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8. Artisti più quotati del mercato dell’arte 1 Banksy (1974/1975?)

8.2 Shepard Fairey / Obey (1970)

Originario della Carolina del Sud, Obey è riconosciuto nel campo della street art come uno dei maggiori rappresentanti degli anni Duemila. Nel 1989, trasferitosi a Providence per frequentare la Rhode Island School of Design, crea lo sticker che l’ha introdotto nel mondo dell’arte di strada: egli rielabora una foto del pugile André The Giant, realizzando un’immagine stilizzata. Nel documentario firmato da Banksy Exit through the gift shop (2010), Shepard Fairey racconta di come abbia selezionato questo soggetto proprio per l’espressione del personaggio, secondo lui alquanto interessante poiché c’era qualcosa di inquietante che lo attirava. La prima volta in cui egli sfrutta il proprio sticker risale al 1980, durante il periodo delle elezioni sindacali della città: Shepard Fairey sostituisce, su un manifesto elettorale, la testa di uno dei candidati con quella del suo The Giant. Sfruttando sempre il medesimo soggetto, crea anche una sorta di campagna, realizzando un altro adesivo ritraendo ancora una volta il pugile ma aggiungendo una scritta “ANDRE THE GIANT HAS A POSSE 7’ 5”, 520 lb”, in cui i numeri dovrebbero fare riferimento all’altezza e al peso del wrestler. Tale lavoro viene definito dagli esperti come un inside- joke, comprensibile solamente a coloro che appartengono alla street culture dello skateboard, della quale fa parte lo stesso Shepard Fairey e verso cui sono rivolti gli adesivi sparsi per tutto il paese. Egli ha infatti invaso il tessuto urbano di moltissime città statunitensi.

Nel 1994, dopo aver aperto una sua stamperia e aver raggiunto una certa fama, inizia a produrre i poster con il viso del pugile e l’aggiunta della sentenza “OBEY” che lo hanno reso celebre e conosciuto con quello pseudonimo: il lavoro prevede una stilizzazione grafica del volto dell’uomo in bianco e nero e al di sotto si trova l’iconica scritta bianca su di uno sfondo rosso. Se si vuole trovare una motivazione per l’utilizzo della parola obey, che significa “obbedisci”, senza dubbio si deve fare riferimento alla propaganda e alla pubblicità a lui contemporanea ma è altresì necessario tenere conto della pellicola cinematografica They Live (1988), una delle preferite dell’artista, in cui compaiono alcuni cartelloni con la suddetta scritta. Probabilmente è da questa riproduzione che è nata parte dell’ispirazione di Shepard Fairey. All’interno della sua pagina web ha scritto: «the sticker has no meaning but exist only to cause people to react, to contemplate and search for meaning in the sticker. Because OBEY has no actual meaning, the various reactions and interpretations of those who view it reflect their personality and the nature of their

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sensibilities»92. Inoltre ha evidenziato ripetutamente, durante svariate interviste e riflessioni personali, come questa “campagna” di stickers sia un esperimento di fenomenologia che cerca di far vedere alle persone quello che si trova sotto i loro occhi ma che non riescono a recepire, oltreché le cose che danno per scontate. Dunque l’intento dell’artista è quello di risvegliare la curiosità e l’attenzione della società “bombardando” il tessuto urbano con i propri lavori93. A ogni modo, dalla metà degli anni Novanta, inizia a lavorare molto più assiduamente come street artist, con lo pseudonimo e il logo di OBEY, producendo soprattutto stampe e immagini in serie, sperimentando altresì il murale: per l’appunto ha realizzato sia poster e adesivi da incollare sulle pareti degli edifici sfruttando modalità illegali, che pitture murali e tele di ingenti dimensioni da esporre nelle sue mostre personali. La stamperia si trasforma in un’agenzia di grafica e nel 2001 crea il marchio “OBEY Clothing”, attraverso il quale supporta finanziariamente il suo lavoro artistico e con il quale realizza alcuni prodotti legati allo stile urbano, incorporandovi messaggi e simboli propagandistici e provocatori. La sua fama e il suo lavoro si diffondono in tutto il suolo americano e, grazie al manifesto Hope del 2008 [Figura 21], in cui ritrae il candidato alle elezioni presidenziali Barack Obama, è stato possibile raggiungere un pubblico largamente vasto e mondiale. Tuttavia, come conseguenza di tale produzione, viene chiamato in causa dall’Associated Press: Shepard Fairey ha utilizzato una foto prelevandola da un sito internet senza curarsi dei diritti e della sua paternità e in tal caso si è trattato di uno scatto inserito all’interno del “patrimonio” dell’A.P. stessa, di conseguenza per avvalersene avrebbe dovuto pagarne i diritti. Shepard ha perso la causa e ha dovuto pagare un’ingente somma di denaro all’associazione in questione.

I lavori dell’artista nascono da un connubio di fotografia, arti grafiche e dallo studio delle copertine degli album punk-rock. Fondendo tra loro tutti questi studi ha dato vita ad uno stile caratterizzato da colori vivaci, simboli e motivi ripetuti, come per esempio la stella o il punto esclamativo.

92 Sito web OBEY, https://obeygiant.com/propaganda/manifesto/ (consultato in data 15 gennaio 2020): «lo

sticker non ha senso ma esiste solo per creare una reazione delle persone, per contemplare e ricercare un

significato nello sticker. Dal momento che OBEY non ha nessun tipo di significato, le diverse reazioni e interpretazioni di quelli che lo vedono, riflettono la loro personalità e la natura delle loro sensibilità».

93 Ibidem: «the OBEY sticker campaign can be explained as an experiment in Phenomenology. […]

Phenomenology attempts to enable people to see clearly something thas is right before their eyes but obscured; things that are so taken for granted that they are muted by abstract observation. […] The fist aim of phenomenology is to reawaken a sense of wonder about ones’s environment. The obey sticker attempts to simulate curiosity and bring people to question both the sticker and their relationship with their surroundings».

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8.3 Invader (1969)

Nonostante sia noto il vero nome di Invader, ossia Franck Slama, la sua figura resta avvolta nel mistero. L’unica notizia nota e certa è la sua vicinanza con Thierry Guetta, aka Mr. Brainwash: difatti sono imparentati, per l’esattezza cugini. La sua produzione consiste principalmente in installazioni-mosaico ispirate al videogioco anni Settanta-Ottanta Space Invaders, scelto poiché ritenuto l’icona perfetta per la rappresentazione del mondo di oggi, in cui la tecnologia è la chiave e il cuore pulsante94. La prima installazione è datata 1998 e viene realizzata a Parigi, presumibilmente la città dove vive e dove è situato il suo studio: egli infatti ha ammesso di avere un luogo nel quale produce i propri lavori con l’ausilio di poche persone a lui fidate. Dopo aver iniziato a produrre e realizzare i suoi mosaici in Francia, si è espanso ed ha inserito le proprie installazioni nel tessuto urbano mondiale. Utilizzando diverse tipologie di colle e di cemento, crea i suoi mosaici su superfici che si trovano in zone per lui nevralgiche della vita delle città, solitamente tra i tre e i cinque metri d’altezza, in modo da sollecitare «l’attenzione di un’elite di sensibilità e attenzioni differenti che gli consentirà di individuare i generali del suo esercito, sviluppando un consenso sotterraneo. […] L’arte sceglie solo chi sia pronto ad accoglierla. E disposto a cercarla»95. I mosaici in questione sono composti da piccole piastrelle colorate che rimandano all’immaginario dei pixel e che, assemblate, creano i personaggi del gioco Space Invaders. [Figura 22] All’interno della propria pagina web, si può trovare la spiegazione di quello che il suo lavoro si promette di fare: liberare l’arte dall’alienazione dei musei e delle gallerie, invadendo il tessuto urbano e lasciando traccia del proprio passaggio avvalendosi delle installazioni.96 Sostiene di volere creare tra i venti e i cinquanta mosaici per città, un’opera alla volta, per aumentare il proprio score, ossia il punteggio che rappresenta il fine ultimo di ogni videogioco. Invader definisce questo progetto come una “precisa e seria invasione estetica”97 in cui ogni singolo lavoro è unico ma rientra in una più grande installazione tentacolare. Ha inoltre progettato un’applicazione scaricabile su ogni dispositivo digitale che contiene delle mappe, le quali permettono ai suoi seguaci di poter trovare più facilmente le installazioni sia per vederle ma soprattutto per poterle raccogliere e collezionare virtualmente, come all’interno di un videogioco.

94 Sito web di Space Invader, https://www.space-invaders.com/about/ (consultato in data 15 gennaio 2020):

«They are the perfect icons of our time, a time where digital technologies are the heartbeat of our world».

95 V. Arnaldi, Che cos’è la street art? E come sta cambiando il mondo dell’arte, op. cit., p. 95.

96 Sito web di Space Invader, https://www.space-invaders.com/about/ (consultato in data 15 gennaio 2020). 97 Ibidem: «I try to evolve and reinvent myself at all time while leading a precise and serious aesthetic invasion

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In tempi recenti, ha ideato un ulteriore progetto intitolato “Rubikcubism”: utilizzando il cubo di Rubik ha realizzato ritratti di personaggi famosi e ha riprodotto alcune opere che fanno parte della tradizione della storia dell’arte, come la Gioconda di Leonardo Da Vinci [Figura 24] oppure le serigrafie delle zuppe Campbell di Andy Warhol.

Negli ultimi anni, sempre sfruttando il mezzo del tessuto urbano, realizza alcuni lavori che si ispirano ai QR code delle applicazioni digitali, il cui significato e messaggio può essere scoperto solamente utilizzando dispositivi elettronici che presentano un lettore per il suddetto codice. [Figura 23]