Diffusione ed evoluzione del fenomeno dell’arte di strada sul suolo italiano
4. Artisti più not
Il duo Cuoghi Corsello, composto da Monica Cuoghi (1965) e Claudio Corsello (1964), rispettivamente nati a Mantova nel 1965 e a Bologna nel 1964, prospera e agisce sul tessuto urbano bolognese da più di trent’anni. Il loro sodalizio, avvenuto durante la seconda metà degli anni Ottanta negli spazi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, non è mai stato limitato al contesto dell’arte di strada bensì travalica i suoi confini raggiungendo anche la sfera della musica, della fotografia e della video animazione.132 Monica, in un breve intervento all’interno del volume Street Art. Banksy&Co. L’arte allo stato urbano(2016), racconta di come sia stato Claudio ad averla iniziata al Graffiti Writing, egli infatti aveva
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già realizzato alcuni lavori al di sopra delle pareti del proprio liceo.133 In un primo momento intervengono individualmente sul tessuto urbano, difatti il loro lavoro è separato e ben distinto, finché nel 1986 sopraggiunge la creazione del personaggio iconico “Pea Brain” [Figura 4]: primo simbolo della loro unione creativa, che rappresenta il disegno di un’oca stilizzata caratterizzata da zampe molto lunghe e sottili. Siffatto soggetto viene riproposto in svariate occasioni ed altrettante versioni al di sopra del tessuto cittadino bolognese, a tal punto che il duo diviene talmente rinomato da non avere più necessità di firmare i propri lavori, i quali sono per l’appunto riconosciuti e distinti ovunque già al primo sguardo. La tipologia di intervento murario del duo Cuoghi Corsello è sempre stato differente rispetto a quella degli altri writer a loro contemporanei, poiché mentre questi ultimi sfruttano prevalentemente lo spray e perseguivano la realizzazione di lavori puliti e precisi, privi di sbavature e macchie, i due invece si dedicano ad un assiduo bombardamento, atto a “taggare” il maggior numero di pareti possibile, relegando la pulizia in secondo piano: un chiaro esempio è dato dallo sfruttamento di spugne intrise nella vernice delle scarpe, per nulla ottimali alla pulizia e all’ordine dal momento che rilasciano «gocce sbrodolanti»134 sull’intera parete, cosa di poco conto per il duo poiché che non è affatto limitante per la buona riuscita del loro lavoro. Claudio inventa altresì una nuova tipologia di strumentazione apposita per la realizzazione delle proprie opere, si tratta di uno spruzzino provvisto di un serbatoio, al cui interno vengono mischiati inchiostro e acqua, che proprio per questo è in grado di raggiungere anche i luoghi più alti.
Come tutti coloro che iniziano a praticare il graffitismo, in un primo momento si dedicano al tessuto di edifici abbandonati e periferici, tuttavia si spostano rapidamente verso il centro della città, bombardando ogni singola strada con almeno una delle loro icone: Claudio scrive “cane cotto” mentre Monica disegna “Pea Brain”, tracciando su di una cartina i luoghi in cui sono presenti e quelli ancora da marchiare. Dopodiché iniziano gradualmente a sperimentare anche al di fuori del supporto urbano della parete: per esempio nel 1992 l’ochetta bidimensionale inizia ad aprirsi «sui lati per diventare tante cose tridimensionali e figurative»135, creando dunque una scultura appellata come “Petronilla”. Questa prima esperienza porta alla conseguente realizzazione di altre opere scultoree, costituite da materiali sia di scarto che più tradizionali ma anche industriali, come per esempio i componenti delle automobili oppure addirittura i veicoli stessi. A tal proposito, nel 1996
133 Street Art. Banksy&Co. L’arte allo stato urbano, a cura di L. Ciancabilla e C. Omodeo, op. cit., p. 61. 134 Ivi, p. 62.
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presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna Claudio e Monica espongono L’incidente della Pantera Rosa, un’opera composta da un’Opel Kadett rosa caratterizzata da un vetro frantumato, simbolo del presunto incidente che ha coinvolto il veicolo in questione, e viene stata inserita all’interno di una stanza dei giochi fittizia. Il fine di tale installazione è quello di approcciarsi alla dinamica di un incidente con la lucidità propria dei bambini, richiamando dunque la sfera della giocosità.136 Nel corso della loro carriera occupano diversi luoghi abbandonati, insediandosi all’interno di essi, sostenendo a più riprese che lo scopo della propria vita non è lavorare al fine di guadagnare, bensì sono intenzionati a concentrarsi unicamente sulla creazione e la sperimentazione137: le modalità lavorative del duo vengono definite come pratiche artistico-concettuali, dal momento che sono profondamente legate al progetto di abitare il luogo della creazione artistica, definito casa- atelier-museo e considerato come «rappresentazione di un concetto ideologico, di un atto artistico di riappropriazione dello spazio della città, del quale prendersi cura e in cui coltivare la bellezza»138. La loro produzione è incentrata sulla creazione di lavori urbani, in particolar modo di personaggi stilizzati e buffi, come la sopracitata “Pea Brain” ma altresì “Suf”, una bambina provvista di orecchie da topo e di un vestitino, interamente eseguita di nero e realizzata con lo stencil [Figura 5]. Tuttavia i due sperimentano anche con le installazioni al neon, la musica e la video-animazione, arrivando ad esporre e produrre opere negli spazi di svariate gallerie italiane già alla fine degli anni Novanta. Difatti l’apprezzamento e il riconoscimento del loro lavoro raggiunge tutto il territorio della penisola, segnando in particolar modo le città di Mantova, Venezia, Milano e Reggio- Emilia. Proprio nel territorio mantovano accade un episodio simbolico della notorietà che li ha travolti: Claudio e Monica stavano lavorando con il favore del buio quando una pattuglia della polizia li vede e li ferma; ciononostante, siccome alcuni agenti erano loro sostenitori ed ammiratori, decidono di non arrestarli e chiedono addirittura un’ochetta da porre in caserma come ricordo e mascotte.
Atomo (1965), pseudonimo di Davide Tinelli, è uno dei primi ragazzi italiani che, a partire dal 1982, si affaccia al fenomeno underground del graffitismo, diventando inoltre un
136 D. Dogheria, Street Art: sulle ali di un’ochetta. Le creazioni di Monica Cuoghi e Claudio Corsello, in
“Questo Trentino”, 13 novembre 2004,
http://www.questotrentino.it/articolo/9366/street_art_sulle_ali_di_un_ochetta (consultato in data 17
gennaio 2020).
137 Street Art. Banksy&Co. L’arte allo stato urbano, a cura di L. Ciancabilla e C. Omodeo, op. cit., p. 66. 138 Cuoghi Corsello. MCCC, in “T293 Rome”, febbraio 2019, http://www.t293.it/it/exhibitions/cuoghi-
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protagonista centrale della scena punk milanese degli anni Ottanta. «Io ho iniziato perché il mio sogno da bambino era quello di fare i fumetti e invece a 14-15 anni ho mollato la scuola e sono andato a lavorare e ciao fumetti. Quando ho scoperto che con le punkzine», ovvero magazine tematici riguardanti il fenomeno del punk, «potevo disegnare lo stesso, mi sono sfogato, però continuando a comunicare le mie idee politiche. Unire l’arte alla politica è stato un passaggio spontaneo e credo che molti della vecchia guardia, almeno qua a Milano, hanno iniziato così»139. I suoi graffiti sono caratterizzati in particolar modo dalla presenza di puppets, oltreché di lettere marcate e ben riconoscibili sia adornate da svariati simboli, tra cui frecce e stelle, che caratterizzate da una colorazione sgargiante e vivace. [Figura 6] Nel corso della sua carriera sfrutta svariate tecniche: dallo stencil, al poster e al mosaico, cercando di conferire colore e vitalità a luoghi per lo più abbandonati e periferici della città di Milano. Davide opera in luoghi pubblici, come edifici e cisterne, ma anche privati, come per esempio all’interno di locali e ristoranti, sperimentando altresì le installazioni e realizzando svariati quadri ed altrettante tele, prediligendo nella maggior parte dei casi l’utilizzo della bomboletta spray. Un motivo ricorrente all’interno della produzione di Atomo è dato dalla riproduzione dei contatori del gas, raffigurati ogni volta con svariate tonalità e con differenti ripetizioni numeriche [Figura 7]: Davide Tinelli è un impiegato dell’A2A, un’impresa italiana che offre forniture di energia elettrica, luce e gas, e ricopre la mansione del controllore, ovvero registra e conteggia le cifre e i numeri riportati sui suddetti contatori. Ne è conseguito che l’oggetto in questione sia diventato parte integrante della sua quotidianità a tal punto che è stato integrato all’interno delle sue raffigurazioni artistiche. Egli riproduce e disegna tali oggetti sfruttando la loro funzione reale, ovvero registrare i livelli di energia e di tempo, tuttavia la misurazione nel caso della produzione di Atomo non è numerica oppure elettrica, bensì riguarda le vicende reali ed umane proprie soprattutto delle pulsioni e dei sentimenti caratterizzanti dell’animo umano. La raffigurazione del contatore è un elemento costante nella sua produzione che viene frequentemente accompagnato da figure femminili sinuose, da forme geometriche ma anche disegni di cuori ed altri oggetti, come per esempio armi oppure proiettili, inseriti su sfondi vivaci e colorati. Davide sostiene a più riprese che la volontà finale del proprio lavoro è quella di unire la sua occupazione di operaio con la vita del writer ed artista Atomo. I critici inquadrano e definiscono siffatta poetica come “Operaismo Pop”: uno stile che presenta influssi provenienti dai temi della quotidianità ma anche dai soggetti e dai dettami
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della Pop Art, assemblati con svariati caratteri propri dell’arte di strada.
Davide Tinelli è anche un attivista politico e sociale: prende parte a svariati movimenti di occupazione e anche alla creazione di alcuni centri sociali, promuove diversi eventi culturali ed artistici all’interno degli spazi della città di Milano e tra il 1993 e il 2006 è consigliere comunale, ricoprendo quasi sempre il ruolo di oppositore delle forze politiche al comando.140 Risulta inoltre come uno dei primi writer ad adottare il nuovo linguaggio della street art e a volerla avvicinare alle istituzioni pubbliche, egli difatti collabora alla realizzazione della mostra “Street Art, Sweet Art” del 2007, mentre nel 2015 organizza il progetto “Energy Box”, al quale una cinquantina di street artist italiani aderiscono per decorare alcuni spazi del tessuto urbano milanese, in modo tale da ravvivarlo e renderlo più vivace e colorato.
Rendo (1969), pseudonimo di Renato Di Lorenzo, si affaccia all’universo dell’arte di strada quando, a quindici anni, inizia a frequentare gli spazi milanesi del Muretto, sperimentando dapprima la breakdance e successivamente dedicandosi al graffitismo. Inoltre è membro di due importanti crew milanesi, la MCA e TDK: assieme alla prima, nel 1988 partecipa alla Biennale dei Giovani Artisti Europei di Bologna, mentre nel 1992, quando figura all’interno dei TDK, fonda e pubblica una fanzine intitolata “Impatto Nitro”, che ebbe vita relativamente breve, difatti vengono rilasciati solamente due numeri; tuttavia risulta una delle primissime pubblicazioni interamente dedicate al fenomeno del graffitismo locale. Gli studiosi affermano inoltre che egli sia il primo writer italiano ad aver gonfiato le proprie scritte e ad aver personalizzato lo stile delle lettere. [Figura 8] Nel corso della propria carriera accademica, Renato Di Lorenzo è affascinato sia dallo studio dell’architettura che da quello del design, conseguendo la laurea in tale ambito e diventandone anche insegnante. La sua produzione artistica risulta senza dubbio influenzata da svariati elementi provenienti dall’ambiente accademico, il quale rende maggiormente consapevole il writer della storia dell’arte e delle sue pratiche. Egli infatti sostiene in diverse occasioni di essersi ispirato, per la realizzazione delle sue opere, ai dettami delle avanguardie novecentesche francesi e russe, nonché del Futurismo italiano. Un elemento che caratterizza l’intera poetica di Rendo è dato dalla ricerca e dalla creazione di ambientazioni scientifiche che fungano da sfondo per i propri lavori,141 sia murali che pittorici, realizzate attingendo ispirazione dalle sequenze televisive e dalle illustrazioni fumettistiche a lui contemporanee: difatti si
140 A. Cegna, Elogio alle tag. Arte, writing, decoro e spazio pubblico, p. 54.
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possono riscontrare alcuni riferimenti ai cartoni d’animazione giapponese e ai supereroi dei fumetti, come per esempio Spiderman, ma anche all’universo fantascientifico di Star Treck e Guerre Stellari. Inoltre, a causa del background derivante dal graffitismo, persiste nell’utilizzare la raffigurazione della lettera, sviluppandola e sperimentandola in tutte le forme possibili. La commistione di suddetti elementi compone ed improntato lo stile di Rendo, assai più astratto e sprovvisto di figurazioni identificabili; tuttavia non viene meno l’ambientazione fantastica e scientifica di sfondo. La produzione dell’artista in questione è composta sia da lavorazioni murali che da opere installata su supporti più tradizionali, come per esempio la tela; egli inoltre esplora ampiamente le potenzialità della scultura tridimensionale, rimodellando e modificando le forme a tal punto che gli studiosi definiscono le sue creazioni come “pitto-sculture”, ovvero strutture spaziali estremamente complesse che riproducono la silhouette delle lettere dell’alfabeto.142 [Figura 9] All’interno della propria pagina web ufficiale, Rendo definisce le opere in questione come «enormi strutture sospese nello spazio, cariche di una forte tensione dinamica, in cui i vari elementi che la compongono diventano la matrice dello spazio da cui sono compenetrati», poiché esso è considerato «un elemento attivo, che dialoga con l’osservatore al pari delle strutture».143 Nel corso della propria carriera, Rendo espone in diverse gallerie italiane e prende parte a svariati eventi, due dei quali contribuiscono senza dubbio alla formazione della sua notorietà: innanzitutto nel 2007 esibisce due sculture nel corso di “Street Art, Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up”, tenutasi presso il PAC – Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, successivamente invece partecipa al progetto “Sopra il sotto”, ideato da Metroweb e svoltosi per le strade di Milano nell’autunno del 2010. Tale iniziativa, che vede la partecipazione di due artisti internazionali quali Space Invader e Shepard Fairey, prevede la realizzazione di alcuni lavori al di sopra dei tombini in ghisa situati nella città, egli difatti decora alcuni di questi collocati nel viale di Montenapoleone.
Massimiliano Landuzzi (1970) è uno dei primi writer bolognesi e nel 1988 compare al di sopra del tessuto urbano cittadino per mezzo della tag “Rusty”, che lo accompagna per tutta la sua carriera. Sebbene non ci siano numerose fonti né altrettante biografie riguardanti la vita e la carriera dell’artista in questione, leggendo e ascoltando alcune testimonianze rese
142 Urban Art Renaissance. Energy Box, da un progetto di Davide Atomo Tinelli, a cura di F. Caroli, Skira
Editore, Milano 2015, p. 171.
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dalle personalità a lui coetanee, si evince un notevole contributo alla diffusione del fenomeno emiliano e un profondo rispetto nei suoi confronti. Egli è membro di diverse crew e nel corso degli anni Novanta viene inviato a numerose jam, alcuni sostengono che sia chiamato proprio in virtù della sua notorietà, la quale dovrebbe attirare altri writer a parteciparvi a loro volta. Lo stile di Massimiliano Landuzzi è in linea con quello più tradizionale ed americano: grandi lettere colorate, realizzate in modi differenti a seconda del supporto e del mezzo ma sempre caratterizzate da una calligrafia comprensibile. Alcune volte vengono aggiunti diversi simboli, come frecce e stelle, altre volte invece le sue opere presentano singole frasi oppure brevi testi, pensati e ideati interamente da lui. [Figura 10] Egli inoltre non riesce ad apprezzare a pieno i vagoni dei treni, difatti si focalizza sempre sulle pareti di edifici e di mura. Possiamo inoltre affermare che la poetica di Rusty nasce con i dettami del graffitismo ma si sviluppa ed evolve adattandosi ai tempi e alle esigenze, mutando anche le modalità di raffigurazione dei soggetti, cercando tuttavia di mantenere sempre invariata la propria cifra stilistica. Inoltre diventa mentore di molti giovani graffitari che durante gli anni Novanta sono i protagonisti della scena bolognese e oggi tiene alcuni laboratori presso diversi istituti accademici, propedeutici alla realizzazione di serigrafia ma anche allo sfruttamento di altre tecniche pittoriche.
BOL (1970), pseudonimo di Pietro Maiozzi, è un writer romano originario del quartiere Centocelle che durante il periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta si affaccia verso il graffitismo, realizzando alcuni pieces all’interno degli spazi di diversi centri sociali ma anche al di sopra delle pareti di alcuni edifici abbandonati e periferici. La maggior parte dei lavori di BOL è andata perduta, tuttavia grazie a testimonianze orali e digitali, provenienti specialmente dalla documentazione facente parte del proprio sito web, si evince che il lettering è stato centrale per la prima parte della sua produzione, che successivamente viene indirizzata verso un linguaggio maggiormente figurativo, caratterizzato dalla presenza di sfondi naturali e paesaggistici ma soprattutto di soggetti animali elaborati sotto forma di puppets, dunque definiti da un profilo stilizzato e caricaturale che richiama largamente le sembianze dei cartoon. Le frasi e le scritte sono sempre presenti all’interno dei lavori di Pietro, tuttavia non ne costituiscono più l’elemento centrale. [Figura 11] Lallo il Pappagallo è senza dubbio il personaggio maggiormente riconosciuto e celebre dell’intera produzione di BOL. Pietro Maiozzi è ancora attivo e produce diverse opere sul tessuto urbano romano, inoltre oggigiorno lavora anche come grafico e illustratore creativo, nonché come designer
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di giocattoli: recentemente fabbrica alcuni toys in resina e in serie di vinile, raffiguranti sia il Pappagallo Lallo e che Squiddy, un altro personaggio iconico della sua produzione.
Il tredicenne Luca Massironi (1970) si avvicina al mondo del writing già nella prima metà degli anni Ottanta, scrivendo sul tessuto cittadino milanese e individuando il proprio pseudonimo: “Flycat”, che trae chiara ispirazione dal cartone animato anni Sessanta “Top Cat”. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del nuovo decennio, si presenta l’opportunità di incontrare due figure chiave del Graffiti Writing statunitense: il pioniere A-One, nel corso della propria personale in territorio milanese, e il writer Phase 2, durante un soggiorno newyorkese dello stesso Luca. Siffatti momenti sono essenziali per la caratterizzazione dello stile di Flycat poiché, dopo aver tratto il maggior numero di insegnamenti possibili dai graffitari americani, focalizza ancor di più il proprio stile attorno ad un attento e meticoloso studio della lettera. Di conseguenza l’intero decennio successivo è contraddistinto dall’analisi e dalla ricerca del suddetto soggetto: il lettering e il mondo che lo circonda sono entrati così in profondità nella poetica e nel lavoro di Flycat, che egli ha intrapreso svariati viaggi, soprattutto all’estero, al fine di approfondire e sviscerare alcune tecniche e altrettanti metodi inediti, entrando dunque in contatto con altre figure specialiste del settore. Nel corso di siffatti viaggi, Luca Massironi incontra Rammellzee, “paladino” delle lettere dell’alfabeto che, colpito dall’interesse di quest’ultimo, nel 2010 conferisce a Flycat il soprannome di “Y-1”, ovvero di difensore della venticinquesima lettera dell’alfabeto nonché di militante-writer facente parte dell’esercito di cui Rammellzee era a capo. In conformità all’operato del proprio maestro, anch’egli redige un personale manifesto, denominato “Futurismo Celeste” e che racchiude una dottrina basata sulla necessità di comprendere il fatto che lo studio delle lettere dell’alfabeto sia un’arte: «purtroppo, la paleografia non ha mai affrontato finora l’aspetto artistico. Io vorrei trasmettere che le lettere non sono state inventate solamente per il commercio, come dicono gli storici, ma sono una liturgia. Se guardi alla cultura ebraica, per loro le lettere sono
sacre. E noi questo l’abbiamo perso»144. Si tratterebbe dunque di una poetica similare a quella di Rammellzee, dedita in particolar modo alla liberazione della lettera, un’entità indipendente e sacra, dalle catene della stampa a caratteri mobili. Flycat paragona le lettere
144 M. Florio, Flycat, una vita nel segno del writing, in “Per Milano”, gennaio 2020,
https://permilano.it/artisti-per-milano/flycat-una-vita-nel-segno-del-writing/ (consultato in data 16 gennaio 2020).
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a missili armati che «corrono sui vagoni della metropolitana»145 e che occupano gli spazi prescelti appositamente dai writer, poiché presso di loro è possibile espandere e promuovere la propria dottrina, raggiungendo dunque un maggior quantitativo di cittadini- spettatori. Inoltre, all’interno del manifesto “Epitoma Futurismo Celeste”, che si può leggere all’interno della sua pagina web, si rifà anche alle letterae caelestes, ovvero alla scrittura caratterizzante dei testi ufficiali della civiltà del Tardo Impero Romano, la quale risultava incomprensibile e illeggibile a chi non ne faceva parte, così come accade nel caso delle lettere che il writer riporta sul tessuto urbano a lui contemporaneo. I lavori di Flycat