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2. 5. 1. Il dibattito “ufficiale” su “Bianco e nero”

Il dibattito su “Bianco e nero”, organo ufficiale del Centro Sperimentale di Cinematografia, ci interessa da vicino per due motivi: la rivista diretta da Luigi Chiarini è una delle prime nel dopoguerra ad affrontare in maniera strutturata diverse problematiche sull’utilizzo del cinema didattico ed educativo nella scuola; in secondo luogo perché numerose personalità che vi partecipano confluiranno in diverse attività organizzate dalla Cineteca Scolastica negli anni Cinquanta, tra queste l’importante iniziativa dei Corsi di Filmologia a Roma. Attività guidata dalla Cineteca, non senza grandi sforzi economici ed organizzativi, a partire dall’a.a. 1953-1954 dopo l’allontanamento di Chiarini dal CSC, il conseguente commissariamento nel 1951 del Centro e il subentro della Cineteca in qualità di promotore e organizzatore principale181. Saranno molti gli studiosi e gli intellettuali ad affrontare nelle pagine della rivista, se pur con indirizzi e posizioni anche divergenti, la possibile diffusione della cinedidattica nelle attività scolastiche e la promozione di una cultura cinematografica sia negli alunni che nei docenti. Il dibattito “ufficiale”182

vede la luce sulle pagine della rivista nel novembre 1949 grazie ad un articolo del ministro della P.I. Guido Gonella in cui letteralmente auspica la collaborazione di uomini della scuola, di personalità della cultura cinematografica, di studiosi di pedagogia e dei funzionari della Cineteca Scolastica per definire una serie di questioni che permettano una seria e funzionale applicazione del cinema nella scuola. Il tutto supportato dall’editoriale a firma della redazione che offre una vasta serie di spunti e possibilità per proseguire l’approfondimento del dibattito. Alcune tematiche sono già state affrontate in due importanti articoli sull’argomento apparsi su “Bianco e nero” qualche tempo prima. Nell’aprile 1948 è Evelina Tarroni a porre una serie di

181 Per un approfondimento cfr. paragrafo 2. 7. 2.

182 Gli articoli che appaiono a cadenza mensile sono: Il cinema didattico, “Bianco e Nero”, n. 11, 1949; Guido Gonella, Funzione del cinema nella nuova scuola, “Bianco e nero”, n. 11, 1949; Luigi Volpicelli, Cinema didattico e pedagogia, “Bianco e nero”, n. 12, 1949; Mario Zangara, Il cinema

nella scuola, “Bianco e nero”, n. 12, 1949; Giuseppe Catalfamo, Educatività del cinema e cinema educativo, “Bianco e nero”, n. 1, 1950; A. F. Fratangelo, Alcuni problemi di cinedidattica, “Bianco e

nero”, n. 2, 1950; Guido Guerrasio, Un corpo al cinema per l’anima della scuola, “Bianco e nero”, n. 3, 1950 e Antonio Covi, Scuola e cinema, “Bianco e nero”, n. 3, 1950.

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spunti nel suo Il problema del film didattico; spunti per tentar di «rilevare quanto ci sia ancora di vago e di impreciso nella definizione esatta della funzione del cinema nella scuola»183 ed abbattere le perplessità di chi ancora nutre dubbi sull’introduzione del nuovo mezzo didattico. Per una precisa definizione della nuova didattica cinematografica, una delle questioni che deve essere introdotta è la necessità di delineare una netta distinzione tra cinema come “spettacolo”, come prodotto commerciale, e cinema come tecnica, inteso come nuovo «“linguaggio”, che è l’unico aspetto del cinema che possa interessare la scuola»184. Un linguaggio che deve risultare efficace, rivoluzionare la didattica, ed essere l’essenza del cinema scolastico per non apparire come semplificazione dell’insegnamento ma come strumento per allargare il campo dell’esperienza scolastica ed intellettiva dell’alunno: «Il cinema scolastico dovrà insegnare a pensare, non impedire di pensare»185. Per adempiere a tale compito è necessario il ruolo dell’insegnante che con la sua autorità (altra tematica che ricorrerà spesso) «è un amico, un esempio sempre vicino, non un libro che si può aprire e chiudere e riporre; e allora è come se non esistesse più. E se veramente è un maestro, l’uso di uno o di un altro mezzo didattico, non potrà togliere nulla al valore della sua personalità»186.

La componente emozionale che il cinema conserva, anche qualora gli si attribuisca una funzione tecnica di linguaggio cinematografico, è la principale preoccupazione del pedagogista Luigi Volpicelli187, ordinario di pedagogia alla facoltà di Magistero dell’Università di Roma e personalità di spicco nel dibattito pedagogico negli anni Cinquanta con l’avvio di una serie di iniziative per la promozione di una cultura

183 Evelina Tarroni, Il problema del film didattico, “Bianco e nero”, n. 2, 1948, p. 37.

184 Ivi, p. 38.

185 Ivi, p. 43.

186 Ibidem. Infine, l’autrice elenca una serie di materie che potrebbero trarre vantaggio dall’applicazione del cinematografo come sussidio: «Le discipline che riguardano più direttamente le manifestazioni dello spirito, come la filosofia, la letteratura, la storia, potranno giovarsi meno e solo indirettamente dell’acquisto di questo nuovo mezzo didattico. Esso potrà essere utile solo come dimostrazione di ricerca delle fonti archeologiche (film adatti al liceo e ai corsi universitari). Le materie scientifiche potranno, invece, trovare in esso un insostituibile completamento. Altre materie, come la geografia e la storia dell’arte, il cui metodo d’insegnamento, nelle condizioni attuali della scuola, si riduce ad un arido e meccanico accumularsi di nomi e di cifre, accompagnato, nel caso della storia dell’arte, da aggettivi tanti enfatici quanto vuoti di significato per la mente dei ragazzi, essi potranno, io credo, venire profondamente modificati dall’uso del cinema scolastico che renderà il loro insegnamento veramente vivo e reale». Ivi, pp. 41-42.

187 Per un approfondimento sulla figura del pedagogista e le sue molteplici attività cfr. Elena Zizioli,

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cinematografica. I due articoli188 di Volpicelli hanno un’impronta estremamente conservatrice sui pericoli che il cinema può apportare ai più giovani. La diffidenza di Volpicelli sull’utilizzo del cinema nella scuola nasce dalla mancata distinzione tra un cinema come creazione spettacolare, a scopi commerciali, e un cinema inteso come mezzo innovatore della didattica grazie al suo specifico linguaggio; distinzione cui accennava anche la Tarroni poc’anzi. Il vero problema riguarda il tipo di comunicazione e la sua funzione sociale in un’ottica di cinema come fonte di pericoli. Quest’ultimi sono determinati dalla forte carica emotiva predominante nel discorso filmico che conduce lo spettatore, ancor di più negli anni della formazione, in un’esperienza essenzialmente irrazionale, senza ferme capacità di giudizio in un «gioco vorticoso dei sollecitamenti affettivi proprio del cinematografo. […] Qualcosa, nostro malgrado, ci afferra, ci scuote, e, seppur il nostro giudizio reagisce, come se i nostri nervi fossero sotto l’azione di un moto tutto e solo meccanico, ridesta ignote e sopite forze dal fondo della nostra psiche»189. Una condizione di pigrizia intellettuale dello spettatore che si crea grazie alla passività in cui la narrazione cinematografica lo pone: «ciò spiega il suo enorme influsso nel costume, la diffusione rapida, acritica, inscindibile, dei modi di vita che esso rappresenta. La coscienza si addormenta, e la guida una sorta di oscura memoria, di automatismo»190. Come vedremo, appena inaugurato il dibattito dal ministro Gonella, Volpicelli cambierà il proprio pensiero su questi “momenti di stanchezza” vissuti dallo spettatore che possono invece diventare dei momenti positivi grazie alla fruizione di grandi capolavori del cinema. A cercare di mediare sulla questione del controllo che avviene in questi momenti sullo spettatore, e a chiudere questo mini ciclo di articoli che precedono il dibattito ufficiale, ci pensa nuovamente Evelina Tarroni nell’ottobre 1949 non negando però come possa esserci anche un’influenza positiva durante questi momenti attraverso un cinema creato su misura per ragazzi:

«Ciò dipende unicamente dalla diversa personalità dello spettatore: omnia munda

mundis e viceversa. In altre parole, non riusciamo a convincerci che si possa entrare in

una sala da proiezione, in condizioni di reale equilibrio psichico e che se ne possa uscire con evidenti tendenze al delitto, al suicidio o alla pazzia. Può darsi, naturalmente, che la tensione emotiva prodotta dalla situazione cinematografica possa rivelare un conflitto

188 Il vero problema del cinematografo rispetto all’educazione, “Bianco e nero”, n. 5, 1949 e

Pregiudiziali sul cinema e l’educazione, “Bianco e nero”, n. 9, 1949.

189 Luigi Volpicelli, Pregiudiziali sul cinema e l’educazione, cit., p. 53.

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latente, o creare l’occasione favorevole per l’esplosione di una malattia mentale, ma è evidente che in questo caso il cinema non ha fornito che la causa occasionale al manifestarsi di condizioni patologiche già esistenti, e che si sarebbero rivelate in ogni modo»191.

Come già detto in precedenza, il dibattito ufficiale interamente dedicato al cinema didattico ed educativo è inaugurato dall’editoriale, a firma della redazione, del numero successivo del novembre 1949:

«Bianco e Nero, con l’articolo del Ministro della Pubblica Istruzione, Gonella, pubblicato in questo numero, intende iniziare un dibattito sul problema del cinema didattico: non un’inchiesta, dunque, nella quale le opinioni diverse si susseguano e si giustappongono senza un preciso nesso logico, ma appunto un dibattito nel corso del quale, invece, le idee, si chiariscano e si arricchiscano, stimolandosi l’un l’altra anche polemicamente e integrandosi vicendevolmente»192.

Inoltre, vengono poste alcune riflessioni partendo dalla consapevolezza della complessità dell’argomento cinema didattico: si propone di affiancare un approfondimento eminentemente teorico ai problemi pratici relativi all’applicazione di un cinema didattico nelle scuole. Si invita inoltre, a riflettere sulla natura che deve essere attribuita al cinema per la scuola e che spesso si divide tra semplice applicazione tecnica, un «perfezionamento puramente meccanico» 193 per rappresentare la realtà, e un fatto espressivo, come forma di linguaggio dalla “profonda forza emotiva” che instaura «un proprio tipo di organizzazione mentale, creando un modo esclusivo di sollecitazione dell’intelligenza»194. A seconda della natura che si attribuisce al cinema nella scuola, ne consegue una valutazione di altri particolari questioni rispetto all’organizzazione dell’insegnamento. Ad esempio, dal punto di vista tecnico, le finalità del sonoro nelle proiezioni didattiche195 e, dal punto di vista pratico, l’utilità in quelle «discipline che esigono una documentazione e una

191 Evelina Tarroni, Sul cinema ricreativo per ragazzi, “Bianco e nero”, n. 10, 1949, p. 52.

192 Il cinema didattico, “Bianco e Nero”, n. 11, 1949, p. 3.

193 «Che senza in nulla modificare i metodi vigenti, segni solo un perfezionamento puramente meccanico rispetto ad altre forme di rappresentazione come la tavola illustrata o la proiezione fotografica fissa». Ibidem.

194 Ibidem.

195 «L’elemento sonoro è ormai essenziale. Ma bisogna ritenerlo indispensabile anche nel film creato con finalità didattiche? Ed entro quali limiti? Ed un film muto o sonoro deve essere veicolo o strumento di insegnamento stesso? E può esserlo per tutte le materie o soltanto per alcune? E per quale ordine di scuole e con quale intensità?». Ivi, p. 4.

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sperimentazione» senza ancorare il suo utilizzo a discipline già “fondate” come la storia o la letteratura. La coscienza dei redattori della rivista che propone di ampliare il dibattito, è ispirata dalla convinzione che «tutte le tesi hanno un proprio fondamento ed una propria giustificazione. Si tratta di saggiarne la validità attraverso un confronto, per arrivare a un organismo ideale non solo dialetticamente coerente, ma anche confortato dai risultati dell’esperienza che spesso in questa materia svela gli inganni della dialettica astratta»196.

Dal punto di vista pratico vengono poste alcune problematiche che già nella seconda metà degli anni Trenta impedirono la piena applicazione del cinematografo nelle scuole: gli sforzi economici a carico dello Stato per una distribuzione capillare di un numero congruo di pellicole e proiettori, la decentralizzazione della produzione dei film e, su tutti, l’adeguata preparazione di un certo numero di insegnanti per poter sfruttare al meglio il linguaggio cinematografico ed abbattere ogni scetticismo sull’utilità del cinema e sulle influenze negative che i ragazzi possano subire dal film commerciale: «Questo fra tutti, è il pericolo contro il quale deve più rigorosamente premunirsi una organizzazione scolastica bene intesa. Il film didattico deve entrare nelle scuole, ma deve entrarvi trovando gli uomini che sappiano renderlo un elemento vivo di cultura e di educazione»197. La quantità di tematiche proposte dall’editoriale fa riflettere sul disorientamento esistente sull’argomento: al 1949 ancora non sono state chiarite ed accettate da tutti quali siano le funzionalità principali del cinema nella scuola, per quali materie ne è suggerito maggiormente l’utilizzo, se debba essere muto o sonoro e le somme necessarie per adempiere ai compiti previsti dalle leggi e dai decreti. Anche le parole del ministro sottolineano la necessità di una maggiore collaborazione tra tecnici, industria cinematografica, rappresentanti della scuola e del pensiero scientifico per ampliare il rapporto tra cinema e istruzione. Gli insegnanti e i rappresentati della scuola devono riuscire a superare il timore di vedersi superati dall’innovazione tecnologica, “umanizzando”, grazie al loro sapere, un processo che rischia di rimanere ancorato all’atto di semplice utilizzo meccanico del cinematografo. Per contribuire a creare una didattica cinematografica l’industria, dal suo canto, deve investire in produzioni adatte per la scuola e tentare di uscire dalla paralisi in cui versa il sistema produttivo e di distribuzione dei film. Una collaborazione tra le parti che deve rinnovare le finalità

196 Ivi, p. 5.

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pedagogiche del cinema sia didattico che educativo ed allontanare definitivamente l’idea che l’utilizzo del cinema nella scuola aderisca ancora ad esigenze di propaganda o di “generica formazione” come accaduto durante l’epoca fascista mediante l’operato della Cineteca Scolastica. Infine questa collaborazione tra industria, tecnici e scuola deve portare ad un’ulteriore innovazione, quella della didattica, partendo dall’esigenza che hanno i più giovani di ampliare i confini del loro sapere grazie all’utilizzo del cinematografo e della sua potenza comunicativa198. L’invito del ministro a collaborare al Dibattito sul cinema scolastico viene accolto già nel numero successivo della rivista da Luigi Volpicelli e Mario Zangara, professore di italiano presso il Liceo Mameli di Roma. Pur non essendone particolarmente entusiasta Volpicelli, in Cinema didattico e pedagogia, è disposto a fare un passo indietro e considerare il valore educativo del cinema come strumento didattico e quello assai diverso che ha come spettacolo:

«La prima condizione perché possa esserci il film didattico, infatti, è la sparizione del cinematografo, almeno perché con questa parola non ci si riferisce, in genere, al mezzo comunicativo, ma a un’espressione compiuta, a un’opera, con un suo preciso soggetto o racconto, un suo sviluppo, una sua certa unità estetica ed etica, una sua potenza drammatica, una sua conclusione. Il cinema didattico, nell’uso più ideale che se ne possa pensare, appare, al contrario, come un’illustrazione della parola dell’insegnante; non è già lezione, ma suo elemento, che ha rilievo e il valore di ogni altro documento riferito in classe, sia un documento storico o un’esperienza scientifica»199.

Secondo Volpicelli l’ideale uso del cinema nella scuola, almeno per il momento, non può avvenire a causa della scarsa produzione e distribuzione affidata alla Cineteca Scolastica; un uso quello in classe “evidentemente mitico”, almeno nelle condizioni economiche del nostro Paese e della nostra scuola: «Ed è inutile insistervi. L’uso

possibile, quindi, del cinema didattico, ancora per molto tempo, non può pensarsi che

in forma molto più modesta: come periodiche e, nel migliore dei casi, giornaliere proiezioni di film didattici»200. Considerando la scarsità dei film finora realizzati e distribuiti, secondo Volpicelli, il reale uso della cinematografia didattica non deve essere relegato alle sole mattine scolastiche, ma deve estendersi ed educare al

cinematografo nelle attività extralezionarie, come ad esempio i circoli pomeridiani

198 Guido Gonella, Funzione del cinema nella nuova scuola, “Bianco e nero”, n. 11, 1949.

199 Luigi Volpicelli, Cinema didattico e pedagogia, “Bianco e nero”, n. 12, 1949, p. 35.

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del doposcuola dove i giovani, guidati dagli insegnanti, sono impegnati in ricerche condotte in base agli interessi personali:

«Qui la scuola getta le fondamenta di quell’autodidattica su cui poggia, come sulla propria base, l’insegnamento lezionario. Codesti circoli, infatti, sono diretti dai vari insegnanti, e giovano loro per approfondire la loro conoscenza degli allievi, delle loro individuali tendenze, dei loro problemi e interessi, come per offrire all’insegnamento un materiale vivo. Ora, quale luogo migliore, per il film didattico, che questi circoli? Qui non fa più nemmeno paura l’aspetto spettacolare»201.

Mario Zangara è il primo professore di un liceo ad accettare l’invito della rivista “Bianco e nero” a collaborare attivamente per l’integrazione del cinema nelle aule scolastiche. Entusiasta delle possibilità che possono agevolare l’opera dell’insegnante al fianco delle normali lezioni, il professore identifica alcune materie per le quali l’uso del nuovo mezzo cinematografico è più indicato; ad esempio per la geografia, la “Cenerentola” delle materie di studio, spesso trascurata perché considerata una scienza facile e per questo «affidata all’insegnante di lettere dei ginnasi, essa viene ridotta a un arido elenco di nomi e di dati superficiali. Molto spesso non si fa uso di carte geografiche; di rado si fa qualche lettura frammentaria come atto di formale obbedienza alle prescrizioni del programma ministeriale»202. Grazie al suo potere suggestivo (visto in un’ottica positiva) il cinema al fianco delle normali lezioni di geografia, fatte di aride descrizioni e statiche fotografie, potrebbe instaurare rapporti visivi con un mondo fisico lontano e altrimenti irraggiungibile, cogliendo così «come in un viaggio, gli aspetti mutevoli delle varie regioni, visitare città illustri, penetrare nelle gallerie, nei musei»203 fornendo una doviziosa “copia” di elementi figurativi con una precisione superiore alla parola.

Anche Guido Catalfamo, all’epoca assistente presso l’Università di Messina e di cui sarà successivamente docente di pedagogia, è convinto della positività del linguaggio cinematografico e della sua azione formativa sulla coscienza; una posizione nettamente contraria rispetto alla negatività prospettata da Volpicelli che metteva in guardia sulla passività che lo spettatore vive in questi momenti. Il particolare “potere” educativo del cinema in chiave strettamente pedagogica, è cosa ormai certa, ma potranno nascere problemi di natura tecnica (il difficile impiego di un proiettore

201 Ivi, p. 39.

202 Mario Zangara, Il cinema nella scuola, “Bianco e nero”, n. 12, 1949, 41.

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da mettere in funzione o del montaggio di uno schermo), di produzione (il costo delle apparecchiature), di organizzazione e applicazione. L’ideale applicazione secondo l’autore dovrebbe avvenire grazie alla mediazione del docente, che in quanto educatore, ha il potere di controllare la grande forza suggestiva che il linguaggio cinematografico possiede, «capace di far presa sul nostro animo (e cioè sull’animo dello spettatore “educando”)»204. Da un punto di vista strettamente pedagogico, la scuola necessita dell’inserimento del cinema nei programmi scolastici soprattutto in virtù del progresso del nuovo mezzo rispetto alle illustrazioni dei manuali scolastici (anche Catalfamo considera la geografia, insieme alla storia, tra le materie che potranno trarne più beneficio)205, senza fare a meno della guida del docente che, attraverso un metodo che nasce «nella scuola, nella classe, ogni qual volta che gli scolari ed il maestro si troveranno di fronte»206, sarà in grado di inserire nei suoi programmi sia prodotti didattici che educativi di finzione:

«Quel che stiamo dicendo, affonda, come si vede, le sue radici in un problema più largo e impegnativo di quello rappresentato dal cinema “didattico” (e cioè di un cinema che non dovrebbe evidentemente soppiantare il maestro, ma riuscire soltanto [ad essere] un potente mezzo messo a disposizione del maestro, e più genericamente della scuola). Il cinema educativo di cui parlo vuole, invece, essere esso stesso il “maestro”, vuole cioè effettivamente ammaestrare, formare la coscienza, promuovere la consapevolezza del valore della vita, in quanto “ambiente” educativo. Cinema non semplicemente “istruttivo” dunque, ma cinema “educativo” nel pieno senso della parola. Il cinema-maestro insomma, capace di agire sulla coscienza, sollecitarla, aiutarla a ritrovarsi, riconoscersi, a riconoscere cioè la sua “umanità” e il suo universale valore. Distinzione necessaria dunque tra cinema “educativo” (movente di educazione) e cinema “didattico” (mezzo di educazione). Il secondo dovrà essere prodotto “per la scuola”, il primo “per la vita” (e quindi, naturalmente, anche per la scuola). […] Certamente non voglio dire che la produzione cinematografica debba assoggettarsi ad un compito qualificatamente educativo, che sarebbe un ideale troppo bello per essere auspicato (l’industria cinematografica ubbidisce soprattutto ad esigenze di ordine spettacolare e artistico), ma voglio avanzare semplicemente l’idea di introdurre nella scuola il cinema educativo nel

204 Giuseppe Catalfamo, Educatività del cinema e cinema educativo, “Bianco e nero”, n. 1, 1950, p. 93.

205 «Facciamo vivere dinanzi agli occhi dello scolaro i personaggi e gli episodi della storia, immergiamolo pure in quel mondo, in quella vita, in quel tempo, mediante il cinema, e la storia difficilmente sarà dimenticata! E inoltre, facciamo con i film documentari “viaggiare” lo scolaro attraverso il mondo e il nostro insegnamento di geografia sarà notevolmente più vivo ed efficace». Ivi,