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Jean-Michel Basquiat (1960-1988)

6. Gli artisti più not

6.2 Jean-Michel Basquiat (1960-1988)

Jean-Michel Basquiat nasce a Brooklyn in una famiglia che vanta origini sia portoricane che haitiane. Il padre appartiene ad un ambiente relativamente borghese, cosa che differenzia il vissuto dell’artista in esame da quelle che sono le storie e i luoghi dei writer a lui contemporanei. Nonostante ciò, fin da subito manifesta un disagio nei confronti nella propria vita e cerca di allontanarsi dalla sua appartenenza sociale arrivando a frequentare quei luoghi più dimenticati e abbandonati della metropoli e incontrando i cultori della street culture dell’hip hop e del Graffiti Writing. Pertanto si interessa a siffatto movimento, ai suoi dogmi e alle modalità di espressione ma non giunge mai ad utilizzare i vagoni o gli spazi della metropolitana come supporto per i propri lavori. La tag Samo©, comparsa per le strade newyorkesi a partire dal 1978 e acrostico di “The Same Old Shit”, è lo pseudonimo utilizzato da Jean-Michel Basquiat e due suoi amici, Al Diaz e Shannon Dawson, per scrivere aforismi ma anche sentenze e slogan politici caratterizzati da un tono goliardico e ironico, al tempo stesso disorientante, su tutto il tessuto urbano di Manhattan ma specialmente nei pressi del quartiere di TriBeCa e SoHo, dove sono collocate «le nuove gallerie di “scoperta” dei graffiti»57. Si potrebbe dunque indicare siffatta tag come un’astuta forma di marketing, difatti Jean-Michel Basquiat ha costruito un alter ego a mero scopo promozionale ed economico: egli entra in via non ufficiale a far parte del mondo dell’arte proprio grazie all’associazione con il graffitismo, che sta vivendo il suo massimo periodo di popolarità. Tuttavia egli non sfrutta solamente il suddetto fenomeno, bensì da esso acquisisce e conserva alcuni elementi nella composizione della sua pittura: l’immediatezza e la frontalità, la scrittura «cromaticamente aggressiva»58 e i giochi di parole, che sono stati un elemento centrale per il suo intero lavoro. Tutte queste caratteristiche vengono poi filtrate, come asserisce Achille Bonito Oliva in un testo dedicato allo studio del suddetto artista, «attraverso un senso costruttivo dell’immagine, un sistema d’ordine formale capace

57 P. Hoban, Basquiat. Vita lucente e breve di un genio dell’arte, Castelvecchi Editore, Roma 2005, p. 36. 58 A. Bonito Oliva, Basquiat e gli American Graffiti, op. cit., p. 19.

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di recintare dentro il perimetro dell’opera le diverse forze che l’attraversano»59; il disegno rappresenta il suddetto recinto, che attenua l’aggressività del linguaggio e delle immagini che l’artista desidera esprimere nelle proprie opere.

Come la maggior parte degli artisti a lui coetanei, egli trova nelle macchine, nei personaggi dei cartoni animati e nei simboli della cultura pop, i soggetti da raffigurare e da disegnare in quel modo «grezzo e infantile»60 che contraddistingue la sua arte [Figura 14] [Figura 15] [Figura 16] ed è stato rilevato che uno degli elementi centrali della sua poetica è legato alla raffigurazione anatomica dell’uomo, sappiamo infatti che Jean-Michel Basquiat è affascinato dal volume Gray’s Anatomy(1858), che tratta proprio del corpo umano, tuttavia la modalità che sceglie per disegnare tali soggetti non sono affatto realistici, egli infatti rappresenta la figura umana in modo piatto, frontale e stilizzato, rivelando parzialmente gli scheletri e gli organi interni,61 prediligendo una pennellata e un segno interrotto, veloce e non continuo. Siffatta tecnica stilistica risulta strettamente legata agli influssi provenienti dai cartoon a lui contemporanei. A causa del suo stile unico e insolito, gli studiosi definiscono le opere di Jean-Michel Basquiat come un misto di graffitismo e Art Brut62, appellandole spesso come “falsi-primitivi”63 che hanno subìto l’influsso dell’Espressionismo astratto e del Neoespressionismo, quel movimento che si prefigge di riportare la pittura al centro della pratica artistica.

Tramite le sue opere, egli esprime se stesso, le proprie concezioni e i propri tormenti: difatti alcuni lavori riportano il suo conflitto con la società, il suo essere diverso, ossia un ragazzo di colore in un mondo istituzionale governato da persone con la pelle bianca, altri invece raffigurano quelli che sono i suoi “fantasmi”, le sue insicurezze e le sue sofferenze. Chi gli è sempre stato vicino, sostiene che Jean-Michel cercava di esorcizzare i propri demoni attraverso l’arte, nonché di riportare e rappresentare tutti quelli che sono i soggetti e gli elementi della società a lui contemporanea, dalle icone pop degli anni Ottanta ai simboli e movimento socio-politici mondiali, tra cui la rilevanza e la marginalità dell’uomo di colori e tutti i temi a esso connessi64. I suoi segni prediletti, quelli che ritornano più di frequente nella realizzazione delle tele, sono senza dubbio la corona e il simbolo del copyright, reminiscenze provenienti dal mondo del graffitismo.

59 Ivi, p. 21.

60 P. Hoban, Basquiat. Vita lucente e breve di un genio dell’arte, op. cit., p. 66.

61 Basquiat a Venezia, a cura di Achille Bonito Oliva (Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa), Fondazione

Bevilacqua La Masa, Venezia 1999, p. 42.

62 D. Dogheria, Street art, op. cit., p. 22.

63 P. Hoban, Basquiat. Vita lucente e breve di un genio dell’arte, op. cit., p. 10. 64 Basquiat a Venezia, a cura di Achille Bonito Oliva, op. cit., pp. 44-46.

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Nel corso della sua breve vita partecipa ad alcuni lavori del collettivo CoLab, così come a diverse esposizioni tenute al Mudd Club e al Club57 e viene affiancato da svariati galleristi che promuovono e finanziano il suo lavoro: la prima personale di Jean-Michel ha luogo nel 1981, presso la galleria Mazzoli di Modena, mentre nel 1982 viene allestita un’esposizione alla Galleria Nosei di New York, nello stesso anno dell’incontro fortuito con Andy Warhol che ha portato al sodalizio d’amicizia dell’anno seguente. Il suo comportamento eccentrico e appariscente rappresenta a pieno l’immagine della star degli anni Ottanta e molto rapidamente, nel corso di pochissimi anni, diviene una celebrità internazionale: sono proprio quelli gli anni in cui portare alla ribalta e al successo artisti giovani e ancora sconosciuti diviene una prassi nel mercato dell’arte, infatti i numerosi galleristi indipendenti presenti sulla scena americana cambiano frequentemente le proprie preferenze e i propri acquisti, per potersi fare un nome e spiccare rispetto agli altri.

Jean-Michel Basquiat è morto a causa di una overdose da eroina nell’agosto del 1988.

Per quanto riguarda questi ultimi due artisti, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, è importante sottolineare il fatto che, identificare nelle loro figure i “capofila” del Graffiti Writing e le personalità con più successo che sono nate da questo fenomeno, non sia per nulla corretto. Senza dubbio entrambi hanno interagito, assimilato e sperimentato il suddetto stile, tuttavia lavorando in modo diverso e non tradizionale: Jean-Michel Basquiat, infatti, oltre a scrivere degli aforismi sulle pareti utilizzando lo pseudonimo di Samo© e oltre ad aver utilizzato gli stessi strumenti del graffitismo grazie ai quali ha acquisito un «controllo degli strumenti linguistici»65, ha creato un proprio stile che richiamava maggiormente il Neoespressionismo e l’Art Brut di Dubuffet. Keith Haring, invece, sebbene i suoi omini lo avvicinino al Graffiti Writing e nonostante egli stesso abbia affermato di essersi ispirato a questo fenomeno, non rispecchia affatto quelle che erano le caratteristiche dei writer e la loro storia evolutiva. Keith Haring in un’intervista ha specificato una cosa fondamentale sul sistema dell’arte di quegli anni, in grado di illustrare, almeno in parte, l’errata associazione che viene fatta tra loro e il Graffiti Writing: «A Jean- Michel fu affibbiata l’etichetta di graffitista. Il totale travisamento e la manipolazione di questo “ipotetico” gruppo è un esempio perfetto del mondo dell’arte dei primi anni Ottanta. La gente era più interessata al fenomeno che all’arte in sé. Cosa che, unita al crescente interesse per il collezionismo d’arte come investimento e al conseguente boom del mercato

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dell’arte, lo rese un periodo in cui per un giovane artista era difficile restare puro e non diventare cinico»66. Entrambi vengono considerati parte di un movimento artistico poiché presentano qualche caratteristica in comune, senza però andare ad indagare a pieno e a fondo nella poetica e negli intenti. Diversamente da quell’epoca, si è maggiormente consapevoli e consci delle loro identità, pertanto si può affermare senza ombra di dubbio come queste due figure si scostino dal fenomeno del graffitismo.

Verso la fine degli anni Ottanta, il graffitismo inizia ad essere ritenuto poco elaborato nello stile e troppo complesso nella comprensione. Inoltre, gli artisti che vivono in suddetto periodo, iniziano a manifestare il bisogno di creare un legame più visivo e comunicativo con il passante, con lo “spettatore della strada”: siffatto inedito interesse sfocia nella street art, intesa come post-graffitismo, come “abbandono” dei graffiti e avvento delle rappresentazioni figurative, che trova il suo culmine nei murales degli anni Duemila. A partire dagli anni Ottanta il graffitismo viene considerato unicamente come una moda, «il bip di un radar […] che galvanizzò un decennio, e poi svaporò, un terremoto giovanile e passeggero i cui principali promotori e agitatori morirono giovani o divennero adulti»67. Fu infatti il Neoespressionismo a prendere il sopravvento e a influenzare il mondo dell’arte per gli ultimi vent’anni del 1990.