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Nel suo volume Le forme del cinema per l’educazione, Giovanni Rizzo afferma che per individuare i rapporti tra cinema ed educazione come fenomeno storico e sociale negli anni Cinquanta, bisogna cogliere la rete dei legami tra la storia sociale del cinema («il ruolo e la percezione del cinema nella società»)238 e la storia della pedagogia e della didattica dedicando uno sguardo particolare «a quegli ambiti in cui l’educazione al cinema tenta di scartare in qualche modo l’idea di sussidio didattico o di reattivo psicologico, secondo una logica d’uso fortemente vincolante»239.

Negli anni della ricostruzione e tutti gli anni Cinquanta, molte sono state le pubblicazioni dedicate allo studio del cinema, anche lontano dai banchi di scuola, che si sono concentrate particolarmente sull’influenza che quest’ultimo può generare sullo spettatore in generale e sui più giovani in particolare240. Uno studio lontano dal

237 Evelina Tarroni, Organizzazione e attività della Cineteca Scolastica, in CIDALC (a cura di), Il

cinema nei problemi della cultura, cit., p. 49.

238 Giovanni Rizzo, Le forme del cinema per l’educazione. Il panorama italiano dagli anni ’50 ad

oggi, Milano, Franco Angeli, 2014, p. 11.

239 Ibidem.

240 Basti pensare all’eredità raccolta dall’Italia dalla “Revue Internationale del Filmologie” nata in Francia, a Parigi, nell’immediato secondo dopoguerra presso l’Istituto di Filmologia diretto Gilbert Cohen-Séat. Dal 1962 la rivista cambia denominazione in “IKON. Cinema Televisione Iconografia” e diventa l’organo ufficiale dell’Istituto “Agostino Gemelli” per lo Studio sperimentale di Problemi Sociali dell’Informazione Visiva (ISPSIV) fondato due anni prima a Milano presso l’Università Cattolica. Per un approfondimento cfr. Massimo Locatelli, Filmologia e disciplinarizzazione: il

progetto di Agostino Gemelli e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in Dallo schermo alla cattedra. La nascita dell’insegnamento universitario del cinema e dell’audiovisivo in Italia, cit., pp.

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considerare il cinema come sussidio didattico vista anche l’esigua produzione dedicata, la mancanza di risorse finanziarie e di coordinamento del corpo docente e degli educatori241 intorno alla nuova evoluzione tecnologica. La somma di questi fattori ha portato il cinema d’insegnamento (didattico e/o educativo) verso un lento tramonto durante il decennio, facendo sì che si imponesse invece una considerazione del cinema come oggetto di studio più ampio, lasciando da parte le definizioni di film didattico/educativo, di cinesussidio e che includesse anche il “parente spettacolare”. Si sviluppa così la consapevolezza di «una vera e propria educazione al cinema

spettacolare»:

«Insomma negli anni in questione il cinema è diventato una componente essenziale della società e della cultura; proprio per questo motivo, il “cinema d’insegnamento”, all’interno della scuola, perde definitivamente il suo senso nel momento in cui i suoi giovani spettatori possiedono una forma di esperienza cinematografica totalmente diversa da quella offerta dal cine-sussidio. Il cinema spettacolare con la sua paticità (Volpicelli), con la sua carica performativa di elementi tipici, annulla di fatto ogni sforzo didattico del cinema d’insegnamento, il quale pur sfruttando la stessa tecnologia, ne avvilisce le componenti emozionanti e suggestive; […] il cine-sussidio lascia il posto ad altre necessità nate all’interno di una società che ha spalancato al cinema le porte del mondo della vita, lasciando sconcertato il mondo della formazione e dell’educazione, palesemente impreparato al fiume in piena della società dello spettacolo. È da questi presupposti che nasce molto presto la necessità di una vera e propria educazione al

cinema spettacolare»242.

Tra i pedagogisti più attivi in questo studio sulla valutazione del rapporto cinema-educazione troviamo Luigi Volpicelli243, Raffaele Laporta e Giuseppe Flores D’Arcais.

Attraverso l’analisi di alcuni scritti di Volpicelli244 abbiamo potuto notare come la sua posizione passi, nel giro di pochi anni, dal considerare il cinema come un

241 «La maggior parte delle scuole italiane, all’indomani del Secondo conflitto mondiale, si lasciavano ancora ispirare dalla superiorità dell’atto educativo, dalla centralità della vocazione pedagogica dell’insegnante e dalla valorizzazione degli strumenti didattici classici e della loro semplicità e umiltà, mettendo, quindi, in secondo piano qualsiasi innovazione tecnica». Giovanni Rizzo, Le forme del

cinema per l’educazione. Il panorama italiano dagli anni ’50 ad oggi, cit., p. 19.

242 Ivi, p. 25.

243 Per un approfondimento sugli scritti dedicati al rapporto cinema-educazione cfr. paragrafo 2. 5. 1.

244 La maggior parte delle pubblicazioni sul tema cinema per ragazzi, anche quelle apparse su “Bianco e nero”, sono state raccolte nel volume pubblicato nel 1959 Educazione contemporanea. Aspetti e

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pericolo per i più giovani, come un momento di irrazionalità dovuto alla forte carica emotiva che predomina nel discorso filmico245 ad un’idea dello stesso come strumento puramente meccanico ed esemplificativo delle lezioni in aula (e ritenuto non adatto considerando le poche opere a disposizione che non offrono la possibilità di coprire un intero programma strutturato)246, ad uno strumento necessario per la collettività per un’educazione al cinematografo anche in occasioni e in attività extrascolastiche. Per affermare ancora una volta il suo pensiero, orientato verso questa direzione di educazione al film e a mezzo del film, Volpicelli pubblica, sul finire del 1950, un articolo molto critico nei confronti della cinematografia scolastica e suggerisce una serie di strade da intraprendere. Una cinematografia quest’ultima che sarebbe meglio accantonare, «far cadere nel dimenticatoio», almeno finché le produzioni non siano abbastanza da poter instaurare un solido rapporto tra scuola e cinema e quindi un’efficace educazione per i ragazzi247. Un rapporto da stabilire anche attraverso la distribuzione, anch’essa finora fallimentare, dei proiettori presso gli istituti scolastici, dovuta alle mancanze di un «ente centrale» («un organo, insomma, piuttosto d’azione che di monopolio, ente di lavoro, e perciò rispettoso dell’autonomia di chi vuol fare e sa fare»248. Palese riferimento alla Cineteca Scolastica e alle sue esigue attività) che dovrebbe altresì fornire un «proiettore tipo, il migliore possibile al più basso prezzo possibile». L’educazione dei giovani al cinema non deve essere più relegata alle sole aule scolastiche, ma deve conquistare una sempre maggiore importanza sfruttando l’uso frequente che i ragazzi ne fanno fuori dalla scuola e che è «assai spesso anche il solo mezzo di ricreazione», addirittura quotidiano. Solo attraverso l’educazione al cinema con discussioni, interventi e studio sulle opere anche spettacolari «l’occhio si educa» guidando i giovani alla fondazione di spirito critico e di analisi:

«Nelle discussioni, negli interventi, nelle reciproche obiezioni, nel contradittorio, gli spiriti si affinano, l’occhio si educa, si approfondisce e scaltrisce il modo di leggere o di vedere, non solo trasformando nel più prezioso esercizio attivo quella che, di per sé, parrebbe funzione tutta passiva e succube, ma creando anche quella maturità al

245 Il vero problema del cinematografo rispetto all’educazione, “Bianco e nero”, n. 5, 1949 e

Pregiudiziali sul cinema e l’educazione, “Bianco e nero”, n. 9, 1949.

246 Luigi Volpicelli, Cinema didattico e pedagogia, “Bianco e nero”, n. 12, 1949.

247 «Codesta educazione dei giovani al cinema è, infatti, formazione estetica ed etica, affinamento del gusto, irrobustimento dello spirito critico». Luigi Volpicelli, Educazione al film e a mezzo del film, “Cinema”, n. 51, 1950, p. 299.

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cinematografo che, sola, può compiere l’opera di selezione di rinnovamento e di miglioramento»249.

Raffaele Laporta

Un esercizio attivo250 condiviso anche dal pedagogista Raffaele Laporta che inserisce, tra i suoi molteplici interessi251, anche l’insegnamento del cinema per i più giovani grazie all’utilizzo di opere spettacolari in aula e fuori dalla scuola. Il suo interesse per il cinema e l’educazione si sviluppa maggiormente negli anni Cinquanta durante gli anni di docenza presso istituti secondari e la direzione del Centro Provinciale di Cinematografia Scolastica di Pescara. Le sue riflessioni sono raccolte in due riviste in particolare: “Cinedidattica” e “Scuola e città”. La serie di interventi apparsi su quest’ultima rivista confluiranno nel suo volume più rilevante dedicato al rapporto tra cinema ed educazione, Cinema ed età evolutiva, del 1957252. La totalità dei suoi studi partono dal superamento della semplice definizione «didascalico-illustrativa della cosiddetta cinematografia didattica, che utilizza il cine-sussidio come strumento attivo di esperienza, ma ormai fine a se stesso e sempre più noioso»253. Il superamento della definizione di cinesussidio proposto da Laporta quale pratica (“momento tecnico”) ormai fine a sé stessa, è dovuto soprattutto alla mancanza di opere adatte e perché, «di concreto, c’è solo una certa diffusione di apparecchi di proiezione nelle scuole medie e nei plessi scolastici elementari. Ma

249 Ivi, p. 299.

250 «Nel metodo attivo la lezione non si svolge a senso unico dall’insegnante agli allievi, ma è un rapporto di collaborazione reciproca che, partendo da una serie di dati sensibili, cerca di riorganizzarli per soddisfare “interessi comuni”». Davide Boero, All’ombra del proiettore. Il cinema per ragazzi

nell’Italia del dopoguerra, cit., p. 191. Per un approfondimento sulle pratiche di attivismo pedagogico

cfr. Giorgio Bini, La pedagogia attivistica in Italia, Roma, Editori riuniti, 1971.

251 Tra le molteplici attività dello studioso spiccano la pubblicazione di numerosi volumi sulla pedagogia e la direzione dell’Istituto di Pedagogia dell’Università di Roma La Sapienza dal 1970 al 1975 e il ruolo di Presidente della giuria al Festival Internazionale del Film per Ragazzi di Venezia. Tra le sue pubblicazioni troviamo: La comunità scolastica (1963), Il tempo libero dai 6 agli 11 anni (1974), Cinema e società evolutiva (1979), L’autoeducazione delle comunità (1979), L’assoluto

pedagogico: saggio sulla libertà di educazione (1996). Per un approfondimento sulla figura dello

studioso cfr. Franco Frabboni, Paolo Orefice, Franca Pinto Minerva, Clotilde Pontecorvo, Giuseppe Trebisacce (a cura di), Le frontiere dell’educazione. Scritti in onore di Raffaele Laporta, Firenze, La Nuova Italia, 1992.

252 Raffaele Laporta, Cinema ed età evolutiva, Firenze, La nuova Italia, 1957.

253 Giovanni Rizzo, Le forme del cinema per l’educazione. Il panorama italiano dagli anni ’50 ad

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questi apparecchi danno scarse soddisfazioni: mancano i film»254. Considerate tali mancanze255, Laporta propone anche il superamento della distinzione tra cinema didattico e film educativo in quanto ogni film è allo stesso tempo educativo e didattico, per concentrarsi sulla distinzione tra cinelezione («e cioè il film costituente da solo o prevalentemente l’atto educativo, il film detto “ricreativo”») e cinesussidio («come momento tecnico di esso»): «La questione del cinema scolastico viene in tal modo distinta in due: quella della produzione e dell’uso del film inteso come

cinelezione, e quello della produzione e dell’uso del film inteso come cinesussidio»256. Per discutere sull’uso del film, finora rimasto soffocato da generiche formulazioni circa l’utilità del cinema nella scuola, secondo Laporta, l’unico procedimento utile da applicare sarebbe quello di «usare definitivamente il

film: soltanto da una serie nutrita di esperienze positive e negative si potrà trar

materia per discutere e concludere»257. La prima discussione necessaria e preliminare è quella tendente a persuadere gli educatori che «il problema del cinema nella scuola esiste, e in un modo o nell’altro bisogna esaminarlo»258 per trarne delle conclusioni; solo gli insegnanti, accettando di inserire tra le attività scolastiche la cinelezione e aprendo le porte al cinema spettacolare, potranno fornire i dati necessari per trovare la strada giusta da percorrere per la completa adozione del film come sussidio alla lezione. Escludendo definitivamente l’incremento della produzione dei film come fattore risolutivo che permetterebbe al cinema di avere consenso tra gli insegnanti, Laporta esorta gli educatori a sperimentare in prima persona delle nuove esperienze didattiche attraverso il cinematografo: solo con esperienze “adeguate”259 si può suscitare un nuovo grado di interesse. Dopo queste premesse sull’impossibilità di un utilizzo ampio del cinesussidio a causa della mancanza di un numero di attrezzature

254 Raffele Laporta, Il cinema scolastico sul terreno pratico: il cinesussidio, “Cinedidattica”, n. 9, 1952, p. 10.

255 «Per noi le questioni indicate non hanno che un significato molto vago sul piano teorico. Su tale piano, in mancanza di serie esperienze e quindi di dati concreti, ogni tesi è possibile e inutile al tempo stesso: occorrono le esperienze». Ibidem.

256 Ibidem.

257 Ibidem.

258 Ibidem.

259 Secondo Laporta le esperienze “adeguate” che porterebbero a discussioni sull’uso del film e sulle esperienze individuali dei singoli insegnanti, dovrebbero avvenire grazie «alla possibilità di porre in circolazione un mezzo economico, tecnicamente semplice, di sperimentare: in altri termini, offrire agli insegnanti proiettori maneggevoli a basso prezzo, e pellicole in quantità adeguata». Ibidem. Prosegue Laporta: «Quanto ai proiettori, la Cineteca centrale ha già bandito un concorso fra le varie case produttrici, e ne ha annunciato i primi buoni risultati: ragione decisiva, questa, per mettere da parte le accademie e andare al sodo». Ivi, p. 11.

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adeguate, la riflessione di Laporta si sposta sulle modalità d’utilizzo della cinelezione (e del suo linguaggio che chiama cinelinguaggio) nelle attività scolastiche come atto educativo compiuto per mezzo del film ricreativo.

La condizione iniziale e necessaria per una corretta applicazione della cinelezione è l’acquisto di un proiettore da parte dell’istituto. Per non rendere vano l’acquisto dell’apparecchiatura260, prima di proiettare, «bisogna che si sappia cosa proiettare,

quando e perché occorre proiettare» e avere una serie di conoscenze che riguardano:

«a) una almeno generica conoscenza della tecnica filmica per valutare di ogni film il grado di complessità; b) una conoscenza almeno elementare della psicologia dell’età evolutiva, per essere in grado di valutare la comprensibilità del film e le reazioni affettive che esso determina; c) una certa preparazione pedagogica che consenta di scegliere a ragion veduta la propria condotta didattica nei confronti del rapporto film-lezione; d) una conoscenza pratica dei proiettori e dei modi del loro impiego meccanico. Prima di tutto questo, l’acquisto del proiettore è inutile»261.

Un secondo punto fondamentale che, secondo Laporta, potrebbe motivare gli insegnanti a sperimentare e fornire così un valore aggiunto alla lezione, è l’utilità del proiettore di classe, o di plesso, in «quell’azione di educazione al film che si svolge attraverso il cinema ricreativo»262. L’apertura di Laporta al cinema spettacolare (dovuta soprattutto alla mancanza di un numero adeguato di film appositamente realizzati per la scuola) è da considerare sotto un duplice aspetto: il primo è che avendo a disposizione quanti più film possibili per realizzare la cinelezione, gli insegnanti vengono posti in una condizione favorevole per una sperimentazione concreta; secondo, attraverso la cinelezione, gli insegnanti saranno in grado di creare «quella formazione del gusto critico ormai considerata dai più l’unica seria

260 «Diamo intanto per dimostrato che l’acquisto del proiettore sia deciso ed effettuato per motivi educativi e non di politica burocratica, ossia per acquistar meriti presso i superiori […] ma rivolgiamo invece attenzione al caso di chi acquista il proiettore convinto di poter migliorare l’azione didattica della scuola». Raffaele Laporta, Scuola-proiettori-insegnanti, “Cinedidattica”, n. 10, 1953, p. 6.

261 Ivi, p. 5.

262 Ivi, p. 6. Questa convinzione è esposta sulla rivista “Cinedidattica”, oltre che da Laporta, da Vincenzo Bassoli in Il film d’amore, “Cinedidattica”, n. 4, 1953 e in Educazione e film spettacolare, “Cinedidattica”, n. 10, 1952 dove possiamo leggere: «Quando i competenti della Scuola prendono la parola sul film spettacolare tendono, quasi sempre, a porne in luce più le qualità negative che non quelle positive. Sembra così, mentre parlano o scrivono, che prima di ogni altro debbano convincere sé stessi sull’opportunità, o meno, di inserire nel processo educativo della gioventù il film nella sua più comune accezione, che è quella di spettacolo artistico».

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possibilità di educazione cinematografica»263. Questi due aspetti andranno quindi a formare nella coscienza del fanciullo «un’attitudine nei confronti del film tale da garantirgli una adeguata difesa contro ogni possibile suggestione moralmente o socialmente negativa»264.

Ma quali sono i generi che creano queste situazioni favorevoli alla sperimentazione e che dispongono dei requisiti per essere considerati didattici? Uno dei generi suggeriti da Laporta è il film d’azione e in particolare il western («western, avventuroso, di cappa e spada»). La scelta è dettata da due fattori fondamentali: la possibilità di avere a disposizione un cospicuo numero di “materiale didattico” di cui servirsi, e la possibilità di utilizzarlo riuscendo a destare interesse nei più giovani, assecondando i loro gusti, creando così quella «condizione, naturale e necessaria, nell’attuale concezione attivistica dell’educazione (l’unica ammissibile ormai)»265.

L’interesse che il genere suscita nel pubblico, secondo Laporta, è dovuto soprattutto alla semplicità dello schema narrativo (il cinelinguaggio) del film western. Una breve analisi rivela come sostanzialmente ci sia una ricorrente divisione della trama in due parti fondamentali con varianti raramente essenziali: «nella prima, presentazione dell’eroe, dell’eroina, del suo antagonista, prime scene di rivalità, crescendo delle macchinazioni malvage; nella seconda, risoluzione di queste e duello finale»266. La fluidità di questo schema narrativo267 può sicuramente giovare agli alunni nella «formazione del gusto critico» che, attraverso l’insegnante in grado di stimolare il dibattito, può limitare il peso di “ipnoticità” prodotto dalle immagini nella coscienza del fanciullo268. Infine, pur non considerando il film d’azione come il “non plus

263 Ivi, p. 5.

264 Raffaele Laporta, Film d’azione. Veleno medicinale, “Cinedidattica”, n. 5, 1953, p. 5.

265 Ibidem.

266 Ibidem.

267 E la semplice distinzione tra personaggi negativi («il “malvagio”, antipatico, violento, traditore, abile meno dell’eroe ma più di ogni altro, appoggiato da una massa di uomini ai suoi comandi») e positivi («l’“eroe”, simpatico, forte, abile nell’uso delle armi» oppure «l’“eroina, bella, giovane, provvista di qualche abilità o vocazione») con cui identificarsi. Raffaele Laporta, Cinema ed età

evolutiva, cit., pp. 86-87.

268 L’autore fa riferimento alle teorie sullo stato ipnoide che lo spettatore vive durante la proiezione rilevate da Janet e successivamente riprese dal principale animatore della filmologia francese Gilbert Cohen-Séat. Anche nel suo volume Cinema ed età evolutiva, Laporta dedica ampio spazio alla nascita e allo sviluppo degli studi filmologici francesi. Soprattutto nella prima parte vengono trattate quelle tematiche che inducono lo spettatore a questo stato di “condizione ipnoide”: lo spazio e la sotto motricità in cui viene posto lo spettatore durante la proiezione, i rapporti tra memoria e apprendimento del film (l’“identificazione”, in gergo psicanalitico, che avviene nello spettatore nei confronti delle immagini in movimento).

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ultra” educativo per il ragazzo269, le valutazioni dell’autore sulla positività che derivano dall’utilizzo del western270 si spostano anche verso il fattore della comprensione. La linearità, la facilità di “lettura” della trama e degli intrecci, «il ripetersi di un medesimo “cliché”», semplifica di molto la comprensione di ogni singolo film e favorisce le capacità di “assorbimento dell’immagine” grazie anche al basso tasso ipnoide e all’elevata concentrazione. In conclusione, lo studioso considera l’utilizzo del cinema ricreativo/spettacolare una risorsa in mancanza di film “fatti su misura”; un “male minore” attraverso il quale i più giovani possono ricevere l’educazione al cinema («“vaccinazione spirituale” del fanciullo contro il cinema stesso»), fondare uno spirito critico nei confronti del cinema anche al di fuori della scuola, portando ad analisi, comparazioni, al dominio del razionale sull’irrazionale:

«Ma si può dire che – in mancanza di film fatti su misura per l’infanzia, e nell’urgenza del problema educativo in cui ci si dibatte oggi – il film d’azione sia il male minore, e talvolta riesca ad essere un bene. Ogni volta infatti che, muovendo dalla sua sufficiente comprensione, sia possibile indurre il fanciullo ad una discussione del suo contenuto e quindi ad una sia pur limitata valutazione morale e sociale di questo, si verifica per l’organismo spirituale del fanciullo spesso una reazione critica e dunque positiva: come le reazioni suscitate da quei veleni, che somministrati in dosi attenuate si convertono in medicinali. È proprio di questa attenuazione (che nel caso specifico è dato dai fattori da noi posti in evidenza, primo fra essi lo “schema”) intendevamo parlare quando in altra sede cercavamo di spiegare per immagini l’educazione al cinema come una “vaccinazione spirituale” del fanciullo contro il cinema stesso: una vaccinazione che, se non è fatta con il siero tratto dal “virus” che si combatte, non ha alcun effetto; ma che se è fatta utilizzando quel “virus” in giuste dosi, riesce a immunizzare spesso per sempre

269 Ed esortando gli educatori a non utilizzare il genere “gangster”, «in cui da un lato la necessità di vicende molto complesse, dall’altro la spesso elaborata ricerca di una tensione fondata sul macabro e sul misterioso, sono elementi che esorbitano dalle nostre osservazioni precedenti». Raffaele Laporta,

Film d’azione. Veleno medicinale, cit., p. 6.

270 L’autore riflette anche su quei fattori negativi e pericolosi da un punto di vista morale che si possono incontrare nel film d’azione e sulle possibilità di poterle mitigare: la sessualità (attraverso il