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Tentativi di attribuzione a opere note di Teofrasto

2 «Error noster irreparabiliter…»: storia delle attribuzioni dell’opera

2.2 Tentativi di attribuzione a opere note di Teofrasto

Una diversa attribuzione dell’opera rispetto al Πῶς ἂν ἄριστα πόλεις οἰκοῖντο α᾿suggerito da Aly1943 nacque da un’intuizione – mai oltre sviluppata – di R.P. Oliver, recensore dell’editio princeps nel 1950. Lo studioso, certamente più acuto su altre questioni storiche e testuali del DEM (cf. infra, cap. VIII, par. 4.1), sul problema dell’authorship partì dalla base fornita da Aly, appoggiando in pieno la paternità teofrastea. Del resto, chiosava l’autore, a chi si potrebbe mai ascrivere un testo dal così spiccato carattere peripatetico, se non al più prolifico successore di Aristotele? Eppure in un solo caso Oliver riconobbe di essere di fronte a un non «acceptable Greek» (fr. Br, col. I, ll. 37-42), offrendo

come spiegazione – pur sensata in quel caso specifico – un errore di copia (cf. Oliver 1950, 118 e

infra,cap. VIII, par. 4.1). Secondo Oliver, quindi, il «what remains to be done», a quel punto, era solo un confronto più serrato con scritti politici di Teofrasto, insinuando nel lettore il dubbio che la mancanza fosse in qualche modo frutto della divisione del lavoro tra Aly e Crönert, e che quindi – leggiamo tra le righe – fosse imputabile a Wilhelm Crönert147.

L’intuizione che occorresse indagare più a fondo gli scritti teofrastei superstiti venne a Oliver dalla somiglianza stilistica riscontrata tra il trattato e un lungo frammento forse attribuibile ai Νόμοι teofrastei (fr. 97 Wimmer = fr. 650 Fortenbaugh = fr. 21 Szegedy-Maszak); tuttavia lo studioso concentrò le sue deduzioni nei limiti d’una breve recensione e non vi tornò oltre148.

L’unico ad aver esplicitamente proposto un’attribuzione a un’opera specifica di Teofrasto, dopo Aly1943 e la sua ipotesi sul Πῶς ἂν ἄριστα πόλεις οἰκοῖντο α᾿, fu J.J. Keaney. L’autore, dopo aver menzionato il testo tramandato dal palinsesto vaticano in diversi contributi, si soffermò sul

2004, 107, Orsini 2005, 230, Faraggiana di Sarzana 2009, 217 e 218, n. 62, Banfi 2010, 196s., De Nonno 2011, 21; possibilisti si mostrano, invece, Fortenbaugh 1984, 252, Costabile 1992, 223, Ghezzi 2006, 110, n. 30.

146 Marcotte 2018, del resto, parla di un De magistratibus elegendis.

147 Sappiamo, del resto, da una nota del Prefetto Anselmo María Albareda all’edizione di Aly che W. Crönert stesse

lavorando a un Corollarium Theophrasteum, mai più apparso, cf. Aly 1943, 12 e supra, par. 2.1.

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problema dell’authorship solo negli ultimi lavori. Anni prima dei due fatidici articoli dedicati al

DEM, infatti, Keaney aveva accettato l’attribuzione di Aly 1943, asserendo, inoltre, che il trattato

rappresentasse «the final stage in the development of a political theory largely based on empirical researches» (Id. 1961, 363)149. A Keaney si dovette, inoltre, la redazione della voce dedicata a Teofrasto nell’Oxford Classical Dictionary, in cui lo studioso accennò brevemente al ritrovamento dei frammenti vaticani ad opera di Aly, non diffondendosi oltre sul problema della paternità dell’opera: possiamo quindi intendere questa come una conferma ex silentio dell’accettazione dell’attribuzione di Aly150.

Nel 1974, però, Keaney tornò sul problema, dedicando un contributo al solo frammento A, riprendendo il problema della paternità, e avanzando una proposta diversa senza, però, adeguata documentazione: «Of Aristotle’s followers, only Theophrastus had the kind of interest in political theory that the fragments reveal. The question of the particular work is more problematical. […] It might be better to suggest that the fragments belong to Theophrastus’ most famous work in this area, the Nomoi. The extant fragments of that work would not lead one to expect the amount of constitutional (as distinct from legal) material which is found in B, but in this, as in other features, the fragments shows affinities with Plato’s Laws. However this may be, it is clear enough that the fragments depend upon the same body of material upon which Theophrastus drew for the Nomoi» (Keaney 1974, 181)151.

Da Keaney 1974, 181, n. 8 apprendiamo, poi, che D.M. Lewis, suo collaboratore, gli aveva suggerito la persistenza, tra le varie opere politiche di Teofrasto, dei Νόμοι fino al VI secolo, data di probabile assegnazione della mano che copiò il testo pervenutoci. A leggere le parole di Oliver 1977, 321, n. 1, però, parrebbe che Lewis avesse avuto un ruolo ben più determinante nell’assegnazione dei frammenti all’opera teofrastea sulle leggi: «[…] D.M. Lewis (in J. Keaney, TAPA 104 [1974] 181 n. 8) proposed recognizing the Vatican fragments as from the Laws»152.

L’attribuzione del testo all’opera teofrastea sulle leggi fu in seguito accolta anche da Szegedy- Maszak, autore di uno studio sui frammenti dei Νόμοι, che consacrò un’appendice proprio al DEM,

149 Si tratta del riassunto della sua tesi di dottorato apparso su «HSPh» nel 1961.

150 Cf. Keaney 19702, 1059. La prima voce Theophrastus per l’OCD, quella del 1949, è ad opera di K.O. Brink, mentre

la terza, del 1996, è di Sharples, e in nessuna delle due si fa accenno al DEM.

151 Già Sbordone 1948, 284s., Oliver 1950, 119 e poi Keaney 1974, 181, n. 8 rilevavano poi la stretta affinità tra il trattato

e il fr. 97 Wimmer = fr. 650 Fortenbaugh = fr. 21 Szegedy-Maszak = Stob. IV 2, 20 (Ἐκ τῶν Θεοφράστου Περὶ συμβολαίων), cf. infra, cap. III, par. 5.4

152 Oliver 1977, 321, n. 1, dal canto suo, nel suo articolo dedicato al trattato riportò le opinioni pregresse, giudicando assai

probabile la circolazione dei Νόμοι nel VI secolo, senza, però, dedicare adeguato spazio alla questione, relegata a una nota iniziale.

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pur specificando, però, che una risoluzione certa della questione era a suo avviso impossibile (cf. Szegedy-Maszak 1981, 92)153.

Una diversa attribuzione, da nessuno studioso accolta, proviene invece da Podlecki 1985, 237s., che in virtù di Br, col. II, ll. 30-34 ἀγαθὰ γὰρ ὡς ἐπὶ τὸ πολύ τ᾿ἐπιδεῖν καὶ ἄριστα δὴ καιροὺς γνῶ[ν]αι παρ᾿ἄλλο[ν], come da trascrizione di Aly 1943, 19, propose l’assegnazione dell’opera al

Πολιτικῶν πρὸς τοὺς καιροὺς αʹ βʹ γʹ δʹ di Teofrasto (cf. D.L. V 45, 8), o alla versione ridotta in due

libri Περὶ καιρῶν α᾿ β᾿ (cf. D.L. V 50, 11); su questo lavoro teofrasteo Plutarco scrisse un saggio che non ci è pervenuto, il Περὶ Θεοφράστου πρὸς τοὺς καιροὺς πολιτικῶν βιβλία βʹ, corrispondente al n. 53 del Catalogo di Lampria (cf. infra, cap. VIII, par. 4.1).

Si tratta di un’attribuzione accettabile? In verità l’opera perduta del filosofo, perlomeno nei contenuti, avrebbe dovuto essere caratterizzata da un respiro ben diverso da questa sterile raccolta di leggi così tecnica; inoltre – obiezione cruciale – la trascrizione di Aly è assai dubbia; in questo lavoro, per il passo in questione (ll. 31-34), si propone il pur problematico γὰρ, ὡς εἰπεῖν, <τὸ> πλ<ο>υτεῖν καὶ ἄρισ[τ]α δὴ αἱροῦνται οὖν παρ᾿ἀθεν†154. Circa, invece, l’attribuzione ai Νόμοι, senza dubbio

l’opera fu un lavoro epocale e di gran fortuna, al pari della Politica aristotelica, come giustamente rilevava già Ferguson 1911a, 40, tuttavia è proprio questo dato – contrariamente a quanto sostenuto da Oliver 1977, 321, n. 1 – che dovrebbe metterci in guardia dall’attribuire un testo come quello tramandato dal Vat. Gr. 2306 ad uno dei migliori prodotti di scienza politica peripatetica.

Tra gli studiosi fino a questo momento si è distinto per opportuna cautela Dorandi 117, n. 73, quando accennava all’autore come allo «storico anonimo del De eligendis magistratibus», e si è levata, invece, come unica e rimarchevole “voce-contro”, quella di Dreizehnter 1970, XIX che parlò apertamente, anche se purtroppo assai cursoriamente, di uno scritto che Aly e Crönert avevano «fälschlich» attribuito a Teofrasto.

3. I magistrati nel codice Vat. Gr. 2306 e nel P. Lond. Lit. 108: un calcolo