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Testi provvisori in codici di lusso

eligendis magistratibus

6. Testi provvisori in codici di lusso

È lecito chiedersi, a questo punto, perché un testo di tale natura sia stato copiato in un codice di lusso266. La risposta può sembrare ovvia, e ha a che fare – a mio avviso – con l’autorevolezza dei

corpora e anche con la progressiva perdita di sensibilità nei confronti dello stile di scrittori pur

rinomati. Guglielmo Cavallo ha analizzato nell’arco di diversi contributi la trasmissione del sapere classico nel VI secolo267. I pochi manoscritti membranacei superstiti recano tutti scritture altamente formali, con formato quadrato e mise en page colonnare per la prosa: si veda, ad esempio, la splendida maiuscola biblica del DEM, la maiuscola ogivale inclinata dello Strabone e la maiuscola rotonda d’imitazione dell’Iliade ambrosiana (Cod. F 205 Inf.). La tardoantichità aveva elaborato un suo preciso canone di libro di lusso, destinato alla sopravvivenza dei classici per via bibliotecaria (cf. Cavallo 1997, 211). Se i secoli che vanno dal IV al VI d.C. furono a tutti gli effetti secoli di recupero (cf. Cavallo 1997, 216), pur ammettendo che un committente colto o uno scriba accorto si fossero avveduti della problematicità del testo del DEM, nella mentalità di rivalorizzazione dell’epoca non avrebbe avuto senso ometterlo dal corpus di un grande autore. E, di fatto, la scelta di farlo

266 Ringrazio il Prof. Luciano Bossina per aver sollevato la questione. 267 Cf. in particolare Cavallo 1977, 1978, 1986, 1997.

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sopravvivere è l’unico dato certo che abbiamo. A margine si ricordi, inoltre, che prima d’ora non s’erano mai avanzati dubbi sull’attribuzione dell’opera a Teofrasto e sulla natura del testo.

A proposito di testi peripatetici in libri di lusso, credo meriti menzione il codice Par. Gr. 1330268, un pregevole manoscritto di testi nomocanonici e monastici attribuibili al XIII secolo, che reca nella scriptio inferior differenti unità antiquiores: un’unità A, con Pseudo-Dionigi Aeropagita in ogivale diritta, con commento di Giovanni di Scitopoli in ogivale inclinata e titoli in maiuscola biblica; un’unità B, costituita da testi patristici; infine un’unità C, un rimarchevole commento anonimo alla Logica aristotelica – forse agli Analitici primi – in cui Faraggiana di Sarzana ha ravvisato una maiuscola biblica (ff. 16,18, 66, 67, 68, 69, 96, 97, 98). I preziosi frammenti filosofici sono stati assegnati al V-VI secolo e la studiosa (Ead. 2009, 216ss.) ha notato un’interessante somiglianza con la mano del DEM269. In assenza di riproduzioni multispettrali e di un’edizione del testo anonimo, per il momento mi affido al lavoro finora condotto sul palinsesto270, ponendo l’attenzione sull’importanza di un “codice contenitore” siffatto, che testimonia l’interesse tardoantico per lo studio di opere aristoteliche e che, anche per un commento, reca come scrittura la maiuscola biblica271. È intrigante, inoltre, che tra i testi della scriptio superior ci sia anche in questo caso un

Nomocanone, per quanto decisamente più tardo di quello tramandato dal Vat. Gr. 2306; il dato, infatti,

costituisce un’ulteriore prova della necessità di indagare i palinsesti in senso verticale, perché l’incrocio di dati può essere utile per analizzare gli interessi convergenti di taluni centri di studio e produzione libraria a cavallo tra tardo-antichità ed epoca bizantina272.

A proposito del modus operandi tardoantico nei confronti di testi autorevoli eppure problematici, credo possa rivelarsi intrigante la testimonianza di Sinesio di Cirene, che raccontava di possedere nella sua raccolta libraria le opere di Dione di Prusa e ne difendeva strenuamente il carattere di autenticità, proprio perché trattavasi – come scrive – di libri ἀδιόρθωτα, non emendati e non sottoposti a cura filologica273. Non emendare, per l’autore tardoantico, corrispondeva a un preciso ideale estetico e umanistico274:

268 Cf. la riproduzione del codice su Gallica: <https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b10723048g>. 269 Cf. cap. I, par. 7. Per l’analisi delle unità codicologiche del manoscritto rimando a Faraggiana 2009.

270 Lo studio fotografico delle scritture inferiori è curato da Felix Albrecht e Federico Taverni all’interno del progetto

PALAMEDES (PALimpsestorum Aetatis Mediae EDitiones Et Studia cf. <http://www.palamedes.uni-goettingen.de>), cf. a proposito Albrecht-Matera 2017, 24, n. 65.

271 Come scrive Faraggiana 2009, 218, nel tardoantico circolavano numerose esegesi alla Logica di Aristotele, di cui a

noi non sono giunti che pochi resti. Per un’analisi estesa delle testimonianze neoplatoniche di V e VI secolo su libri e biblioteche della tarda antichità, cf. Hoffmann 2000 e 2007.

272 Per l’origine del Par. Gr. 1330 Faraggiana di Sarzana 2009, 222ss. avanza molto cautamente l’ipotesi

costantinopolitana, pur discutendone i possibili contra. A favore della teoria della studiosa credo possa giocare l’analisi qui condotta sulla scriptio inferior del Vat. Gr. 2306, forse concepito in una scuola di diritto come Berito e probabilmente confluito a Costantinopoli dopo il terremoto del 551 d.C. (cf. cap. I, par. 9). Si tratta, però, di una pura suggestione.

273 Sulla questione cf. Naber 1894, 94ss., Treu 1958, 119ss., Cavallo 1986, 104s.

113 Εἰ δὲ ὅτι σοὶ μὴ διώρθωσα τὰ Δίωνος γράμματα, δι’ ὃν καὶ προῆλθεν ἐπὶ τοσόνδε ὁ λόγος, διὰ τοῦτο δυσχεραίνεις τὸν πατέρα, ἀλλ’ οὐδὲ ἄλλο τί σοι διώρθωται τῶν τῆς ὁμοίας ἕξεως· Δίωνι γὰρ οὐκ ἀπολογίας πρὸς τοῦτο δεήσει· πάλιν οὖν δεήσει ῥητορικῆς. ἀλλ’ ἐγὼ νόμον ἐκ φιλοσοφίας παρέξομαι. Πυθαγόρας Μνησάρχου Σάμιος ἐπιγέγραπται τῷ νόμῳ, ὅστις ὁ νόμος οὐκ ἐᾷ τοῖς βιβλίοις ἐπιποιεῖν, ἀλλὰ βούλεται μένειν αὐτὰ ἐπὶ τῆς πρώτης χειρός, ὅπως ποτὲ ἔσχε τύχης ἢ τέχνης.

«Nel caso tu dovessi dispiacerti con tuo padre poiché non ti ha corretto i libri di Dione, a causa del quale il discorso è andato così lontano, sappi che non è stato per te corretto nessun altro libro dello stesso genere. Dione non avrà bisogno di scusa riguardo a ciò, avrà bisogno ancora una volta della retorica. Io però addurrò una legge filosofica. “Pigatora di Samo, figlio di Mnesarco” – sta scritto su codesta legge, la quale vieta di operare aggiunte sui libri, ma vuole ch’essi rimangan quali furono alla prima stesura, con le caratteristiche che allora, o dal caso o dall’arte, ricevettero».

La testimonianza sinesiana ci permette, credo, di introdurre un ulteriore elemento di riflessione: una testimonianza come quella del DEM poteva acquistare valore prezioso nella raccolta di opere di un autore proprio per la sua natura brachilogica, che rimandava a una specifica pratica compositiva all’interno del Peripato. Nel VI secolo, del resto, in piena età giustinianea, l’interesse per i testi giuridici era assai vivo275.

Lo stato di unico testimone del Vat. Gr. 2306 e l’assenza di altri frammenti provenienti dallo stesso contenitore materiale, non ci permettono di sviluppare ipotesi più articolate, tuttavia si può supporre che, corredato di ben altro materiale, il DEM acquistasse un senso in una raccolta di scritti più ampia, di diverso stadio creativo, di un autore peripatetico, come emerge dall’analisi storico- linguistica del trattato.

Del resto, se a scrittura bella dovesse corrispondere sempre testo finemente elaborato o non corrotto, la storia della tradizione dei testi antichi sarebbe diversa.

275 Per la circolazione libraria nell’età di Giustiniano cf. Cavallo 1978. Si veda, inoltre, il palinsesto Vat. Gr. 1298,

indagato da Carlo Maria Mazzucchi e contenente un dialogo anonimo di scienza politica attribuibile al VI secolo e vergato in una minuscola probabilmente risalente al X secolo, cf. Mazzucchi 1978.

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IV.