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Attività masticatoria e sintomatologia masticatoria

BRUXISMO E SERRAMENTO

4.2. Definizione e differenza tra Bruxismo (Grinding) e Serramento (Clenching)

4.2.6. Episodi di bruxismo e sintomatologia masticatoria

4.2.6.1. Attività masticatoria e sintomatologia masticatoria

L'attività parafunzionale come facilmente comprensibile, va a interferire sulle normali funzioni del sistema masticatorio. L'attività funzionale, d'altronde, non ha sempre lo stesso effetto e per illustrare le differenze esistenti fra le due suddette attività sono portati a confronto, nella tabella sottostante, fattori comuni di rischio.

5 fattori comuni illustrano come queste differenti attività muscolari portino a diversi fattori di rischio per DTM: 1) forza dei contatti dentali, 2) direzione delle forze applicate, 3) posizione mandibolare, 4) tipi di contrazione muscolare, 5) influenza dei riflessi protettivi.

Forza dei contatti dentali.

Per valutare l'effetto dei contatti dentali sulla struttura del sistema masticatorio, vanno presi in esame due fattori tra cui l'entità e la durata del contatto. Un modo logico di confrontare gli effetti dei contatti funzionali e parafunzionali è quello di valutare l'entità della forza esercitata sui denti, espressa in pound per secondo per giorno per ciascuna attività.

Le attività da prendersi in considerazione sono la masticazione e la deglutizione.

Secondo uno studio di Lundeen HC e coll. (1982) è stato calcolato che durante ogni ciclo masticatorio sui denti venga applicata una forza media di 58.9 pound / 115 msec e che durante una giornata normale il numero complessivo di cicli masticatori sia in media intorno a 1800.

Per quanto concerne le forze di deglutizione, è da considerare che in una giornata, durante i pasti, una persona deglutisce all'incirca 146 volte e durante ogni atto deglutitorio, ai denti viene applicata una forza di 66.5 pound / 522 msec.

Facendo una somma, possiamo per cui calcolare l'attività totale forza-tempo per la masticazione e la deglutizione.

I contatti dentali che avvengono durante l'attività parafunzionale sono più difficili da valutare, dato che poco si conosce circa le forze che vengono applicate ai denti. È stato dimostrato che, durante il

bruxismo notturno, possono essere registrate forze notevoli protratte per un certo tempo.

Rugh e Solberg (1975) hanno appurato che una notevole frazione dell'attività mascellare consiste nella contrazione, che è molto più intensa di quella impiegata per la sola deglutizione e che si mantiene per un secondo o più. Considerando come unità di attività il secondo, la normale attività muscolare ( parafunzionale) notturna si aggira medialmente sulle 20 u / ora per cui nelle otto ore sarà comunque inferiore a quella della forza esercitata sui denti durante la funzione.

Un paziente che presenta bruxismo può raggiungere facilmente le 60 unità di attività per ora, valore che considerando medialmente le otto ore notturne va a superare nettamente l'attività muscolare funzionale di un giorno.

Da tutto ciò si evince che la forza e la durata dei contatti dentali nel caso dell'attività parafunzionale comporta conseguenze molto più gravi alle strutture del sistema masticatorio di quanto non comporti l'attività funzionale.

Direzione delle forze applicate.

Durante i movimenti della masticazione e della deglutizione la mandibola si muove in direzione verticale e quindi, alla chiusura e al contatto dentale, anche le forze predominanti che agiscono sui denti hanno direzione verticale.

Le forze verticali sono tollerate bene dalla struttura di sostegno dei denti; durante la parafunzione (esempio eclatante, il bruxismo), sui denti agiscono forze intense anche di tipo orizzontale prodotte dallo spostamento della mandibola da un lato all'altro; questo scivolamento che va per l'appunto a produrre forze orizzontali, non è ben tollerato andando così ad aumentare le probabilità di danni ai denti o alle loro strutture di sostegno o a entrambi.

Posizione mandibolare.

La maggior parte dell'attività funzionale si svolge a livello o in prossimità della posizione inter cuspidale e, nonostante questa posizione possa non sempre essere quella muscolo scheletrica più stabile, è pur sempre stabile per l'occlusione, dato il massimo numero di contatti che determina.

Le forze dell'attività funzionale sono perciò distribuite su molti denti riducendo ogni possibile rischio di danno al dente singolo. Le tracce dell'usura dentale rivelano che la maggior parte dell'attività parafunzionale avviene in posizione eccentrica ( Seligman DA, Pullinger e coll. 1988).

Durante questa attività, entrano in contatto solo pochi denti e spesso anche i condili vengono spostati dalla loro posizione di stabilità. In questa posizione mandibolare l'attività sottopone a un maggior sforzo il sistema masticatorio rendendolo più esposto a danni.

Questa attività si traduce nell'applicazione di forze intense su pochi denti in una posizione di instabilità articolare e ne deriva così un aumento dei possibili effetti patologici su denti e articolazioni.

Tipo di contrazione muscolare.

Molte attività funzionali consistono nella contrazione e rilassamento, ritmica e controllata, dei muscoli impegnati durante la funzione mandibolare. Questa attività isotonica consente il normale flusso ematico che ossigena i tessuti e asporta i cataboliti accumulati a livello cellulare.

L'attività funzionale muscolare è quindi un'attività fisiologica.

Le parafunzioni, viceversa, risultano spesso come una contrazione muscolare protratta a lungo e questo tipo di attività isometrica impedisce quindi il normale flusso ematico nei tessuti muscolari, con il risultato di aumentare l'accumulo dei cataboliti entro i tessuti muscolari e di provocare sintomi di fatica, dolore e spasmo (Christensen e coll 1984).

Influenza dei riflessi protettivi.

Durante le attività funzionali sono presenti riflessi neuromuscolari che proteggono le strutture dentali da possibili danni. Durante le parafunzioni, invece, questi meccanismi neuromuscolari di protezione sembrano piuttosto attenuati e di conseguenza esercitano una minor influenza sull'attività muscolare (Guyton, Garcia, Rocabado 1991).

In questo modo l'attività parafunzionale aumenta e può anche raggiungere livelli tali da compromettere l'integrità delle strutture interessate.

Considerati questi fattori, è chiaro che l'attività parafunzionale è molto probabilmente responsabile delle alterazioni strutturali del sistema masticatorio e delle disfunzioni temporomandibolari.

Come già detto, ma da tener ben presente è che le attività parafunzionali sono quasi completamente inconsce; la maggior parte di queste attività nocive avvengono durante il sonno in forma di bruxismo e serramento dei denti e spesso il paziente si sveglia senza aver conoscenza dell'attività svolta nel corso della notte. Può anche accadere che il risveglio avvenga mentre sono ancora presenti i sintomi della disfunzione temporomandibolare, il paziente tuttavia non li mette in relazione con alcun fattore causale e quando viene interrogato sul bruxismo sarà molto facile che neghi questo tipo di attività ( Marbach e coll. 1990). Alcuni studi indicano infatti che solo il 25-50% dei pazienti in esame segnala bruxismo ( Ware JC 1982).

4.3. Epidemiologia

Non esistono dati completamente attendibili riguardo l’incidenza del bruxismo. Tuttavia è stato stimato, da diverse statistiche, che esso è presente almeno episodicamente in una significativa percentuale della popolazione.

Studi epidemiologici condotti sulla popolazione generale stimano una prevalenza dell'8-9%. Può raggiunge tuttavia il 13-20% nei bambini fino all'età di 14 anni e nei giovani adulti. Nell'anziano al di sopra dei 65 anni di età è stata invece stimata una prevalenza del

3%: sembrerebbe essere un fenomeno che regredisce in fase di età avanzata.

Tuttavia è necessario puntualizzare che il digrignamento notturno sembra essere un fenomeno fisiologico nei bambini che si trovano in fase di permuta dentaria e che quindi vanno incontro ad evidenti cambiamenti dei contatti occlusali per lo sviluppo della dentizione permanente (Monaco A et al., 2002)50. Le cosiddette “stigmate” di

quest’attività nei bambini sono rappresentate dall’usura dei canini. Sebbene i bambini consumino i denti da latte raramente lamentano difficoltà di masticazione. Uno studio di Kieser e coll. (2004) conclude che il bruxismo nei bambini è un fenomeno autolimitante , senza sintomi significativi e non correlato ad un aumento di tendenza a bruxare nell'adulto.

Da tutto ciò detto sopra, si evince dunque che il bruxismo è più comune nell’infanzia, meno nell’età adulta, ma una volta insorto in età adulta persiste in essa e si riduce nella terza età.

E’ stato inoltre riscontrato che l’incidenza del bruxismo nei ritardati mentali ha una percentuale più alta rispetto alla popolazione normale, sulla base di uno studio condotto su adulti istituzionalizzati da Richmond et al. (1984)63. Nel 1987 Cocchi R e

Lamma A17 condussero uno studio su di una popolazione di 366

soggetti con sindrome Down e rilevarono un’incidenza di bruxismo del 40% circa.

Nonostante la letteratura sembra essere scarna di dati attendibili, poiché i soggetti colpiti molto spesso non sanno di esserlo e pertanto non passano al vaglio di un’accurata diagnosi, si evince tuttavia che il fenomeno del bruxismo e del serramento siano

fenomeni piuttosto frequenti nella popolazione che giunge alla nostra attenzione.

4.4. Eziopatogenesi

L’attribuzione di una specifica eziologia per la parafunzione bruxista è stata da sempre oggetto di numerosi pareri contrastanti. Nonostante le molteplici teorie formulate nel corso degli anni, pare che nessuna di esse possa essere considerata come assoluta ed univoca per tale patologia. Pertanto l’eziologia del bruxismo si può considerare a carattere multifattoriale, secondo quanto riportato dalla letteratura recente.

Tuttavia è possibile classificare il bruxismo in due principali categorie sulla base dei criteri eziopatogenetici:

Bruxismo Primario (o Idiopatico)

Bruxismo Secondario

Nel primo caso viene definito tale qualora non emerga alcuna causa scatenante e non vi siano legami con alcuna situazione patologica. Nel secondo caso, se risulta essere conseguente ad altre condizioni, come: lesioni traumatiche, condizioni patologiche, trattamenti farmacologici (ad esempio: terapia farmacologica nel morbo di Parkinson (L-DOPA), farmaci antidepressivi SSRI e farmaci ipnoinducenti), sostanze da abuso, etc… Tutte condizioni che possono essere considerate come fattori di rischio.

Pertanto, da quanto suddetto, si evince che esistono molteplici fattori eziologici:

1. Componente genetica e familiare; 2. Stress ed ansia;

3. Influenze ambientali;

4. Disturbi neurotrasmettitoriali: dopamina, serotonina, noradrenalina, GABA;

5. Disturbi del sonno o parasonnie: PLMS (sindrome del mioclono periodico degli arti inferiori), apnee notturne, RBD (disturbi comportamentali nel sonno REM);

6. Disturbi neurologici e morbo di Parkinson;

7. Disturbi psichiatrici (depressione e sindromi ansiose); 8. Terapie farmacologiche (SSRI, L-DOPA, neurolettici); 9. Abuso di sostanze (cocaina, eroina, anfetamine, ecstasi); 10. Tabagismo e caffeina;

11. Lesioni traumatiche;

12. Modificazioni posturali tra testa/collo e corpo; 13. Interferenze occlusali;

Ancora, nell’inquadramento eziologico del bruxismo è possibile altresì classificare i fattori scatenanti la patologia in tre gruppi principali e distinti (Lobbezoo e Naeije et al., 2001-04-06)44 4546:

Fattori Morfologici

Fattori Psico-Emozionali

Fattori Centrali

Tra i principali fattori morfologici, che possono ascriversi ai cosiddetti fattori periferici, si possono annoverare le alterazioni

occlusali come precontatti, iperbilanciamenti (Salvetti G et al., 2006)74, overjet e overbite eccessivi o inversi (Sari S, Sonmez H,

2001)75 e le discrepanze anatomiche del distretto scheletrico oro-

facciale. In passato si riteneva fossero proprio queste le cause principali del bruxismo, in quanto la presenza di un pre-contatto o la perdita della dimensione verticale, provocherebbero la continua ricerca da parte del soggetto della cosiddetta “occlusione centrica”, scatenando così il fenomeno della parafunzione. Nello specifico: 1. il sistema di controllo della posizione occlusale, espletata dai

recettori parodontali, individua il deficit di stimolazione nervosa a causa delle interferenze occlusali;

2. pertanto in via riflessa tali recettori invieranno impulsi nervosi al nucleo motore del nervo trigemino “informandolo” della mancata presenza dello stimolo;

3. di conseguenza, il nucleo motore del n. trigemino innesca la contrazione dei muscoli elevatori della mandibola al fine di recuperare questo mancato stimolo sui recettori parondontali, venuto meno a causa della malocclusione;

4. nel ricercare tale stimolo, che dovrebbe essere fisiologicamente presente durante il sonno attraverso il contatto della punta della lingua allo spot palatino nell’atto deglutitorio, all’ATM verrebbero impartiti una serie di movimenti che evolvono nell’epifenomeno della parafunzione bruxista.

In realtà sembrerebbe che il fattore occlusale abbia un ruolo piuttosto discutibile nell’eziopatogenesi del bruxismo, addirittura recenti studi hanno ripetutamente messo in discussione tale ipotesi rifiutandone definitivamente il ruolo (Landi N et al. 2005)39.

Ancora, secondo quanto sostiene Palla S. (2001)59 la risposta ad

un’interferenza occlusale è individuale, sia per quanto riguarda le alterazioni dei cicli masticatori che per quanto riguarda le variazioni della forza occlusale, nonché per quanto riguarda l’insorgenza del bruxismo e/o di una mioartropatia.

I fattori psico-emozionali riguardano principalmente lo stress e l’ansia che parrebbero, più di tutti lo stress psicologico, avere un ruolo dominante come fattore causale del bruxismo secondo quanto riportato anche dai dati sperimentali; tuttavia altri studi sostengono che lo stress psicologico non spiegherebbe esaustivamente il bruxismo notturno (Morse DR, 1982)54. Altri studi ancora mettono

in relazione la maggior incidenza della patologia in soggetti classificabili come “personalità nevrotiche” (con forte base genetica) caratterizzate da componenti emozionali come l’ostilità, lo stress lavorativo e lo stress di tipo sociale (Ahlberg J et al., 2002-04)12.

Tra i fattori centrali, confermati da indagini recenti, quello maggiormente coinvolto sembra essere un disturbo di tipo dopaminergico, quindi da includersi tra le alterazioni neurotrasmettitoriali. Possono essere coinvolti anche altri neurotrasmettitori come la noradrenalina, la serotonina ed il GABA. → Ruolo dello Stress Psicologico ed Iperstimolazione del Nervo

Trigemino

Si ritiene che le parafunzioni possano essere considerate come espressione dello stress e dell’ansia, pertanto il soggetto tenderebbe

a somatizzare le tensioni interne ed a scaricarle attraverso le attività parafunzionali. Alcuni studi sostengono che addirittura siano il mezzo con cui l’individuo riesca a manifestare la propria aggressività inespressa (Federici E, 1984)25.

E’ ormai noto che lo stress emotivo e l’ansia generino tensioni muscolari e pertanto in quest’ottica si può asserire che tra il bruxismo e lo stress psicologico esista un’evidente correlazione confermata anche da diversi studi (Pierce CJ et al., 1995)62.

Lo stress è dato da una serie di alterazioni fisiche o psicologiche che derivano dalla modifica dell’omeostasi interna dell’organismo prodotta da eventi biologici, metabolici, psichici o sociali.

Esistono due diverse tipologie di stress: stress da eccesso d’energia e stress da mancanza d’energia. Lo stress implicato nella patogenesi del bruxismo è quello da eccesso d’energia e questo una volta accumulato deve essere necessariamente rilasciato. Esistono due modalità di rilascio per lo stress: la prima è quella che viene definita esterna ed alcuni esempi sono manifestazioni d’ira, urla, agitazione, manifestazioni violente, etc…; la seconda viene definita

interna e si manifesta attraverso peculiari condizioni

fisiopatologiche, ad esempio ulcera gastrica, ipertensione, asma, attività muscolari parafunzionali come il bruxismo, etc…. (Rugh JD, Solberg WK, 1979)63.

E’ stato dimostrato che quest’ultimo tipo di rilasciamento dello stress è di gran lunga il più frequente nella popolazione. Pertanto è di comune evidenza considerare l’apparato stomatognatico come “organo bersaglio” privilegiato dalle reazioni di stress.

Prima di andare avanti è bene sottolineare che non tutte le persone sotto stress reagiscono attraverso il bruxismo, e che pertanto ci saranno dei soggetti classificabili come “suscettibili” al bruxismo. Lo stato emozionale di un individuo, quindi ad esempio anche lo stress, è controllato dall’ipotalamo, dalla sostanza reticolare e soprattutto dal sistema limbico. In particolar modo la sostanza reticolare del tronco encefalico riceve ed integra le informazioni provenienti dall’ipotalamo e dal sistema limbico. Inoltre la sostanza reticolare, il sistema trigeminale ed i muscoli masticatori sono in evidente connessione tra loro: infatti secondo alcuni studi le afferenze dei fusi neuromuscolari provenienti dai muscoli elevatori della mandibola stabilirebbero dei contatti con i neuroni sia trigemino-spinali che reticolo-spinali (Dessem D, Luo P, 1999)21.

Pertanto è evidente che esista una complessa quanto intricata rete di circuiti neuronali tutti strettamente connessi fra loro e reciprocamente influenzabili.

In condizioni di stress emotivo la sostanza reticolare mediale del tronco encefalico, con l’interazione dei circuiti neuronali delle strutture precedentemente citate (sistema limbico ed ipotalamo), modulerebbe positivamente l’attività muscolare generando un rinforzo da parte delle fibre fuso-motorie del sistema gamma e ff e r e n t e ( f i b r e e ff e r e n t i d e i m o t o n e u r o n i g a m m a ) . L’iperstimolazione di tali fibre nervose provoca contrazioni ripetute delle fibre muscolari intrafusali, che pertanto stimolano anche le fibre muscolari extrafusali. Quindi come esito si avrà un’iperattività muscolare con aumento del tono, aumento del riflesso miotattico ed un’eccessiva contrazione delle fibre extrafusali. A lungo andare i

fusi muscolari verranno sensibilizzati a tal punto che ad ogni minimo allungamento del muscolo s’innesca un’eccessiva contrazione riflessa: si determina così un’iperattività muscolare. Secondo alcuni studi, le afferenze dei fusi neuromuscolari dei muscoli elevatori della mandibola stabiliscono contatti con i neuroni trigemino- e reticolo-spinali.

Non ci sono ancora teorie concrete riguardo l’insorgenza del bruxismo secondo questa via, tuttavia sono state formulate alcune interessanti ipotesi.

1. Prima Teoria. I movimenti mandibolari sono prodotti grazie

all'attivazione di specifici motoneuroni localizzati principalmente nel nucleo motore del nervo trigemino (Mo5). L’Mo5 è situato nella formazione reticolare pontina. (Mascaro MB et al., 2005)48.

Quindi in condizioni di stress, quest’ultima produrrebbe uno squilibrio a carico dei nuclei stessi del nervo trigemino ed in particolare del nucleo motorio, generando una iperstimolazione dello stesso. Questa stimolazione agirebbe direttamente e principalmente sul muscolo massetere, ed in minor misura sul temporale, inducendo attraverso questa via il bruxismo. Quindi, da quanto detto, si evince che nel bruxismo non vi è una ridotta funzione, ma un eccesso di stimolazione del nucleo motorio. 2. Seconda Teoria. Questa teoria risulta un po’ più complessa della

precedente, poiché l’iperstimolazione dei nuclei motori del nervo trigemino avviene in maniera indiretta. In questo secondo caso più che nel sistema limbico, il glutammato ipotalamico provoca una sovra-stimolazione di altri nuclei del tronco

encefalico. Infatti, il glutammato ipotalamico, aumentato a causa dello stress, eccita a sua volta i nuclei del nervo vago (ovvero, il nucleo dorsale, il nucleo del tratto solitario e il nucleo ambiguo). Quest’ultimi, a loro volta, attraverso proprie fibre collaterali proiettano, insieme alle fibre afferenti dal nervo glosso-faringeo, verso il nucleo spinale del nervo trigemino. Inoltre, anche il nervo facciale emette fibre collaterali verso lo stesso nucleo spinale del trigemino (Lippert H, 1998)42.

Pertanto il nervo trigemino riceverà molteplici fibre nervose, provenienti da altri nuclei dei nervi cranici connessi con le strutture della testa e del collo. Questa moltitudine di afferenze ai nuclei trigeminali provocherà un’iperstimolazione degli stessi: in sostanza i nuclei motori del nervo trigemino saranno sovrastimolati dalla normale coordinazione e dalle normali connessioni esistenti con gli altri nuclei del tronco encefalico. Un aspetto peculiare che va tenuto in considerazione è che questa attività che origina centralmente a livello del nucleo motore del trigemino e di altre strutture del tronco encefalico rappresenta la manifestazione finale di una serie di eventi, che si è visto originare da un'attivazione autonomica simpatica, subito seguita da un'attivazione corticale. Pertanto la cascata di eventi inizierà con un incremento dell'attività respiratoria e cardiaca (quest’ultima, circa 4 secondi prima del fenomeno), seguita da un aumento del tono dei muscoli sopraioidei (che aprono la bocca) e come effetto finale si avrà la generazione dell’epifenomeno del bruxismo (De La Hoz- Aizpurua et al., 2011)20.

L’attivazione autonomica simpatica è sinonimo di aumentata stimolazione del sistema adrenergico, deputato, tra le altre cose, all’incremento della frequenza respiratoria e della frequenza cardiaca. Tale sistema è controllato da un nucleo adrenergico presente nell’encefalo, ovvero dal Locus Coeruleus. L’attivazione di questo nucleo comporta: 1) un aumento delle funzioni cognitive per l’attivazione della corteccia prefrontale; 2) un incremento della motivazione del soggetto attraverso l’attivazione del nucleo acumbens; 3) l’attivazione della produzione di adrenalina. Quest’ultima agisce stimolando l’attività del sistema nervoso simpatico (SNS) e deprimendo quella del sistema nervoso parasimpatico (SNP).

Gli effetti del sistema nervoso adrenergico sono, in prima battuta, la stimolazione del sistema cardiovascolare (aumentando così la forza contrattile del miocardio) e l’aumento dell’attività di contrazione della muscolatura scheletrica. Inoltre è responsabile anche dell’aumento del flusso sanguigno ai muscoli scheletrici e miocardico e della mobilitazione delle riserve energetiche dell’organismo. E’ causa anche dei fenomeni di midriasi e di piloerezione.

Secondo uno studio condotto da Poli L. e coll., che mirava a valutare l’attività dell’SNS in soggetti bruxisti attraverso il dosaggio delle catecolamine (adrenalina, noradrenalina, dopamina) plasmatiche ed urinarie (con tecnica cromatografica), pare che i soggetti bruxisti non presentino una maggiore produzione adrenergica durante le 24 ore e quindi non esista un’iperattività dell’SNS come condizione baseline. Tuttavia, un ulteriore studio,

eseguito dagli stessi autori, che mirava a valutare il SNS nei soggetti bruxisti in condizioni non-baseline e quindi sotto stimolo, ha evidenziato come i soggetti bruxisti presentino un’alterata regolazione nervosa simpatica; pertanto pare che si generi un significativo aumento della risposta simpatica che potrebbe derivare o da una maggiore produzione di neurotrasmettitori o da un incremento della sensibilità agli stessi. Pertanto i soggetti bruxisti potrebbero essere definiti “iper-reattori simpatici”, che in condizioni di stress presentano un’alterata regolazione del SNS rispetto ai controlli effettuati in soggetti sani. La metodica microneurografica, con la quale lo studio fu condotto, permette di