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Il paradosso dell’arte di strada nella società italiana ma soprattutto nelle sue Autorità ed Istituzion

Diffusione ed evoluzione del fenomeno dell’arte di strada sul suolo italiano

8. Il paradosso dell’arte di strada nella società italiana ma soprattutto nelle sue Autorità ed Istituzion

«Penso di aver contribuito a valorizzare la città e non ad imbrattarla, soprattutto perché le opere sono state realizzate in aree degradate. Oggi invece è stato sancito il principio secondo il quale ogni espressione artistica è reato. (…). E lo stesso comune di Bologna sembra che voglia ospitare le opere di strada in un museo. E allora perché condannare me,

214 Sito web Guerrilla Spam, http://guerrillaspam.blogspot.com/p/bio.html (consultato in data 24 gennaio

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nonostante il parere contrario del PM?»215. Questa affermazione di Alice Pasquini, pronunciata nel giorno della sentenza che l’ha coinvolta, è atta ad affrontare una tematica scottante ed attuale: l’arte di strada viene sfruttata ed osannata dalle Amministrazione e dalle Istituzioni le quali, contemporaneamente, applicano politiche di condanna e di repressione della stessa. Com’è possibile? Si potrebbe affermare che l’Urban art, nella totalità delle sue forme, possegga due diverse nature, di cui una appartenente alla sfera dell’illegalità mentre l’altra è sostanzialmente legale e viene approvata da ogni norma vigente. Abbiamo sottolineato a più riprese come il primordiale fenomeno del graffitismo sfoci da una «necessità comunicativa»216 di alcune realtà sociali marginali e dimenticate dal resto del tessuto cittadino, le quali pertanto danno origine ad un nuovo linguaggio espressivo che presuppone la contestazione dei cosiddetti “poteri forti” e la riaffermazione della propria esistenza e della propria posizione sociale. Al fine di portare a termine tali intenti, alcune personalità partecipano in prima persona, assalendo sia superfici pubbliche che private, agendo pertanto su proprietà altrui. Siffatta tipologia di intervento nasce dunque dalla ricerca di una riscrittura dello spazio urbano e solamente in un secondo momento, conseguentemente all’evoluzione delle tecniche e degli stili ma in particolar modo all’operato di figure maggiormente interessate all’artisticità e all’estetica, scaturiscono velleità artistiche che suscitano l’interesse sia della cittadinanza spettatrice che di alcuni individui inseriti all’interno dei meccanismi del sistema e del mercato dell’arte. Ad ogni modo siffatti lavori, quali tag, murales, sticker, poster e stencil, se realizzati senza alcun tipo di autorizzazione al di sopra della trama urbana, rendono il gesto artistico particolarmente soggetto a contestazione. Quando invece ci troviamo di fronte ad un performer che ha ricevuto una commissione, sia da parte di un utente pubblico che privato, allora la propria lavorazione rientra all’interno della sfera di competenza della seconda natura dell’Urban art, quella legale.

Nel corso del ventennio trascorso tra gli anni Ottanta e Novanta, anche se la questione si verifica talvolta ancora oggi, le Amministrazioni italiane accomunano gli artisti di strada che promuovono e praticano l’Urban art nella sua prima natura alla stregua di vandali, tant’è che i loro lavori sono considerati meri atti di deturpamento e danneggiamento del tessuto cittadino, al pari delle scritte e dei simboli anarchici, razzisti, misogini ed insensati che si possono incontrare sui muri di alcuni edifici. Con un primo sguardo, i luoghi dove

215 Pagina Facebook di Alice Pasquini, post datato 15 febbraio 2016.

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queste inserzioni ancora oggi si manifestano sono praticamente i medesimi, ciò che invece contraddistingue l’Urban art è l’intenzionalità del gesto, le sue finalità e le significative connotazioni artistiche: l’arte di strada è essenzialmente riappropriazione ma anche denuncia e contestazione, riguarda la possibilità di esprimere sia la propria opinione che la propria visione del mondo indipendentemente dall’appartenenza sociale e culturale; altresì è contraddizione, conflitto e rottura con i dogmi del sistema e del mercato dell’arte tradizionale; inoltre può trattarsi anche di mero e semplice esercizio estetico, funzionale al raggiungimento di un certo prestigio. Tra l’altro la superficie selezionata per la realizzazione di un pezzo non è data dal caso bensì è scelta e studiata nei minimi particolari, difatti sussiste un profondo legame tra il luogo prescelto e ciò che l’opera deve e vuole trasmettere. L’atto vandalico invece si pone al polo opposto, d’altronde non presenta alcuna velleità artistica né una scelta ragionata del luogo che lo ospita, ma soprattutto è privo di quella «volontà critica»217 che caratterizza invece l’arte di strada. Nonostante tale differenziazione, per quanto l’Urban art venga considerata e riconosciuta dai più alla stregua di tutte le altre forme artistiche e malgrado chiunque sarebbe in grado di distinguere un mero atto vandalico da un intervento d’arte, la giurisprudenza non le attribuisce alcuna diversità. Dal punto di vista legislativo italiano, considerando il fatto che l’arte urbana sfrutta supporti altrui, che non viene sempre richiesta e che vìola alcune norme vigenti, bisogna considerare sia il tema del diritto d’autore che quello della proprietà privata, facendo subito presente che, sebbene sia in vigore una legge che protegge il diritto d’autore, quella che invece riguarda la tutela della proprietà privata ha quasi sempre prevalso in materia di giurisprudenza: dunque, anziché “paradosso della street art”, bisognerebbe definire tale questione come un conflitto tra due ordinamenti inerente al diritto dell’opera. Il Codice Penale italiano, datato al 1930 ma in continuo aggiornamento, al Titolo XIII, Capo I, prevede la tutela della proprietà privata e dispone di due articoli, il numero 635218

217 L. Ciancabilla, The sight gallery. Salvaguardia e conservazione della pittura murale urbana

contemporanea a Bologna, op. cit., p 36.

218 Art 635 c. p. – (danneggiamento): Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte,

inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Alla stessa pena soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le seguenti cose altrui:

1. edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto, o su cose di interesse storico o artistico

ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici ovvero su immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati, o su altre delle cose indicate nel numero 7 dell’articolo 625;

2. opere destinate all’irrigazione;

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e il 639219, che consistono nell’individuazione e identificazione di gesti che si possono ritenere rispettivamente di danneggiamento e di deturpamento ed imbrattamento di essa, oltre a predisporre alcune esemplificazioni delle potenziali condanne da assumere nei confronti di coloro che verranno accusati di tali reati. Gli articoli in questione, non comprendono alcuna differenziazione di intenti né di metodologie di lavoro e neppure segnalano alcun valore estetico e culturale di cui tenere conto, anzi, l’unica frase «chiunque […] deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa»220 è emblematica e rappresentativa della mancanza di salvaguardia e tutela di un gesto non solo ritenuto artistico dal sistema stesso dell’arte ma anche dalle Amministrazioni che ne fanno largo uso. Sussiste altresì una legge, la numero 633 del 1941, che sancisce una protezione del diritto d’autore, la quale tuttavia chiarisce che le opere che godono di tale salvaguardia siano solamente quelle «di ingegno»221, in quanto unicamente l’idea e la paternità di esse sono soggette a difesa.222 L’Articolo 20223 della norma in analisi approfondisce la questione della tutela, conferita e riservata solamente al diritto morale dell’autore, affermando che, qualora si tratti di lavori realizzati su superfici altrui e privi

al rimboschimento.

4. attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni

sportive.

Per i reati di cui al primo e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

219 Art 639 c. p.- (deturpamento e imbrattamento): Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa

o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103. Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro. Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio. Con la sentenza di condanna per i reati di cui al secondo e terzo comma il giudice, ai fini di cui all'articolo 165, primo comma, può disporre l'obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l'obbligo a sostenerne le relative spese o a rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna.

220 Ibidem.

221 Art. 1, comma 1, legge 633/1941: Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere

creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.

222 Anche negli USA sussite un articolo di una legge che tutela il diritto morale dell’artista: l’art. 6-bis del

Visual Artist Right Act (VARA).

223 Art. 20, comma 1, legge 633/1941: Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica

dell'opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

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del consenso del proprietario, l’artista perderebbe qualsiasi facoltà legata al loro possedimento fisico: la legge sostiene che l’autore abbia senza dubbio il diritto di rivendicare la paternità dell’opera ma non il suo possesso materiale, escludendogli in tal maniera l’autorità di contestare la storia futura dell’opera in questione, così come le sue modalità di conservazione e le singole scelte del proprietario della superficie. Gli articoli e le norme sopracitate si collocano all’interno del complesso legislativo che, già a partire dalla redazione del Codice Penale del corso del Novecento, è stato istituito in difesa delle cose mobili e immobili altrui.

Attraverso la diffusione del fenomeno su tutto il suolo italiano e a causa dell’aumento del numero di persone coinvolte, durante gli anni Novanta nasce una strategia finalizzata all’indebolimento della suddetta pratica artistica, rafforzata sia dalle diverse campagne di pulizia indette in molte città che dalla creazione di altrettanti provvedimenti. Nel 1998 si assiste invece alla redazione di aspre e dure sanzioni rivolte verso coloro che vengono sorpresi a imbrattare lo spazio pubblico oppure che risultano in possesso di una bomboletta spray, di cui tra l’altro sono aumentati vertiginosamente i prezzi. Inoltre, in data 15 luglio 2009 viene promulgata la legge numero 94 - Disposizioni in materia di sicurezza pubblica,224 che modifica diversi commi del Codice Penale italiano relativi alle condanne per coloro che vengono sorpresi ad “imbrattare” cose di interesse storico ed artistico, prevedendo un’ammenda fino a euro diecimila e in alcuni casi la reclusione per un periodo variabile dai tre mesi ad un anno. Con suddetta modifica, siamo di fronte ad un’ulteriore dimostrazione di come non venga fatta alcuna distinzione giuridica tra imbrattatori e vandali che deturpano persino gli edifici e gli spazi storici con invece gli street artist, che come abbiamo evidenziato a più riprese agiscono in modo totalmente differente. Le sentenze in merito a tale fenomeno e alla differenziazione tra gli uni e gli altri sono dettate esclusivamente dalla soggettività delle Istituzioni e dalla loro volubilità, oltre che dalle singole decisioni dei giudici a cui vengono affidate le suddette questioni. Il caso di Daniele Nicolisi, lo street artist Bros di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti, è un’emblematica testimonianza di siffatti accadimenti: nel 2010 viene denunciato dal Comune di Milano che accusa il suddetto artista di aver imbrattato e vandalizzato il tessuto urbano della città nella quale, quasi come un paradosso, espone in diversi luoghi istituzionali come il Palazzo Reale e il PAC – Padiglione di Arte Contemporanea. Il giudice

224 Decreto che si pone l’obiettivo di combattere la criminalità diffusa ed organizzata, rivedendo e

modificando alcuni articoli preesistenti del Codice Penale italiano e aggiungendone altri. Il disegno di legge prevedeva 20 articoli.

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a cui è affidata la contesa, dopo aver vagliato i capi d’imputazione, decide di prosciogliere Bros dalle accuse, definendo il reato prescritto dal momento che i fatti in questione sono risalenti al 2007. È necessario evidenziare il fatto che l’Amministrazione milanese risulta particolarmente attiva nella rimozione dei graffiti e nella persecuzione dei loro realizzatori e che, senza ombra di dubbio, il processo a Daniele Nicolosi è il primo esperimento funzionale alla valutazione del nuovo inasprimento sanzionatorio. Sebbene lo street artist in questione non venga condannato né multato, non è ottenuta alcuna rivalutazione né una ridefinizione dei confini e delle differenze tra arte di strada e vandalismo da parte del giudice e del complesso della giurisprudenza. In ugual modo, solamente tre anni dopo Alice Pasquini vive la stessa situazione, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente: viene citata in giudizio per imbrattamento dal Comune di Bologna ed è accusata di aver danneggiato muri e portoni della città, nonostante in quasi tutto il mondo ella venga riconosciuta come una street artist di notevole rilevanza. Benché l’apprezzamento nei confronti dell’arte di strada sia aumentato con l’intercorrere del tempo, oggigiorno l’atteggiamento rispetto a tale fenomeno espressivo è dipendente dalle singole personalità istituzionali: ciò comporta che potrebbe essere in carica un Assessore oppure un Sindaco che apprezza tale realtà artistica e predilige lo sfruttamento dei suoi dettami, mentre in un secondo momento si potrebbe aver a che fare con una figura restìa a siffatto processo creativo, la quale persiste nella condanna e nella promozione delle campagne di pulizia. Per quanto riguarda il primo caso, l’Urban art viene sfruttata da parte delle Istituzioni, delle Amministrazioni e delle associazioni culturali che si appropriano di tale linguaggio espressivo con una duplice finalità: da un lato tentano di sviluppare una gestione e un controllo attivo degli interventi urbani ma anche dei singoli artisti, dall’altro invece ricorrono allo sfruttamento dell’arte di strada per sviluppare progetti di riqualificazione urbana che puntano a conferire una nuova centralità ad uno specifico quartiere e un’attrattività turistica alla città che li ospita, tentando dunque di attrarre un maggior numero di persone verso siffatto polo. Accade inoltre che i lavori realizzati sul tessuto urbano vengano ritenuti indispensabili e carichi di alcuni valori sia da parte della cittadinanza, che vive nei quartieri interessati, sia delle Amministrazioni, nonostante questi appartengano alla sfera dell’illegalità, e dunque si verifica che vengano attivati diversi programmi che prevedono la loro protezione: alcune volte si opera direttamente in situ, come nel caso della Madonna con la pistola (2010) a Napoli [Figura 73], uno dei rarissimi lavori italiani attribuiti a Banksy, che viene coperto da una barriera protettiva di plexiglass, altre invece le opere sono rimosse dal loro luogo d’origine per essere trasportate in spazi

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istituzionali, in modo da rimanere visibili e fruibili ad un pubblico pagante e non. Si adopera suddetta modalità di intervento principalmente a causa della caducità degli edifici che ospitano tali inserzioni, solitamente abbandonati e fatiscenti, ma anche a causa della pericolosità dei vandali e di quelle figure che mirano a strappare le opere al fine di rivenderle, uno scenario che si verifica frequentemente quando si tratta degli stencil di Banksy, fortemente quotati sul mercato dell’arte contemporanea. Considerando che le Istituzioni possono mettere in atto svariati procedimenti e creare progetti che impiegano l’arte urbana e che beneficiano della sua popolarità, è paradossale il fatto che tutt’oggi, all’interno della legge sul reato di imbrattamento, non vi siano alcun cenno a tale espressione artistica né una sua minima differenziazione rispetto al vandalismo. Anzi, nonostante un atteggiamento sempre più aperto, disponibile e favorevole nei confronti della street art, permane la creazione saltuaria di norme ed ordinanze: un chiaro esempio è dato dal decreto numero 14 - Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, varato il 20 febbraio 2017 e convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, L. 18 aprile 2017, n. 48225. L’allora Ministro dell’interno Marco Minniti crea un ordinamento, il cui argomento principale riguarda la sicurezza delle città e il mantenimento del decoro urbano. In merito a quest’ultimo punto, è stabilito che le superfici e le pareti cittadine debbano essere pulite, al fine di assicurare una città decorosa e di conseguenza sicura. Come abbiamo già osservato, non si tratta della prima normativa italiana riguardante lo spazio pubblico ed il vandalismo, tuttavia in questo caso si parla specificatamente di “decoro”, un’espressione che comprende sia l’evacuazione dei clochards dagli spazi cittadini sia la cancellazione di scritte ed altre presenze dalle pareti, comprese quelle artistiche.226 Si potrebbe senza dubbio considerare la predisposizione amministrativa delle campagne di repressione e pulizia, al fianco delle normative come quella appena citata, come finalizzate alla rassicurazione di quella parte dell’elettorato che ancora persiste nell’accostare il graffitismo alla criminalità: sembrerebbe ridursi tutto ad un contesto e ad un’azione politica.

225 È molto interessante notare come, all’articolo 16, si tratta del reato d’imbrattamento e che esso potrebbe

portare addirittura al carcere: “All'articolo 639 del codice penale, dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: Con la sentenza di condanna per i reati di cui al secondo e terzo comma il giudice, ai fini di cui all'articolo 165, primo comma, può disporre l'obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora ciò non sia possibile, l'obbligo a sostenerne le relative spese o a rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna”.

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