comunitaria, in MCR, 1999, p. 137. Secondo alcuni autori, il richiamo generale al principio di non discriminazione ha l'effetto di estendere l'ambito di applicazione dell’art. 106, paragrafo 1 a tutte le disposizioni dei Trattati: E. MOAVERO MILANESI, Diritto della concorrenza nell’Unione europea, Napoli, 2004, p. 200. Il principio della parità di trattamento tra imprese pubbliche e private costituisce una specificazione del più generale principio, sancito dall'art. 345 del TFUE, di neutralità del diritto dell'Unione europea rispetto al regime di proprietà vigente negli Stati membri e, al contempo, ne costituisce un limite: la regola della parità di trattamento consente infatti di mitigare l'indifferenza del diritto dell'Unione rispetto al regime di proprietà delle imprese. In sostanza, il combinato disposto di queste due norme tende a riaffermare esplicitamente un principio, già sotteso alla struttura complessiva dei Trattati, per cui gli Stati, nel servirsi di imprese ad essi collegate, non possono porre le medesime in una situazione più favorevole e vantaggiosa rispetto alle imprese private.
mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e di quelle titolari di diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle regole dei Trattati, e in particolare al principio di non discriminazione e alle norme sulla concorrenza.
Preliminare al corretto inquadramento dell'ambito di applicazione dell'art. 106, paragrafo 1 TFUE è la definizione delle tipologie di imprese a cui la norma si riferisce: le imprese pubbliche, le imprese titolari di diritti speciali e le imprese titolari di diritti esclusivi. I Trattati non contengono alcuna definizione di queste entità, le cui nozioni devono quindi essere ricostruite sulla base del diritto derivato e della giurisprudenza. La nozione di impresa è stata delineata dall'interpretazione della Corte di giustizia che ne ha dato un'interpretazione estensiva117. In base a giurisprudenza
costante, è impresa qualunque entità che svolge un'attività economicamente rilevante, industriale o commerciale o di prestazione di servizi, indipendentemente dalla forma giuridica
117 Sentenza della Corte 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hofner, in Racc., p. I-1979 e la sentenza 11 dicembre 1997, causa C- 55/96, Job Centre, in Racc., p. I-7119, relativa all’ufficio di collocamento italiano. Si vedano anche le sentenze della Corte 19 gennaio 1994, causa C-364/92, Eurocontrol, in Racc., p. I-43, punto 18; nonché 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia (Spedizionieri doganali), in Racc., p. I-3851, punto 28. Per approfondimenti sulla nozione di impresa nel diritto dell’Unione europea: A. SPADAFORA, La nozione di impresa nel diritto comunitario, in Giust. civ., 1990, II, p. 283 ss.; A. ANTONUCCI, La nozione d’impresa nella giurisprudenza comunitaria ed italiana, in Cons. Stato, 2003, II, p. 569 ss.; V. DI COMITE, La nozione di impresa nell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza, in Giur. ita, 2004, p. 2028 ss.; D. CORAPI, B. DE DONNO, L'impresa in A. TIZZANO (a cura di) Il diritto privato dell’Unione Europea, in Trattato di diritto privato a cura di BESSONE, vol. XXVI, t. II, Torino, 2006, p. 1202 ss.; A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, Le fonti del diritto della concorrenza nella CE, in La Concorrenza, in Trattato di diritto privato dell’Unione Europea a cura di AJANI-BENACCHIO, VII, Torino, 2006, p. 7 ss.; G.TESAURO, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2010, pp. 639-644.
e dal modo del suo finanziamento. Il modo di finanziamento di un'attività, o il fatto che la stessa, nel caso concreto, sia esercitata senza fini di lucro non vale ad escludere la sussistenza di un'attività economica (e quindi di un'impresa): è infatti sufficiente che in astratto ed in via di principio una determinata attività possa essere esercitata in vista del conseguimento di un profitto.
La nozione di impresa ai fini del diritto dell'Unione è quindi fondata su parametri di tipo oggettivo – la natura economica dell'attività esercitata – anziché di tipo soggettivo – la forma societaria adottata. Pur nelle difficoltà insite nella definizione di “attività economica”, elemento costitutivo della stessa nozione di impresa, la giurisprudenza ha in più occasioni specificato che essa consiste nell'offrire beni e servizi su di un determinato mercato.
In sostanza, dunque, perché sia applicabile l'art. 106, paragrafo 1 occorre il rispetto di un duplice requisito: l'uno soggettivo, relativo alla configurazione dei poteri dell'ente pubblico all'interno dell'impresa; l'altro oggettivo, relativo alla natura economica dell'attività esercitata. In mancanza del primo requisito, si avrebbe un'impresa privata, con conseguente applicabilità del secondo paragrafo dell'art. 106; in mancanza, invece, della natura economica dell'attività, si avrebbe un'impresa pubblica che esercita prerogative pubblicistiche ovvero funzioni di solidarietà sociale, con
conseguente inapplicabilità dell'art. 106118. Emerge quindi da
subito una prima differenza con il trattamento riservato alle imprese pubbliche e a quelle titolari di diritti speciali o esclusivi (art. 106, paragrafo 1): mentre, infatti, tali imprese sono sottoposte alle regole dei Trattati ed in particolare alle norme in tema di concorrenza, quelle incaricate di un servizio di interesse economico generale (art. 106, paragrafo 2) lo sono solo se e nella misura in cui le norme sulla concorrenza non ostano alla missione di servizio pubblico loro affidata.
Le società incaricate di gestire un SIEG, per esplicito dettato normativo, possono quindi godere di un trattamento “derogatorio” non solo rispetto al diritto antitrust, ma anche rispetto alle norme sulla libera circolazione, sugli aiuti di Stato e sui monopoli a carattere commerciale.
In secondo luogo, per avvalersi della deroga dell'art. 106, paragrafo 2 TFUE è necessario che l'impresa sia formalmente “incaricata” della gestione di un SIEG da parte della pubblica autorità. Attraverso l'incarico, l'autorità pubblica, portatrice dell'interesse generale, affida ad un'impresa lo svolgimento di un determinato servizio. Non è necessario che l'incarico provenga dagli organi centrali dello Stato, ben potendo derivare anche del provvedimento di un'autorità pubblica locale, a condizione che l'attribuzione avvenga nell'esercizio delle funzioni proprie dell'ente.
118 L. CERASO, Il finanziamento dei servizi di interesse economico generale in un sistema di mercato concorrenziale, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2008.
La terza condizione di applicabilità dell'art. 106 paragrafo 2 TFUE prevede che l'incarico riguardi lo svolgimento di un servizio definibile come “di interesse economico generale”. Sebbene i SIEG siano menzionati in svariate disposizioni del TFUE, essi non sono in alcun modo definiti o descritti nel diritto primario dell'Unione. La mancata definizione dei SIEG è una chiara indicazione del fatto che, nello stabilire quali servizi siano qualificabili come di “interesse economico generale” e come gli stessi debbano essere organizzati, la competenza appartiene agli Stati anziché all'Unione119. L'organizzazione dei servizi pubblici, infatti,
rileva della competenza degli Stati membri e delle rispettive articolazioni interne, maggiormente vicini ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini-utenti dei servizi pubblici che essi offrono e si impegnano a garantire.
Tuttavia, la tematica dei pubblici servizi rileva anche del diritto dell'Unione nella misura in cui determinate imprese incaricate dello svolgimento di un SIEG beneficiano di diritti speciali o esclusivi, oppure di finanziamenti pubblici che le pongono in una posizione più favorevole rispetto ad altre imprese concorrenti che svolgono (o che vorrebbero svolgere) la stessa attività nel mercato. È per questo motivo che la libertà degli Stati membri di definire i servizi di interesse economico generale non si traduce in discrezionalità, ma è soggetta ad
119 D. GALLO, Finanziamento dei servizi di interesse economico generale e aiuti di Stato nel diritto comunitario, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2007
alcuni limiti imposti dal diritto dell'Unione120.
Un primo limite alla libertà degli Stati membri di definire i SIEG si incontra nell'esercizio da parte dell'Unione di competenze settoriali in una determinata materia121.
La Corte di giustizia, pur nelle incertezze che la definizione di “interesse economico generale” implica, ha stabilito due importanti punti fermi che rendono un'attività non-economica e, quindi, non suscettibile di essere qualificata come SIEG: da un lato, l'esercizio di un'autorità pubblica espressione della potestà di imperio della p.a. (servizi “strategici”); dall'altro i servizi espressione della solidarietà sociale (servizi sociali). In entrambi queste ipotesi, si è al di fuori dell'applicazione delle norme dei Trattati sulla concorrenza e quindi al di fuori della competenza dell'Unione.
120 Nella sentenza Francia c. Commissione, la Corte di giustizia ha dichiarato che l’art. 106, paragrafo 2 del TFUE, nel consentire una deroga condizionata alle norme generali dei Trattati, tende a contemperare l’interesse degli Stati membri a servirsi di determinate imprese come strumento di politica economica, con l’interesse dell’Unione all’osservanza delle regole di concorrenza e del mantenimento dell’unità del mercato interno: Sentenza della Corte 19 marzo 1991, causa C-202/88, Francia c. Commissione, in Racc., p. I-1223. Sulla sentenza, A. WINKLER, R. SUBIOTTO, European Control of Monopolistic Utilities: France v.Commission, in Journal of Energy & Natural Resources Law, 1991, p.212-214; A. MATTERA RICIGLIANO, L'arrêt "Terminaux de télécommunications" du 19 mars 1991 : interprétation et mise en oeuvre des articles 30/36 et 90 du traité CEE, in RDMUE, 1991, p.245-250; A. PAPPALARDO, Monopoli addio?, in Europaforum, 1991; P. MANZINI, L'intervento pubblico nell'economia alla luce dell'art.90 del Trattato CE, in Riv. dir. int., 1995, p.379-396. Si vedano anche le Conclusioni dell’Avvocato generale, presentate l’8 maggio 2001 nella causa C-53/00, Ferring, in Racc., p. I- 9067, in cui si rileva che, in assenza di un’armonizzazione a livello dell’Unione, spetta agli Stati membri definire le missioni di interesse generale che intendono affidare a determinate imprese; pertanto le istituzioni dell’UE non sono legittimate a pronunciarsi sui contenuti degli obblighi di servizio pubblico gravanti sulle imprese incaricate di un SIEG, in particolare sul livello dei costi connessi al servizio, né sull’opportunità politica delle scelte nazionali, né, infine, sull’efficacia economica dell’impresa.
121 G. CAGGIANO, La disciplina, cit., p. 79 ss. Sentenza della Corte 18 maggio 2000, causa C-206/98, Commissione/Belgio, paragrafo 45.
In questi ambiti infatti vige la più completa libertà degli Stati membri sulle modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi.
Pertanto, possono individuarsi diverse categorie di attività, a cui si applicano, dal punto di vista del diritto della concorrenza, regimi molto diversi.
a) Attività rientranti nell'esercizio di pubblici poteri
La Corte di Giustizia ha dichiarato che talune attività costituiscono un esercizio delle prerogative pubblicistiche e pertanto sono in toto sottratte all'applicazione delle regole del mercato. Ad esempio, sono state considerate prerogative intrinseche dei pubblici poteri alcune attività come la sicurezza interna ed esterna, l'amministrazione della giustizia e le relazioni estere, ma anche l'istruzione e il controllo del traffico aereo. Anche per queste attività, l'assenza di carattere economico sottrae sic et simpliciter l'attività all'applicazione delle regole del mercato, senza che sia necessario rispettare i limiti di cui all'art. 106, paragrafo 2, TFUE122.
b) Servizi sociali di interesse generale
Una categoria affine ma diversa dai servizi di interesse economico generale è rappresentata dai servizi sociali. Difatti, sebbene anche nei SIEG sia presente un elemento di tipo sociale, si tratta pur sempre di attività di tipo economico; mentre in questa categoria si tratta di servizi in cui è
122 A. PAPPALARDO, Commento all'art. 90, cit., p. 690; C. IANNONE, Intervento pubblico, cit., p. 68.
preponderante l'elemento della solidarietà.
È comunque difficile capire in anticipo quando un servizio è meramente “sociale” e quando invece è di interesse economico generale. La Giurisprudenza ha evidenziato una serie di elementi che fungono da indicatori della natura sociale (e quindi non economica) di un servizio:
a) l'obiettivo sociale perseguito;
b) la natura obbligatoria anziché volontaria delle prestazioni; c) il fatto che l'ammontare dei versamenti effettuati dal cittadino siano legati al suo reddito;
d) la circostanza che le prestazioni erogate a favore del contribuente non siano commisurate all'ammontare dei versamenti da esso effettuati;
e) il fatto che i versamenti e le contribuzioni siano sotto la supervisione dello Stato;
g) la circostanza che i fondi siano immediatamente ridistribuiti anziché investiti;
i) la presenza di sovvenzioni incrociate con altri fondi.
Il terzo ed ultimo paragrafo dell'art. 106 TFUE conferisce alla Commissione la competenza a vigilare sull'applicazione della norma, rivolgendo agli Stati, ove necessario, “opportune direttive e decisioni”123.
La norma contempla quindi due diverse categorie di atti, le direttive e le decisioni. La scelta dell'atto da adottare spetta
123 Sentenza della Corte di Giustizia, 20 marzo 2001, causa C-163/99, Portogallo c. Commissione, in Racc., p. I-2613.
in via esclusiva alla Commissione, la quale tende ad adottare una decisione qualora essa prenda in considerazione una specifica situazione presente in uno o più Stati membri, mentre adotta una direttiva qualora sia necessario precisare gli obblighi derivanti dall'art. 106 attraverso un atto di portata generale.
I servizi di interesse economico generale sono segmenti di attività che, in ragione della particolare struttura del mercato, non è possibile svolgere in condizioni di economicità, in quanto i suoi costi sono eccessivi rispetto ai ricavi. Talvolta, tuttavia, tali segmenti di attività sono considerati necessari per rispondere ad esigenze sociali o di interesse pubblico: per questo, possono essere svolti a regime di SIEG colmando un fallimento del mercato124. In tali circostanze, è possibile per le
pubbliche autorità - ove non provvedano esse stesse all'erogazione del servizio - incaricare un'impresa della gestione del SIEG, imponendo al contempo determinati obblighi di servizio pubblico e garantendo all'impresa una
124 In economia, è detta “fallimento del mercato” quella situazione in cui i mercati non sono in grado di organizzare autonomamente la produzione in maniera efficiente, o di allocare efficientemente beni e servizi ai consumatori. Il mercato fallisce se per qualsiasi ragione non è possibile, attraverso lo scambio, raggiungere una situazione in cui le risorse sono efficientemente distribuite tra i soggetti che vi partecipano. G. HUGH, R. RAY, Microeconomics, Prentice Hall, 2004. Esempi tipici di fallimenti del mercato sono le esternalità, che si manifestano allorché un’attività di produzione o di consumo di un soggetto influenza, negativamente o positivamente, il benessere di un altro soggetto, senza che quest’ultimo riceva una compensazione (nel caso di esternalità negativa) o paghi un prezzo (nel caso di esternalità positiva) pari al costo o al beneficio ricevuto; le asimmetrie informative, ossia la mancanza o incompletezza delle informazioni necessarie agli scambi sul mercato; i beni pubblici; i regimi non concorrenziali, come ad esempio il monopolio naturale. Per una descrizione analitica delle inefficienze del paradigma Stato-Mercato, F.REVIGLIO, La spesa pubblica. Conoscerla e riformarla, Venezia, 2007, pp. 17- 36.
compensazione finanziaria in contropartita di tali obblighi. Se è vero che le pubbliche autorità - statali o locali - sono libere di individuare quali attività rivestano un rilievo primario per la collettività e debbano quindi essere svolte a regime di SIEG, il diritto dell'Unione richiede tuttavia che le