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6. Gli artisti più not

6.1 Keith Haring (1958-1990)

Nato e cresciuto in Pennsylvania, Keith Haring mostra fin dalla tenera età una notevole propensione ed un forte interesse per le discipline artistiche, un’inclinazione che condivide con il padre, il quale si diletta specialmente nel disegno dei fumetti. Nel 1976, a seguito del raggiungimento del diploma, decide di iscriversi all’Ivy School of Professional Art di Pittsburgh per frequentare l’indirizzo di grafica pubblicitaria, cosa che però si verifica unicamente per due semestri successivi. Dopo aver abbandonato la carriera scolastica, si dedica principalmente all’approfondimento della propria poetica,53 fin tanto che nel 1978 prende parte ad una piccola retrospettiva di dipinti e disegni presso l’Arts and Crafts Center di Pittsburgh e lo stesso anno si trasferisce a New York, dove viene ammesso alla School of Visual Arts e segue i corsi di storia dell’arte, scultura, disegno e pittura. Il trasferimento in una grande metropoli gli ha dato la possibilità di sperimentare a pieno le diverse idee e ambizioni della sua arte, soprattutto dal momento in cui inizia a frequentare i vivaci scenari artistici dell’East Village e del quartiere di Soho.

51 All Posts Tagged: Chris “Daze” Ellis, in “Brooklyn Street Art”, 19 febbraio 2018,

http://www.brooklynstreetart.com/tag/chris-daze-ellis/ (consultato in data 14 gennaio 2020).

52 Ibidem.

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All’interno delle proprie opere è ben visibile l’incidenza che ha avuto l’influsso fumettistico derivante dal padre, soprattutto per quanto riguarda i personaggi di Walt Disney e di altri eroi dell’animazione televisiva che ritornano di frequente nei lavori di Keith; hanno avuto un considerevole impatto sulla sua poetica anche il mondo dei geroglifici e dei pittogrammi giapponesi, lo stile di Pablo Picasso e la street culture del Graffiti Writing. Intorno al 1980 Keith Haring inizia a disegnare negli spazi adibiti per la pubblicità figure stilizzate con l’utilizzo di gessetti bianchi sulle superfici spoglie e nero opaco dei manifesti pubblicitari nella metropolitana newyorkese. Nonostante tale lavoro abbia comportato svariate volte il suo arresto, egli ha proseguito imperterrito nella propria “missione” di riempimento i suddetti spazi neri tramite il disegno dell’omino che è divenuto la propria icona rappresentativa.

Tra la fine degli anni Settanta e gli albori degli Ottanta, inizia ad esibirsi nei locali underground della città, come il Club 57 o il Mudd Club, per il quale lui stesso cura qualche mostra, fino ad approdare negli spazi delle gallerie, inizialmente facendo parte di collettivi artistici e in un secondo momento come singolo: nell’ottobre del 1982 viene organizzata la sua prima personale alla Tony Shafrazi Gallery, all’interno della quale sono esibiti sia disegni e dipinti di grande formato realizzati su teloni vinilici che una particolare installazione creata in loco nel periodo dell’eposizione stessa. A seguito di tale evento, altre gallerie richiedono la presenza Keith Haring, aumentando progressivamente la sua fama e dandogli la possibilità di esplorare il mondo: lo stesso anno della personale, per esempio, partecipa alla Documenta 7 di Kassel, in Germania.

Nonostante la realizzazione di lavori dedicati a luoghi espositivi istituzionali, non ha mai smesso di agire sugli spazi destinati alla pubblicità né di produrre lavori sulle pareti del tessuto urbano, egli disegna persino sul muro di Berlino solamente tre anni prima della sua caduta. Di fatto, continua a sperimentare e creare su qualsiasi supporto gli capita tra le mani: fogli, magliette, automobili, calzature e altri svariati oggetti.

Dal momento che riceve ordini e commissioni da tutte le parti del mondo, nel 1986 decide di aprire il “Pop Shop” a SoHo, un negozio dove si possono comprare gadget o riproduzioni delle sue opere: è il primo tra tutti, oltre al collega e amico Andy Warhol, a commercializzare da sé la propria arte. È interessante sottolineare il fatto che la maggioranza dei suoi introiti viene devoluta in beneficienza.

Il lavoro di Keith Haring è caratterizzato dalla presenza di omini stilizzati disegnati con un contorno continuo, chiamati radiant children, dalla realizzazione di animali, come il celeberrimo “cane di casa”, oppure di oggetti rappresentanti la cultura di massa e popolare

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che «dipin[g]e insieme a immagini di fantascienza, astronavi e fucili a raggi; tecnologia, robot, computer, televisioni, antichità, piramidi e anfore su cui disegna telefoni e piramidi e danzatori acrobatici»54. Spesso le sue figurazioni possono presentare un contorno deciso e spesso, mentre il loro interno potrebbe essere sia colorato che rimanere completamente “vuoto”, della medesima tonalità di sfondo. Come ci racconta Achille Bonito Oliva nel suo volume Basquiat e gli American Graffiti (2017), Keith Haring sfrutta i propri segni caricaturali e il proprio surrealismo per descrivere con un «atteggiamento leggero»55 e con un linguaggio giocoso e largamente comprensibile alcuni argomenti controversi e delicati, nonché per promuovere tematiche importanti che richiedevano di essere scoperte e analizzate con un occhio critico. [Figura 11] [Figura 12] Egli si adopera in particolar modo nella lotta all’AIDS, una malattia che sta proliferando proprio negli anni a lui contemporanei e che inoltre è stat la causa della sua morte, nel 1990. Renato Barilli afferma che Keith Haring, con i suoi “omini”, «scarnifica le figure, le riduce al livello di geroglifici pronti a reiterarsi all’infinito, a moltiplicarsi in una illimitata popolazione di cloni […]. Haring non ci dà mai singoli dipinti, bensì lunghe sfilate seriali che vanno a occupare altrettanto lunghe pareti di stazioni di subway, o di edifici pubblici, o di pannelli decorativi per superstores, ritrovando la sapienza dei fregi decorativi»56.

Nonostante egli abbia frequentato il territorio italiano in svariate occasioni a partire dal 1984, anno in cui ha luogo “Arte di Frontiera: New York Graffiti” nonché durante il quale egli decora e pittura le pareti dello store di Fiorucci in piazza San Babila sfruttando ancora una volta i suoi iconici omini, oggigiorno è presente e consistente in territorio locale un esiguo complesso di tracce del suo operato, che comprende altresì l’ultimo lavoro antecedente alla prematura morte: Tuttomondo (1989) [Figura 13]. Per l’appunto, la maggioranza dei graffiti realizzati nel contesto del tessuto urbano italiano sono stati cancellati: un esempio su tutti è dato dalla rimozione avvenuta nel 1992 delle figure elaborate su di un angolo della facciata del Palazzo delle Esposizioni di Roma in occasione del frangente romano dell’esposizione progettata da Francesca Alinovi sopracitata; altresì, a seguito della chiusura del concept store di Fiorucci nel 2003, gli interni del negozio sono stati venduti all’asta. Per quanto riguarda Tuttomondo (1989) invece, si tratta di un murales realizzato al di sopra della parete esterna del Convento della chiesa di Sant’Antonio Abate di Pisa a seguito di un incontro nella metropoli newyorkese dell’artista stesso con un

54 R. F. Thompson, Introduzione, in Haring K., Diari, Mondadori Editore, Milano 2019, p. 23. 55 A. Bonito Oliva, Basquiat e gli American Graffiti, op. cit., p. 39.

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giovane studente pisano, Piergiorgio Castellani, e che raffigura una trentina dei suoi colorati radiant children, sia in forma umana che animale: un’utopia di pace universale vasta 180 metri quadri, all’interno della quale le figure si tocca e contornano la Croce pisana posta nel mezzo.