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L’auctoritas di Wolfgang Aly

2 «Error noster irreparabiliter…»: storia delle attribuzioni dell’opera

2.1 L’auctoritas di Wolfgang Aly

La storia delle attribuzioni del DEM inizia nel 1844 con Angelo Mai, quando, al momento dell’acquisto delle pergamene, il Cardinale dichiarò di aver reperito «due branelli» e di non riconoscerne l’autore, edito o inedito che fosse. Anche in un foglio seriore non datato e anonimo, ritrovato nel fascicolo Vat. Gr. 2306 PTA, si legge: «Non Strabone. Oratio attica?»138.

Il trattato fu portato per la prima volta all’attenzione della comunità internazionale nel 1935, in occasione del IV Congresso di Papirologia di Firenze. In quella circostanza Wolfgang Aly pronunziò un discorso intitolato Geschichte, Methode und Aufgabe der Palimpsestforschung, durante il quale – come emerge dalla breve sintesi da lui pubblicata nello stesso anno – presentò agli studiosi il caso di studio del trattato tramandato dal Vat. Gr. 2306. Non sappiamo a che stadio del lavoro di trascrizione egli fosse, ma di certo aveva già chiaro si trattasse di «Etwas Politisches von der Hand Theophrasts […]» (Aly 1935, 302); non si fermò qui: ipotizzò che l’opera potesse essere nientemeno che la continuazione teofrastea della interrotta Politica aristotelica. L’idea, in sé azzardata, non fu oltre sviluppata, e non sappiamo come fu accolta dai partecipanti al Congresso, né del resto leggiamo nulla a proposito nella cronaca dell’evento redatta da Giorgio Pasquali. Il contributo di Aly non fu pubblicato negli Atti del Convegno editi nel 1936, ma in separata sede sulla rivista «Forschungen und Fortschritte» dell’anno prima139.

Sbordone 1948 non sembra conoscere l’idea avanzata nel 1935 da Aly, e così anche gli altri studiosi che si sono occupati del trattato. Secondo una celebre teoria di Wilamowitz 1893, I, 361, le varie πολιτεῖαι avrebbero fornito materiale per la Politica. Il nostro trattato non è dedicato a un contesto geografico ristretto come le Costituzioni, ma pare più simile a quel tipo di materiale tecnico di cui parla Wilamowitz, piuttosto che a un libro mancante della cosiddetta Politica.

137 Cf. Pasquali 19522, 189 e sul senso dell’espressione ἀπὸ φωνῆς anche Richard 1950.

138 Per la storia del rinvenimento del fascicolo Vat. Gr. 2306 PTA e per la sua descrizione cf. infra, Appendice II., par. 4. 139 Cf. Pasquali 1935 e Atti 1936, nonché infra, cap. VI, par. 1.

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Come vedremo, i testi aristotelici, e in particolar modo la Politica, sono termine di paragone costante e fonte cui il nostro autore attinge spesso e a piene mani, ma l’affermazione di Aly del 1935 pare assai avventata: queste disordinate note comparativiste sulle leggi hanno ben poco a che fare con lo stile della Politica. Come scrissero Keaney–Szegedy-Maszak 1976, 229: «The truth of Cicero’s statement (de fin. 1, 6), Theophrastus mediocriterne delectat, cum tractat locos ab Aristotele ante tractatos?, is perhaps best illustrated in the relationship between B and a passage in the fifth book of the Politics»140.

Il più autorevole tentativo di attribuzione proviene dall’editio princeps di Aly (cf. Id. 1943, 48s.), ove lo studioso non fece menzione alcuna della pregressa tesi fiorentina; con il lavoro del 1943 sancì definitivamente che il trattato non potesse essere successivo al IV secolo, poiché non trattava del regno macedone o della Roma repubblicana, e propose nuovamente come autore Teofrasto, ma come opera il perduto Πῶς ἂν ἄριστα πόλεις οἰκοῖντο α᾿, menzionato nel catalogo in D.L. V 49, 19141. Scrisse inoltre: «Solius Theophrasti operum pars ad hunc diem servata est; sexto vero post Christum saeculo complures si non omnes eius libros conservatos fuisse, primum quidem testis est Priscianus, qui cum ceteris philosophis a. 529 Athenis ad Persas confugit et quarto post anno in imperium rediit. Ei μετάφρασις τῶν Θεοφράστου περὶ αἰσθήσεως debetur, nec dubium, quin in bibliotheca academiae, cum iubente Iustiniano eius porta clauderetur, Theophrasti scripta collocata fuerint. Sexto saeculo Simplicius magnum numerum librorum indefessus investigator in itinere Armeniaco totum corpusculum scriptorum minorum uno codice comprehensorum sibi legendum curavit. Ita impedimentum non est, quin ponamus sexto saeculo ex ampla iam tum hereditate Theophrasti nostrum libellum esse exscriptum» (cf. Aly 1943, 49).

Tuttavia, Aly 1943, 12 si mostrò cauto quando scrisse nei Praemonenda alla sua edizione: «Tamen editioni nostrae Theophrasti nomen non praescripsimus. Factum est, ne, si erravissemus, error noster irreparabiliter in perpetuum maneret; compendio in lexicis signo Theophr. (?) pol. utaris»142. Lo spirito prudenziale di Aly non fu adeguatamente recepito da recensori e studiosi successivi, tanto che spesso nei lavori successivi accanto al nome del trattato comparve quello di

140 A questo proposito è lecito sollevare dubbi su quale Politica Cicerone leggesse, se quella androniciana. Sul complesso

tema della conoscenza che Cicerone aveva del Peripato si veda l’utile raccolta Fortenbaugh-Steinmetz 1989. Sulla personalità di Andronico di Rodi cf. Plezia 1946, Barnes 1997, 24ss., Moraux 2000, 53ss.

141 Cf. Appendice I., T. 72. Il trattato, come prevedibile, non comparve nella disamina di Regenbogen 1940, coll. 1516-

1521 delle opere politiche di Teofrasto, perché l’editio princeps vide le stampe tre anni dopo la pubblicazione del volume supplementare della RE. Ciononostante, va detto che dell’opera di Aly – in stato di bozze per svariati anni in attesa del mai apparso Corollarium Theophrasteum di Crönert – si doveva essere sparsa la voce nella comunità accademica, e lo stesso studioso, come abbiamo ricordato, aveva dato notizia di nuovo materiale teofrasteo già in Aly 1935, 302.

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Teofrasto143; tra i recensori, in particolare, Peremans 1945, 580 giudicò assai probabile l’attribuzione

al filosofo, e Calderini 1944, 212 l’accettò pacificamente.

Sbordone 1948, nello svolgere un’analisi linguistica del trattato, rilevò che l’autore era fedele all’attico letterario, proclive, spesso, a innovazioni e neologismi della κοινή, e dimostrò come non mancassero legami con la terminologia di Epicuro, Platone e Aristotele; tuttavia, la più spiccata coincidenza, scrisse, era senz’altro quella con il lessico di Teofrasto. Eppure, Sbordone 1948, 284, accorto linguista, non potè non rilevare nell’attribuzione di Aly una «non lieve difficoltà»: «Lo stile di Teofrasto è chiaro, fluido, particolareggiato, quello del nostro autore a qualche pagina piana ed agevole, es. le colonne Br I, III, Bv, I, alterna frasi raccorciate (B 5, 211 ss.), brani troppo densi e concettosi, il cui senso si coglie a fatica (B 59-88, 236-243), allusioni incomprensibili come il dibattito tra Cleomene e Cleola e le usanze di Megalopoli e di Locri circa l’ἀνάκρισις dei magistrati. Si ha insomma l’impressione che chi scriveva si rivolgesse a un pubblico di competenti, magari di discepoli già abbastanza informati in materia costituzionale».

Questa preziosa intuizione non fu sviluppata oltre da Sbordone, che si affrettò a giustificare l’incongruenza ipotizzando che Teofrasto mutasse stile a seconda della diversa cerchia di lettori cui si rivolgeva di volta in volta; quindi, se nelle opere botaniche adottava una prosa piana, scorrevole, descrittiva, nel testo sulle leggi si incagliava in un intrico di valutazioni e ragionamenti.

Dopo aver raccolto la lista dei loci similes teofrastei, lo studioso chiuse la questione così: «Siffatta lista di prove, notevoli per numero ed entità, ha un valore persuasivo di prim’ordine, da cui non tarderemo a trarre le conseguenze» (cf. Sbordone 1943, 283). In verità le «prove notevoli» provengono tutte da opere botaniche e non politiche di Teofrasto; invece, i testi con cui il nostro trattato ha più affinità sono quelli politici aristotelici. È soprattutto Aristotele, contraddetto o ripreso, a essere vividamente presente nella mente dell’autore (cf. Oliver 1977, 321, n. 1).

Anche per Meyer 1968, 302, autore della monografia Einführung in die antike Staatskunde, il

DEM era «wahrschleinlich» di Teofrasto, ma lo studioso non si pronunciò sulla natura dell’opera,

rinviando al lavoro di Aly.

L’attribuzione a Teofrasto è stata largamente accolta dalla critica, che si rifà sempre allo studio del primo editore, nel quale pure lo studioso aveva invocato cautela144: in studi di carattere paleografico, codicologico, storico in cui si menzioni il Vat. Gr. 2306 non si riscontra mai una problematizzazione della questione dell’authorship145. È importante rilevare come Fortenbaugh,

143 Cf., ad esempio, il titolo di Keaney 1974: Theophrastus on Greek Judicial Procedure, o Keaney Szegedy-Maszak

1976: Theophrastus’ De Eligendis Magistratibus: Vat. Gr. 2306, Fragment B. Cf. anche la descrizione su Pinakes: <https://pinakes.irht.cnrs.fr/notices/cote/68937/>.

144 Cf. supra, in questo stesso paragrafo.

145 Cf., ad esempio, Cavallo 1967, 83, Cavallo 1977, 121, Den Boer 1979, 422, Mazzucchi 1979, 106, Irigoin 1981, 600,

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Huby, Sharples, Gutas nel loro Theophrastus of Eresus: sources for his life, writings, thought and

influence del 1992 (cf. ibid. 602ss.), nella sezione dedicata ai frammenti politici di Teofrasto noti per

tradizione indiretta, inseriscano anche un’appendice sul DEM, che dunque nel loro studio si configura immediatamente come testo teofrasteo. Nello stesso anno anche Mirhady 1992, 245ss. inserì i frammenti del DEM nel suo The political thought of Theophrastus: a critical edition of the named

texts with translations and commentary.

L’ultimo scampolo dell’auctoritas di Aly proviene da un recente articolo di Marcotte (cf. Id. 2018, 234), ove si legge del DEM come di un trattato perduto di Teofrasto146, che il filologo tedesco aveva avuto la fortuna di riconoscere.