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Punti di contatto con la politica del tempo di Demetrio

2 «Error noster irreparabiliter…»: storia delle attribuzioni dell’opera

6. Studi di diritto comparato e potere

6.2 Punti di contatto con la politica del tempo di Demetrio

Nel 2010 Banfi aveva citato cursoriamente il DEM tra le opere giuridiche di Teofrasto composte – come altre da lui citate – con un intento propositivo e non meramente descrittivo, per mostrare quanto saldo fosse il legame tra la produzione del filosofo e le utilità della politica180. Lo studioso non mancava di notare la complessità dell’interpretazione di alcuni passaggi e l’impianto di derivazione puramente aristotelica. L’indagine merita di essere approfondita e inquadrata in un ragionamento più ampio sulla tipologia testuale dei frammenti pervenutici.

Demetrio del Falero fu nominato ἐπιμελητής τῆς πόλεως da Cassandro181 e ricoprì anche il ruolo di primo stratego (cf. fr. 20 Wehrli = 162 SOD). Non marginale è l’attenzione dedicata alla

175 Cf. D.L. V, 75 = fr. 2 Wehrli (= fr. 1 SOD); Str. IX 398; Cic. Leg. III 14, Off. I 1, Fin. V 54; Suid. s.v. σ 429 = fr. 3

Wehrli (= fr. 2 SOD).

176 Cf. Gottschalk 2000, 368. Secondo D.L. V 39 = fr. 5 Wehrli (= fr. 10 SOD), fu proprio grazie a Demetrio che Teofrasto,

meteco di nascita, potè usufruire di un edificio per svolgere le attività didattiche della scuola ateniese (cf. Banfi 1998- 1999, 534, n. 34). Come scrive Banfi 1998-1999, 530, è probabile che Demetrio del Falero sia entrato in contatto con Cassandro per tramite di Nicanore, genero di Aristotele, cf. Ath. XII 60 = fr. 9 Wehrli (= fr. 43A SOD) e sulla parentela di Nicanore con Aristotele cf. Plut. Phoc. XXXI e D.L. V 12. Cf. anche Wehrli 1949, 50.

177 Cf. Banfi 2010, 44 e sul legame tra produzione teofrastea e Demetrio anche Szegedy-Maszak 1981, 80ss.

178 Sul suo ruolo politico cf., in particolare, Dow-Travis 1943, 144-165, Habicht 1995, 62-75, Tracy 1995, 36-51, Gagarin

2000.

179 La più recente e completa raccolta delle fonti su Demetrio del Falero si trova in Stork-van Ophuijsen-Dorandi 2000. 180 Cf. Id. 2010, 44s. Sul carattere prescrittivo delle opere teofrastee cf. anche Bloch 1940, 361, Szegedy-Maszak 1981,

79 e Bryant 1996, 463ss.

181 Cf. fr. 12, 13 Wehrli (= fr. 16B e 16A SOD). D.S. XVIII, 74, 1-3 e XX, 45, 2. Discussa è la restaurazione dell’epigrafe

IG II2 1201 = SIG3 318, datata al 317/316 a.C, che alla l. 11 potrebbe accogliere ἐπιμελητής secondo la ricostruzione

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στρατηγία nel nostro trattato: è la magistratura più citata e la più ragguardevole, quella con una più accurata ricerca aneddotica182.

Secondo una tradizione biografica ritenuta ostile, Demetrio era di umili origini183; nel DEM

si insiste sulle qualità di strateghi privi di mezzi eppure assai validi come Aristide184, inoltre sappiamo da Plut. Arist. I 27 = fr. 95-96 Wehrli (= 102 e 104 SOD) che fu proprio Demetrio a confutare la tradizione sulla povertà di Aristide e Socrate, probabilmente per contrastare le critiche di chi polemizzava che, con un regime basato sul censo come quello da lui introdotto, i due grandi personaggi della storia ateniese sarebbero stati esclusi dalla vita pubblica (cf. Banfi 1998-1999, 540). Si spiega così, quindi, anche l’infondatezza della tradizione sulla povertà dello stesso Demetrio. Dal

DEM emerge, dunque, un altro tassello importante di questa polemica.

Il tema principale di buona parte del nostro trattato sulle leggi consiste nell’elencazione di criteri di accesso alle magistrature. Nell’Atene del IV secolo si accedeva a molte magistrature per sorteggio, sistema, questo, largamente criticato da Platone (cf. Pl. R. 557A). Secondo Aristotele, invece, il sorteggio era tipico delle democrazie, l’elezione delle oligarchie; per un buon governo occorreva, quindi, prendere spunto dai regimi oligarchici per introdurre pratiche di elezione, deprivandole, però, come accade nelle democrazie, di un sistema di accesso censitario (Arist. Pol. 1294B 7-13). La riflessione aristotelica in merito ha portato studiosi come Ferguson 1911a, 39ss., Bayer 1969, 90, Gehrke 1978, 153 e Williams 1987, 95 a ritenere che Demetrio, su influsso di Aristotele, avesse abolito il sorteggio185. In verità, come argomenta Banfi 2010, 113ss., non vi sono

fonti che sostengano una tesi così radicale, tuttavia qualche indizio c’è a proposito del passaggio da sorteggio a elezione nell’arcontato. «Nulla sappiamo di riforme del sistema di scelta per l’accesso alle altre magistrature e si può supporre che Demetrio nel suo pragmatismo, non abbia cambiato il metodo di reclutamento dei magistrati se non là dove lo ritenne strettamente necessario. È invece più che probabile che siano state elettive le magistrature da lui stesso create» (Banfi 2010, 115).

Il contributo del DEM a riguardo qual è? Nel trattato si scandagliano criteri di accesso alle magistrature in diverse città della Grecia: è assai suggestivo, quindi, immaginare che si trattasse di ricerche mirate sul tema, in una temperie politica che si stava interrogando sulla bontà dei criteri

accolto da Harding 1985. Di passaggio si può notare che l’ἐπιμέλεια è una delle qualità nominate dal DEM (cf. fr. Br, col.

III, ll. 7-8), in quanto, associata alla ἰταμότης, è virtù cardine di alcune magistrature, a differenza di altre che richiedono fiducia, e di altre ancora che necessitano di buon senso e capacità. Su ἐπιμελητεία e costituzione cittadina cf. in particolare Banfi 2010, 63-68.

182 Cf. fr. Br, col. I, l. 2 e ll. 31-32, col. II, l. 7, col. III, l. 34, fr. Bv, col. I, ll. 4-5, col. II, ll. 6-7 e l. 31, col. III, ll. 12-13.

Sugli incarichi ricoperti da Demetrio cf. Banfi 2010, 72-79.

183 Cf. fr. 1 e 2 Wehrli (=fr. 14 e 1 SOD) e Wehrli 1949, 49. 184 Cf. fr. Br, col. I, l. 26ss.

185 Possiamo supporre con Banfi 2010, 113, che questo accadde con il regime oligarchico instaurato da Antipatro. Cf. a

riguardo la preziosa testimonianza di D.S. XVIII 18, 4: chi è oltre una certa soglia di censo, è signore dello Stato e dell’elezione.

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d’accesso. Emerge, del resto, un dato importante a proposito di una delle magistrature istituite da Demetrio, ossia la νομοφυλακία, la sorveglianza delle leggi: nel fr. Br, col. II, ll- 2-6 si legge <εἰς

τὴν> νομοφυλακίαν ἤ τινα τοιαύτην ἑτ[έ]ραν δικαιοσύνης δεῖ. Se per avere accesso alla magistratura è necessario possedere una qualità come il senso di giustizia, possiamo dedurne che si tratti di una carica elettiva. O almeno questa fu la conclusione di Banfi 2010, 153186. In verità, credo che la questione sia più complessa, giacché nel più ampio contesto del passo indicato è arduo distinguere tra pensiero dell’autore e prassi consolidata, senza che vi sia, perlatro, un’indicazione topografica. Trattandosi, però, di una magistratura di nuova formazione ad Atene, la menzione potrebbe essere non casuale e alludere proprio alla tanto agognata elezione come criterio di accesso.

A prescindere dalla strategia d’ingresso in carica, uno dei legami più solidi tra politica di Demetrio e DEM risiede senz’altro nella νομoφυλακία187. Secondo una testimonianza di Polluce fu proprio a Demetrio del Falero che si dovette l’ufficializzazione della nomenclatura di νομοφύλακες (cf. Poll. VIII 102), attribuita a un consesso pre-esistente di undici membri188. I guardiani delle leggi, già nominati in X. Oec. IX, 14, Pl. Lg. 671 e Ar. Pol. 1287A 21, entrarono quindi in vigore con il nuovo nome durante il governo dello statista, per poi decadere nel 307189. Il DEM non allude esplicitamente al contesto ateniese in questa sede, dunque non possiamo sfruttarlo come fonte per datare con certezza il trattato – come invece fanno Aly 1943, 36s. e Sbordone 1948, 287 – tuttavia l’interesse dedicato alla magistratura è senz’altro un indizio importante.

Un altro punto importante concerne la considerazione del censo190. Sotto Demetrio il diritto

di voto fu limitato a chi possedeva minimo 1000 dracme (cf. Gottschalk 2000, 370), tuttavia lo statista promulgò numerose leggi contro il lusso sfrenato, specie per banchetti, funerali, monumenti funerari191. Quest’ultimo aspetto è documentato anche da Cic. Leg. II 63 = fr. 135 Wehrli = fr. 53 SOD (cf. Ferguson 1911, 47ss.). Lo statista, inoltre, istituì una magistratura apposita, quella dei γυναικόνομοι, per la sorveglianza dei costumi192. Aristotele aveva trattato spesso l’importanza della

γυναικονομία come magistratura puramente aristocratica e che, al pari di νομοφυλακία e

186 Si tratta dell’unico passo in cui lo studioso discute un brano del fr. B.

187 Su νομοφυλακία e controllo di legittimità costituzionale nell’azione politica di Demetrio, cf. Banfi 2010, 136-156. 188 Su questo punto cf. Ferguson 1911a, 44ss., Ferguson 1911b, 270s., Bayer 1969, 25ss., Gehrke 1978, 151ss., Gottschalk

2000, 370.

189 Cf. Sbordone 1948, 187 e Busolt-Swoboda 19263, 895, n.1.

190 Sul regime timocratico di Demetrio del Falero cf. Banfi 2010, 83-89.

191 Sappiamo anche che Demetrio abolì le coregie e ridusse grandemente le spese militari (cf. Ath. XII 60 = fr. 34 Wehrli

= 43A-B SOD). In quest’ottica criticava la politica edizilia periclea (Cic. Off. II 60 = fr. 137 Wehrli = fr. 110 SOD). Sulle leggi suntuarie di Demetrio del Falero cf. Banfi 2010, 166-174.

192 Per un’analisi diacronica della magistratura in diverse località della Grecia, cf. Boerner 1912, coll. 2089-2090, Wehrli

1962, Banfi 2007 e Banfi 2010, 115-133. Di gineconomi abbiamo notizia a Taso per il IV secolo (cf. Pouilloux 1954, n. 141, 144, 154), a Gambrio nel III sec. a.C. (SIG3 1219 = CIG II, 3562), a Magnesia sul Meandrio per il II sec. a.C. (SIG3

589), ad Andania nel I sec. a.C. (IG V, 1, 1390), a Siracusa secondo la testimonianza di Filarco (cf. Ath. XII 20, 11 =

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γυμνασιαρχία, poteva garantire il mantenimento dell’ordine in città prospere e tranquille193. Già Banfi

2007, 23 aveva sottolineato l’influenza degli studi peripatetici sull’azione di Demetrio: «[…] egli, in quanto esponente della scuola aristotelica, non solo era a conoscenza dell’apprezzamento di Aristotele per la gineconomia, ma aveva anche a disposizione l’ampio materiale della raccolta di Costituzioni che certamente gli consentì di apprezzare poteri ed attribuzioni dei gineconomi nel resto del mondo greco»194.

Provvedimenti del genere non potevano non sollevare malumori; i suoi avversari, infatti, lo accusavano di condurre una vita sregolata (cf. Ath. XII 60 = fr. 35 Wehrli = fr. 43A SOD), di aver finanziato copiosamente feste pubbliche (cf. D.L. V 75 = fr. 28 Wehrli = fr. 1 SOD), di essersi fatto erigere numerose statue (cf. D.L. V 76 = fr. 52 Wehrli = fr. 1 SOD); come sentenziava Duride (cf. Ath. XII 60 = fr. 34 Wehrli = fr. 43A-B SOD), «lui, che scrive leggi per gli altri e ne vuole regolare minuziosamente l’esistenza, viveva senza leggi»195.

Nel DEM torna spesso il discorso sull’οὐσία, variamente declinato e spesso contraddittorio. In Br, col. I, ll. 8ss. si scrive che è meglio (κράτιστον) che lo stratego acquisisca fiducia tramite condotta e non mediante patrimonio, dalla l. 18 si dichiara che la normativa censitaria rischia d’essere d’impedimento ai veri leader; dalla l. 36 e ss. si accenna al criterio di scelta finanziario, specie per uffici come quello di tesoriere (τὰς οὐσίας τηροῦσιν); nella col. II dalla l. 11 si nomina la necessità che gli strateghi abbiano un patrimonio sufficiente (ὡς εἴρηται), e dalla l. 17 il possesso è annoverato tra le qualità richieste per l’accesso alle cariche assieme a saggezza e virtù. Alla l. 41 e ss. si dichiara apertamente che sono i più, sempre attratti dal peggio, a guardare al patrimonio.

Non è sempre facile capire quando l’autore faccia riferimento alla normativa vigente, quando riporti pensiero suo e quando quello altrui, tuttavia è fuor di dubbio che il testo riveli un’attenzione particolare al tema della ricchezza, con una più spiccata propensione per un criterio non censitario196.

Ad ogni modo, sembra che l’autore stia qui raccogliendo materiale di studio su singole pratiche particolari, ed è per questa ragione che vedervi necessariamente un intento polemico contro

193 Cf. a riguardo, Arist. Pol. VI 1300A 4-7, 1322B 37-1322A 3, 1323A 3-6. Si badi che νομοφυλακία e γυμνασιαρχία

sono nominate anche nel DEM, rispettivamente fr. Br, col. II, l. 3 e Bv, col. I, ll. 20-21(cf. il commento a cap. VIII, par .

4.1. e 4.2).

194 Scrive, inoltre, Banfi 2007, 29 a proposito di Timocl. Fr. 32 Kock = Ath. VI 46, 7: «[…] la commedia ci dice qualcosa

anche sulla caduta del regime di Demetrio del Falero. Si sa bene che le sue posizioni moderatamente oligarchiche lo avevano reso inviso al popolo minuto ed a coloro che ancora sostenevano un regime di piena democrazia. I passi dei comici, però, ci mostrano anche l’insofferenza di quegli stessi ceti sui quali il filosofo sperava di fondare il suo nuovo ordinamento, i ricchi. Sottoposti ad un intollerabile sistema di restrizioni e controlli da parte di colui nel quale avevano riposto le loro speranze e che meglio avrebbe fatto ad occuparsi di chi “non aveva di che sfamarsi”, come dice il personaggio di Timocle, certo non ne rimpiansero il governo e non ne frenarono la caduta».

195 Cf. per la traduzione del passo e l’analisi della polemica rivolta a Demetrio cf. Banfi 1998-1999, 548s. 196 Sembra, piuttosto, che la menzione della ricchezza come criterio voglia descrivere la normativa vigente.

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la politica censitaria e “aristocratica” di Demetrio Falereo, come voleva il primo editore, sembra eccessivo197.

Sono le stesse contraddizioni interne, nonché la tipologia testuale, a impedirci di attribuire il

DEM a una precisa corrente politica. Per quanto il criterio censitario sia criticato in alcune sezioni del DEM, ritengo non si possa definire opera di autore programmaticamente anti-oligarchico un testo che

presenta come esempio di best practice un aneddoto che ha per protagonista Agnone, probulo e padre di uno dei Trenta tiranni (cf. infra, cap. VIII, par. 4.1). Nel IV secolo la trattatistica su Teramene e sulla sua cerchia si ispira quasi sempre a una precisa linea politica di equilibrio e μεσότης, perseguita, ad esempio, in ambienti aristotelici e isocratici198. A ciò si aggiunge che la critica al criterio censitario di elezione sembra rispondere più a moralistico senso comune, che a una precisa linea di democrazia radicale. Nominare un probulo – peraltro in una delle sezioni meglio conservate e più organiche del testo – in quest’ottica è senz’altro più impegnativo. Dovremmo, allora, pensare a un testo

terameniano?

La risposta è anche in questo caso negativa. È più sensato orientarci verso una raccolta di dati attorno a un nucleo tematico. Se in politica, fuori dal recinto del Peripato, si rifletteva su determinati argomenti, è ragionevole immaginare che proprio nella fucina del pensiero giuridico di Atene si soppesassero pro e contra di taluni provvedimenti, o si preparasse il terreno per la loro attuazione.

Una testimonianza cruciale in tal senso, a proposito delle contraddizioni insite nel lavoro filosofico, emerge da Cic. Fin. IV 49 (= Xenocr. F 165 IP2), con l’importante menzione di Senocrate,

scolarca dell’Accademia dopo Speusippo199:

Aristoteles, Xenocrates, tota illa familia non dabit, quippe qui valitudinem vires divitias gloriam, multa alia bona esse dicant, laudabilia non dicant. Et hi quidem ita non sola virtute finem bonorum contineri putant, ut rebus tamen omnibus virtutem anteponant.

«Aristotele Senocrate e tutto quel loro circolo non concederà che ogni bene sia da lodarsi, giacché essi dicono che molte cose come la salute, la forza, la ricchezza, la gloria sono beni ma non sono lodevoli. Essi in realtà non ritengono che il sommo dei beni sia tutto raccolto nella sola virtù, anche se di fatto antepongono la virtù ad ogni altra cosa».

Del resto, anche la valutazione della politica di Demetrio en bloc come “oligarchica” sulla base del solo dato censitario rischia di essere fuorviante; la questione è molto più complessa di così. Già Plut.

197 Così vedi Aly 1943, 48 e anche Sbordone 1948, 287.

198 La bibliografia su questo tema è amplissima. Mi limiterò a citare, per quanto concerne l’idealizzazione aristotelica di

Teramene, Sogno 2000, 31, Frank-Monoson 2009, 247ss., e per Isocrate il celebre Cloché 1936, nonché Bearzot 1981, Canfora 1990, Canfora 2013, 341ss.

199 Testo di Moreschini 2005 e traduzione di Isnardi Parente-Dorandi 20122. Sui rapporti tra Senocrate e Demetrio del

Falero cf. Crönert 1906, 67-69 e Dorandi 1997, studi incentrati sull’analisi di testimonianze papiracee della Retorica filodemea: P. Herc. 1004, col. LV, P. Herc. 224, fr. 12 e P. Herc. 453, fr. 4.

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Demetr. X lo descriveva come λόγῳ μὲν ὀλιγαρχικῆς ἔργῳ δὲ μοναρχικῆς200. Restauratore della

costituzione timocratica, fu però profondamente aristotelico nella ricerca di un sistema politico che permettesse il ritorno a una certa qual democrazia: come scrive Str. IX 1, 20 (= fr. 27 Wehrli = fr. 19 SOD), οὐ μόνον οὐ κατέλυσε τὴν δημοκρατίαν ἀλλὰ καὶ ἐπηνώρθωσε. δηλοῖ δὲ τὰ ὑπομνήματα ἃ συνέγραψε περὶ τῆς πολιτείας ταύτης ἐκεῖνος201. Tale ricerca, tuttavia, faceva parte di una propaganda

politica ben orchestrata, in anni in cui era ormai avviata da tempo un’ampia riflessione attorno al concetto di πάτριος πολιτεία202. Impossibile, dunque, vedere in Demetrio un restauratore della

democrazia radicale (cf. Chambers 1973, 106ss.), quanto, piuttosto, un legislatore moderato e fedele a un orizzonte soloniano di fare politica203.

A ciò si aggiunga che l’atteggiamento di Demetrio nei confronti della prosperità economica fu abbastanza variegato: lo statista limitò il diritto di voto a chi possedeva 1000 dracme, ma promulgò anche delle leggi suntuarie. Uno dei suoi principali campi d’azione riguardò, dunque, il controllo della ricchezza, attuato con diverse – a volte solo apparentemente contraddittorie – strategie.

Si può dire di più: nel passo incriminato e citato da Aly come prova di posizionamento anti- Demetrio dell’autore, si legge che è preferibile che lo stratego si guadagni fiducia mediante la propria condotta, anziché per le proprie facoltà economiche. Facoltà economiche che, però, comunque sussistono, o perlomeno non possiamo escluderlo. E allora, sorge spontanea la domanda, sostenere che è meglio farsi strada per legittimo merito e non per quattrini è un pensiero democratico o aristocratico?204

200 Cf. fr. 26 Wehrli = fr. 18 SOD. La valutazione della politica di Demetrio come oligarchica si legge in Sbordone 1948,

287. Aly 1943, 48 scriveva: «Hac reipublicae commutatione paucorum imperium institutum est, ut non mireris simul viri docti, quisquis fuit, vocem audire, qui huic divitiarum falsae reputationi obloqueretur».

201 Cf. Banfi 2001, 338. Lo stesso studioso definisce altrove Demetrio come «moderatamente oligarchico», cf. Banfi 2007,

29. Sull’inquadramento dell’inclinazione politica di Demetrio del Falero si veda anche il notevole contributo di Mazzarino 1990, I, 450ss. In Georgius Syncellus, Ecloga Chronographica 331, 6-7 = fr. 17 Wehrli = fr. 20B SOD leggiamo di Demetrio come restauratore della democrazia.

202 Cf. Finley 1971, 22ss. e Moraux 1964, 132ss.

203 Cf. Jacoby 1949, 71ss., Banfi 1998-1999, 537, Banfi 2007, 22.

204 Si veda, a titolo puramente esemplificativo, la polemica di Aristofane contro i “nuovi ricchi”, capeggiati da Cleone,

leader della democrazia radicale. Scriveva Marzullo 19822, 66: «Una rinnovata classe politica, ma indubbiamente anche

una nuova cultura, insorge e segna la fine di Pericle: la borghesia commerciale, impaziente, spregiudicata, progressista. Intenta processi a Pericle ed alla stessa Aspasia, a Fidia ed Anassagora: si impadronisce infine, e legittimamente, del potere. Cleone ne è il più radicale rappresentante. Nel suo estremismo vi è necessità e rigore, che sfuggono a Tucidide, rancorosamente stretto alla destra, esiliato dallo stesso Cleone. La determinazione fredda, tagliente, di questo uomo nuovo sconcerta Aristofane: spririto privo di mordenti convinzioni, liricamente sensibile alla realtà, incline a reazioni, oscure, quanto rabbiose. […] Cleone si batte per la nuova democrazia». Un’agevole ricapitolazione della polemica aristocratica contro i parvenu in diversi momenti della storia greca si legge in Gill 1994. Scrive Cerri 1968, 22 a proposito dei passi teognidei contro la brama di ricchezza: «Dietro questa teoria c’è naturalmente l’odio degli aristocratici, ricchi da tempo immemorabile, contro i borghesi, nuovi ricchi; c’è il contrasto insanabile tra la ricchezza fondiaria, che rischia di passare in seconda linea, e la ricchezza liquida, guadagnata con le audaci imprese economiche. Teognide, come del resto Solone e Pindaro, quando distingue la ricchezza acquistata ingiustamente da quella acquistata giustamente, in realtà tende a discriminare classisticamente la ricchezza borghese, che a lui appare conseguita grazie ad un senso morale assai elastico, certo non scrupoloso nell’uso dei mezzi […]».

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