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Per molto tempo le politiche sociali si sono occupate essenzialmente della redistribuzione delle risorse in termini di protezione sociale. Da metà degli anni Novanta prende piede il modello dell’attivazione. Alla base vi è l’idea che il sistema di

welfare non possa più fondarsi solo su interventi redistributivi di tipo assistenzialistico

ma debba comprendere interventi maggiormente personalizzati di responsabilizzazione dei beneficiari, al fine della loro attivazione per il reinserimento nel mercato del lavoro. In questo sistema è particolarmente importante il ruolo degli operatori di welfare, nella traduzione e realizzazione concreta delle politiche. In questi termini è necessaria la riflessione sulle modalità operative degli Assistenti Sociali, in prima linea nei servizi pubblici nel rapporto con le persone che si rivolgono ai Servizi e chiamati alla sintesi tra regole formali istituzionali ed autonomia professionale come attori di policy impegnati nella realizzazione delle stesse. La professione di Assistente Sociale racchiude tra le responsabilità il mandato deontologico della mediazione tra politiche e bisogni, da una posizione di dipendenza rispetto al contesto formale istituzionale in cui opera ma sempre e comunque come “esperto della relazione”, la quale si trasforma in veicolante per un bagaglio di saperi ed esperienze preziosi nella costituzione delle stesse politiche pubbliche.

Il modello dell’attivazione è fondato sull’idea di progettualità di aiuto finalizzate alla responsabilizzazione ed alla creazione di opportunità e percorsi di potenziamento in termini di skills, delle quali i destinatari posso usufruire. L’obiettivo rimane in ogni caso il re-inserimento nel contesto lavorativo delle persone escluse dal mercato, da perseguire attraverso politiche nuove rispetto al passato, di investimento in termini

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sociali ed innovativi. Diventa centrale il carattere attivante delle azioni, fondato sui principi di personalizzazione e condizionalità degli interventi di aiuto e sul valore della responsabilizzazione e del protagonismo delle persone, in coordinazione con il mondo delle agenzie per il lavoro. A tal fine diviene fondamentale la strutturazione di rapporti di cooperazione tra i servizi ed i vari attori locali responsabili delle misure di supporto all’impiego. Per tradurla in altri termini si ritiene importante la costituzione di un sistema di “integrazione socio-lavorativa”, all’interno della quale i vari servizi chiamati alla realizzazione delle politiche di attivazione e nello specifico relative al contrasto di povertà ed esclusione sociale, lavorino in modo coordinato e condiviso secondo linguaggi e metodologie comuni.

Come evidenziano Van Berkel e Van Der Aa, il coinvolgimento di operatori nei servizi per l’impiego si differenzia a seconda dei diversi paesi europei52. In molti contesti, dove

non è presente una tradizione di attivazione e perciò un sistema condiviso tra ambito sociale e lavorativo, invece, gli operatori dei servizi per l’impiego sono privi di formazione specifica di tipo sociale. Da qui l’attenzione al profilo professionale degli operatori chiamati alla realizzazione delle politiche di attivazione e nel nostro caso finalizzate al contrasto a povertà ed esclusione sociale. Questi professionisti vengono definiti da Van Berkel e al.53, “professionals without profession”, riconoscendo in loro

degli operatori non preparati nell’interpretare la complessità e la multidimensionalità della disoccupazione e perciò mancanti degli strumenti necessari per l’identificazione delle adeguate risposte in termini di misure di attivazione. Per la definizione delle modalità attraverso cui integrare il lavoro degli operatori sociali con quello degli operatori dei CPI e delle agenzie per il lavoro, è necessario anche riflettere sul modo in cui tradurre gli elementi attivanti di responsabilizzazione delle persone e di condizionalità degli aiuti, per individuare se e come siano in linea con il bagaglio di metodologia, principi e valori tipico del Servizio Sociale.Il modello dell’attivazione in Italia è entrato molto più tardi rispetto agli altri Stati europei. Una tale distanza dai sistemi europei, si deve in primo luogo alla mancanza di una regolamentazione normativa in materia ed anche a resistenze di tipo culturale e all’impreparazione dei

52Van Berkel R. e van der Aa P., 2012, Activation Work: Policy Programme Administration or Professional Service Provision?, «Journal of Social Policy», vol. 41, n. 3, pp. 493-510.

53Van Berkel R., van der Aa P. e van Gestel N., 2010, Professionals without a Profession? Redesigning Case Management in Dutch Local Welfare Agencies, «European Journal of Social Work», vol. 13, n. 4, pp. 447-463.

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centri per5455. Come sottolinea Salomone56, la realizzazione di politiche attive dipende

dall’intreccio di processi di tipo top down e bottom up. A questo si associava un sistema di assistenza sociale caratterizzato dalla mancanza di una definizione omogenea di reddito minimo5758. Con le riforme recenti in tema di lavoro, e parzialmente di

assistenza sociale, le politiche di attivazione iniziano ad assumere un carattere di priorità. A tal proposito, hanno concorso a questo fine sia la Riforma Fornero del 2012 che il Jobs Act del 2015. Inoltre, anche il D.Lgs 147/2017 racchiude chiari riferimenti alle misure di attivazione.

Lavoro e Politiche Attive per il lavoro sono temi di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. In Veneto, la regolamentazione che riguarda specificamente il lavoro si è sviluppata dal recepimento del D.lgs 469/97 attraverso il quale viene conferita a Regione ed enti Locali la funzione relativa al lavoro.

La Legge Regionale 3/200959 è la norma cardine riguardante il lavoro, nella quale

vengono espressamente promosse le politiche attive. Con la stessa norma veniva istituito il Sistema dei Servizi al Lavoro, che comprende le agenzie accreditate per l’erogazione di servizi di orientamento, incrocio di domanda e offerta di lavoro, formazione.

Gli ambiti principali finanziati dalla Regione Veneto attraverso il Sistema di Servizi al lavoro comprendono:

 portale ClicLavoroVeneto;

 percorsi AICT (Azioni Integrate di Coesione Territoriale) destinate all’inserimento lavorativo di persone in situazione di svantaggio60;

 politiche attive destinate a beneficiari di ammortizzatori sociali;

 politiche destinate all’occupabilità giovanile (per esempio Garanzia Giovani).

54Graziano P.R. e Raué A., 2011, The Governance of Activation Policies in Italy: Form Centralized and Hierarchical to a Multi-Level Open System Model, in van Berkel R., de Graaf W. e Sirovatka T. (a cura di), The Governance of Active Welfare States in Europe, Palgrave Macmillan, Basingstoke, pp. 110-131. 55Salomone R., 2016, Le prestazioni di politica attiva del lavoro al tempo del Jobs Act, «Lavoro e diritto»,

n. 2, pp. 281-295. 56 Ibidem.

57Lumino R. e Pirone F., 2013, I sistemi regionali di assistenza sociale: governance, organizzazione dei servizi, strumenti e modalità operative, in Kazepov Y. e Barberis E. (a cura di), Il welfare frammentato: Le articolazioni regionali delle politiche sociali italiane, Carocci, Roma.

58Ascoli U. e Pavolini E, 2015, The italin Welfare State in a European Perspective: A Comparative Analysis, Policy Pr, Bristol.

59Legge regionale 13 marzo 2009, n. 3 "Disposizioni in materia di occupazione e mercato del lavoro" 60Le specifiche categorie sono definite nel Regolamento Europeo 800/2008

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Fino alle recenti riforme citate, il Servizio Sociale non è stato molto coinvolto nella realizzazione di politiche attive. L’inserimento lavorativo di persone svantaggiate veniva gestito dagli assistenti Sociali prevalentemente attraverso progetti sociali di iniziativa del singolo territorio o dai Servizi Sociali specialistici di presa in carico di particolari categorie di persone (per lo più situazioni di persone con disabilità o dipendenza da sostanze). Il rapporto con i servizi per l’impiego non costituiva ambito di intervento consolidato, intravedendo un sistema di pratiche discrezionali poiché legate all’iniziativa del singolo operatore ed alla propria rete di conoscenze e relazioni.

Van Berkel e Van der Aa61 sottolineano come una fonte di preoccupazione il fatto che

l’azione del singolo operatore, in assenza di un sistema coordinato ed omogeneo fatto di linee guida, protocolli e strumenti concordati e condivisi, possa portare a risposte disomogenee ed individualizzate. Diviene, pertanto una sfida per tutti gli operatori chiamati alla realizzazione delle misure attive, quella di strutturare una rete di professionisti fatta di standard in termini di metodologie e obiettivi. Rimane ferma la necessità, secondo chi scrive, di una profonda riflessione sulla figura di Assistente Sociale, attraverso la quale individuare le modalità più adatte di raccordo tra le due realtà operative.