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1 «Written in the School of…»

Ventinove anni dopo il capitale commento alla Costituzione degli Ateniesi attribuita ad Aristotele, Peter J. Rhodes ripubblica il suo lavoro dopo accurata revisione per i tipi della Liverpool Press, e il titolo della fatica – allo stesso tempo vecchia e nuova – è The Athenian Constitution Written in the

School of Aristotle128.

Il titolo del nuovo commento ha una portata rivoluzionaria; «Certainly it was written in Aristotle’s school in Athens, but it was probably not written by Aristotle himself», scrive Rhodes 2017, 1, nella prima pagina della sua Introduzione. Lo studioso rileva, infatti, molte incongruenze con gli stessi argomenti disaminati nella Politica, e numerose e gravi incongruenze stilistiche con gli altri scritti del corpus aristotelico.

Come si legge in Canfora 2002, 13s.: «[…] I Trattati di Aristotele che noi leggiamo, non senza serie difficoltà, sono il risultato di una elaborazione in cui quanto scrissero gli allievi mentre Aristotele parlava ha una parte probabilmente non trascurabile. Non furono, ad ogni modo, semplici “scrivani”, almeno per quanto attiene alle parole messe per iscritto e all’assetto dei materiali. Qual è il senso del termine “originale” in un caso del genere?»

Chiunque si sia accostato agli studi del Peripato sa bene quanto la questione della paternità dell’opera sia discussa129, e Rhodes prende una posizione molto netta nel dibattito: il papiro P. Lond. Lit. 108 ci restituisce null’altro che un testo partorito in seno alla Scuola del Peripato. La teoria di un

prodotto di scuola non nega in toto l’authorship aristotelica, ma nemmeno vincola il testo alla sola persona dello Stagirita e al suo pensiero. Il Peripato era, del resto, una fucina di analisi di leggi e meccanismi governativi, e l’ambiente ideale in cui immaginare che sia stato concepito un testo come

128 Cf. rispettivamente Rhodes 1981 e Rhodes 2017, 1 e 5, nonché la versione italiana per le edizioni Lorenzo Valla di

Rhodes et. al. 2016, identica nel contenuto all’edizione inglese del 2017, ma con il più prudente titolo Aristotele,

Costituzione degli Ateniesi. Cf. le recensioni di Esu 2018 e Verhasselt 2018.

129 Sulla questione si veda, ad esempio, Sandys 19122, XLIXs.: «[…] The Ἀθηναίων πολιτεία was certainly completed

while Aristotle was still alive. In such a case we must necessariliy accept the work as Aristotle’s, unless internal evidence is conclusive on the other side».

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il nostro. Il trattato, infatti, reca fondamenti giuridici che di peripatetico hanno lo spirito, e sono scritti in un greco invero poco elegante130.

“Parafrasi” ce ne dovevano essere a volontà nella Scuola del Peripato, come scrive Canfora 1996, 36. Pare, infatti, che Cratero di Macedonia avesse lavorato a un’opera sui decreti attici. Sappiamo anche che Aristotele e Teofrasto stessero raccogliendo assieme materiale per le πολιτεῖαι131. Del resto, allo Stagirita sono attribuite 158 πολιτεῖαι, è quindi ben immaginabile che

dividesse il lavoro con i suoi collaboratori (cf. Jaeger 1935, 445). Il metodo di lavoro della scuola doveva prevedere appunti, scartafacci, parafrasi e materiali che solo in un secondo momento sarebbero stati rielaborati. Come scrive Rhodes 2017, 5: «That A.P., together with all the other

Politeiai, was attributed to Aristotle in antiquity is not sufficient proof of authorship, since he can

hardly have written on his own all the works which were attributed to him, but must have set his pupils to work collecting material in the various fields in which he was interested».

Vien da chiedersi, a livello più generale, chi sia l’autore in casi come questo, e fino a che punto abbiamo il diritto di identificarne uno. Auctor est aequivocum, scrisse Onorio di Autun, sottolineando la sottile ambiguità terminologica del sostantivo132.

L’Ath. non è però l’unica opera a presentare un assetto testuale quanto meno sospetto. In numerosi testi aristotelici si notano gravi contraddizioni, probabilmente frutto del continuo dibattito di Aristotele su singoli temi con i colleghi del Peripato, come scrisse Düring 1976, 32s. È opinione discussa che l’edizione di alcune opere fu curata dal filososo, come, ad esempio, quella dei Topici, dell’Etica Nicomachea, e forse anche della Politica; nel caso delle altre opere, invece, si suppone che solo alla morte dell’autore sia stato effettuato un lavoro di catalogazione, trascrizione e redazione (cf. Düring 1976, 45): se questo fosse vero, il dato ci porterebbe a immaginare che nel lavoro di riordino ed edizione ad opera degli allievi sia stato facile – quasi inevitabile – far confusione tra diverse tipologie di materiale. I membri dell’Accademia, infatti, tenevano delle lezioni, e molte opere di Aristotele giunte fino a noi dovevano essere manoscritti per simili conferenze, altre sono appunti per uso personale, stesi forse per servire da traccia per le lezioni. Solo poche sono destinate con certezza alla lettura (cf. Düring 1976, 16 e 43)133.

Scrive Düring 1976, 27s. sulla questione: «Le opere a noi pervenute sono per la maggior parte manoscritti di lezioni; in esse Aristotele si rivolge in primo luogo a un pubblico di ascoltatori: il suo

130 Per i significativi legami lessicali e concettuali tra il testo del DEM e gli scritti di Aristotele, in particolare la Politica,

cf. infra, cap. VIII, parr. 3-4.

131 Come scrive Flashar, Teofrasto fu l’unico allievo di Aristotele a continuarne per esteso attività di ricerca e

insegnamento, cf. Überweg-Flashar 1983, 466 e Gigante 1997, 256.

132 Hon. Expositio in Cantica Canticorum prol. cf. PL CLXXII, col. 348. Sull’autorialità in Grecia antica, tema complesso

e largamente discusso, rimando alle selezioni bibliografiche presenti in Lanza 2006 e Condello 2011.

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scopo è quello di convincere l’uditorio della bontà delle sue opinioni; è dunque del tutto conseguente che vi dominino le argomentazioni lineari e positive, e che l’esposizione sia costantemente orientata in senso pedagogico e spesso inframezzata da sguardi retrospettivi e anticipazioni. Di regola egli si attiene nelle sue spiegazioni così rigorosamente al dovere del conoscere, che l’esposizione risulta secca; ma è del tutto errato sostenere, sulla scia di certa critica letteraria antica, che Aristotele non avesse alcuna intenzione stilistica […]. Quella secchezza di cui tanto si parla è senza dubbio consapevolmente voluta […]. Desume la terminologia per gran parte dal linguaggio quotidiano». Cercando di adattare le parole di Düring al nostro testo sulle leggi, certamente si ritroverà la linearità dell’esposizione, la tendenza a individuare segmenti logici brevi e semplici, ma il DEM ha numerosi passaggi che difettano gravemente di senso, e cercarvi un’intenzione stilistica è operazione che rasenta l’impossibile.

Complessa si rivela poi la questione della Metafisica, le cui lacune alla morte di Aristotele furono colmate con veri e propri copia e incolla da altre opere del maestro, come si legge nel commento di Asclepio opportunamente valorizzato da Fazzo 2017, 170134.

134 Nella Metafisica si riconoscono travagliatissime sezioni testuali, come ha opportunamente rilevato Jaeger nel suo

monumentale Aristoteles: Grundlegung einer Geschichte seiner Entwicklung. È opinione di Düring 1976, 329 che la

Metafisica non sia un insieme di opere singole poi accorpate, ma piuttosto una raccolta di conferenze di scuola riunite

sotto questo titolo, nonostante, come scrisse poi Jaeger 1935, 500, «[…] la coscienza che le carte superstiti di Aristotele fossero il documento di una evoluzione andò evidentemente smarrita presto».

Secondo Düring 1976, dall’analisi della Metafisica nel suo complesso si ricava la netta impressione che Aristotele avesse dettato i suoi λόγοι, servendosi di scrivani professionisti. In occasione di correzioni o nuove elaborazioni, lo Stagirita apprestava aggiunte o supplementi, che sono qui immediatamente riconoscibili, perché spezzano la linea di pensiero: «Tutti i λόγοι erano abbozzati in vista dell’esposizione orale, e nella recitazione viene ad aggiungersi molto che non si lascia fissare per iscritto; gesti, pause, accentazione, cadenza, ecc. L’οὗτοι formalmente privo di riferimenti a 1074b 3 ne è un buon esempio» (Düring 1976, 225s.).

In merito alle incongruenze delle singole sezioni della Metafisica, le opinioni di Jaeger e di Düring meritano una ricapitolazione per autorevolezza. Procediamo con ordine libro per libro. Secondo Jaeger 1935, 230, il libro A della

Metafisica sembrerebbe un’«improvvisazione tirata giù a grandi linee», invece α seguirebbe A solo perché non si poté

collocarlo altrove, e dovrebbe essere costituito dagli appunti di Pasicle, nipote dell’aristotelico Eudemo di Rodi (cf. Jaeger 1935, 225), inoltre secondo Düring 1976, 301 è probabile che il decimo capitolo costituisca un afterthought. Β in alcune sezioni sembrerebbe invece avere l’aspetto di un promemoria ad uso personale, come se fosse una sorta di programma di ricerca (cf. Düring 1976, 666). Ε sarebbe una breve trattazione di passaggio, del resto i capitoli di questo libro sono stilisticamente molto diversi e da ciò se ne ricaverebbe l’impressione che Andronico, che secondo una teoria sostenuta da numerosi studiosi avrebbe poi curato l’edizione dell’opera, avesse messo insieme frammenti per formare il libro. In particolare, secondo Düring 1976, 663 i capitoli ΖΗΘ furono forse pensati per esposizione orale. Κ, scrive Düring 1976, 667, potrebbe essere addirittura una compilazione postaristotelica: ci sono, infatti, notevoli discordanze. Assai interessante il caso di Λ, che parrebbe la «minuta di un discorso, […] non destinata affatto all’uso altrui. Contiene soltanto accenni fondamentali, messi insieme in forma schematica, talora giustapposti solo con un ripetuto μετὰ ταῦτα ὅτι…, senza che ai periodi sia data stilisticamente l’ultima mano. Ma anche la seconda parte, che contiene questa teoria, presenta difficoltà non molto minori: ciò che è sempre stato lamentato, data la fondamentale importanza dell’argomento. Ogni spiegazione è evidentemente riservata all’esposizione orale. Non c’è da avere il minimo timore che Aristotele abbia usato in una conferenza un greco di tal genere, nonostante che qualche lettore, non conoscendo di lui altro che questi brani, possa venerarli, con sacro orrore, come esemplari di autentica laconicità aristotelica. Quale fosse il suo vero modo di parlare risulta dal capitolo ottavo, il quale, a differenza di tutto il resto del libro, ci si presenta completamente rifinito. Tale diversità linguistica lo differenzia così nettamente dal suo contesto, che dobbiamo ricercare un motivo di tale fenomeno» (Jaeger 1935, 470). Commenta a proposito Düring 1976, 225: «Stilisticamente – come già osservava Jaeger –, l’esposizione è estremamente disuguale. La prima metà del libro non presenta alcuna elaborazione stilistica, ma è semplicemente abbozzata e buttata giù senza connessioni. Nella seconda metà l’esposizione acquista a volte un grande slancio, e incontriamo in essa, come dice Jaeger, “frasi grandiose, che ancor oggi il lettore pronuncia involontariamente

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Il problema dello stato degli scritti peripatetici pervenutici si lega anche a un nome: Apellicone di Teo. Secondo la testimonianza di Ateneo, il ricco bibliofilo aveva acquistato la biblioteca di Aristotele e molte – imprecisate – altre (cf. Ath. V 214DE). In particolare, poi, Ateneo scrisse anche che Apellicone aveva rubato dall’archivio pubblico ateniese i verbali degli antichi deliberati popolari, cf. Ath. V 214E = Fr. Gr. Hist. II A 248 = T 66: τά τ᾿ἐκ τοῦ Μητρῴου τῶν παλαιῶν αὐτόγραφα ψηφισμάτων ὑφαιρούμενος ἐκτᾶτο. Dall’incrocio della testimonianza di Ateneo con Strab. XIII 1, 54 riusciamo a risalire a un’altra biblioteca venduta ad Apellicone: quella di Teofrasto. Strabone è assai

ad alta voce”». Scriveva ancora Düring 1976, 225: «Particolarmente bella, quasi ispirata a un senso di venerazione, è la conclusione del cap. 8, la cui lettura si raccomanda a chi ancora suol parlare di ‘aridità’ di Aristotele». Nel libro Λ si potrebbero intravedere aggiunte posteriori, come 258B 10 o anche 259A 7-13, idem 259B 28-31 (cf. Jaeger 1935, 494). Sul libro Λ rimando agli ottimi lavori di Silvia Fazzo, si vedano in particolar modo Fazzo 2008, nonché l’edizione e il commento al libro (rispettivamente Ead. 2012 e 2014). Suo è, del resto, il contributo più recente sull’edizione antica della

Metafisica e soprattutto sulla tipologia di lavoro svolto da Andronico di Rodi, cf. Fazzo 2017, 160ss. (sull’opera

aristotelica in esame cf. anche Ead. 2015 e 2018). La studiosa, in particolare, confuta la consolidata opinione d’un Andronico editore dell’opera, propendendo piuttosto per un lavoro di ordinamento e breve commento esplicativo del testo (cf. supra, in questa stessa nota).

Oltre alla Metafisica, numerose sono le opere aristoteliche interessanti ai fini della nostra indagine. Probabilmente la

Politica è giunta fino a noi a uno stadio creativo più avanzato, pur connotandosi come assemblaggio di diverse trattazioni

in fase finale di rielaborazione (Düring 1976, 534). Come scrive Jaeger 1935, 361 a proposito: «Invece di rimettere ordine a forza, noi dovremmo esser grati alla tradizione per il fatto che essa ci concede di penetrare ancora una volta con lo sguardo nel divenire del suo pensiero».

Circa la Fisica, Düring 1976, 275 sostiene che il libro Δ 2 fosse un doppione, configurandosi come una sorta di vocabolario filosofico o di lessico concettuale. In particolare, lo studioso rileva che del libro VII esistono due versioni, α e β, e che forse β è il rimaneggiamento di uno scolaro, mentre il cap. 4 sembra piuttosto un promemoria per uso personale che un manoscritto per una lezione (cf. Düring 1976, 335).

Altro caso assai rilevante è quello della Poetica. Come scrive Bywater 1909, XIII: «The text of the Poetics has been supposed to have suffered more seriously than most prose Greek texts in the process of transmission. […] His writing, too, is marked by great inequalities, passages of admirable lucidity and finish being often followed by a stretch of text in a style so curt and crabbed as to be the despair of his interpreters, ancient as well as modern», tanto che «The anomalies and informalities […] are too numerous to be removed by the ordinary emendatorial artifices». Nell’opera si riscontrano, infatti, anticipazioni di termini tecnici poi spiegati in seguito, variazioni terminologiche, inconsistenza nell’uso di alcuni termini e inconsistenza di pensiero, nonché «lapses of memory» (Bywater 1909, XIVss.), tutti fenomeni che si ritrovano anche nel DEM, specie quelli legati all’inconsistenza e alle variazioni terminologiche: si vedano, ad esempio, i numerosi iperonimi, o i vari οὐσία, πλοῦτος, χορηγία per designare il possesso di denaro (cf. infra,cap. VIII, par. 4.1). Secondo Düring 1976, 148 la Poetica non era destinata alla pubblicazione: «chi scrive (o detta) nella Poetica in quel modo è uno scienziato, che vuole trattare un certo argomento per proprio uso e senza inutile zavorra». Il trattato potrebbe quindi configurarsi come un promemoria personale, e l’uso delle particelle ne è la prova (Düring 1976, 189).

Circa la Grande Etica, Düring 1976, 498 notava che la forma linguistica suscita delle difficoltà, riconducibili tuttavia alla frequenza dell’uso di ὑπέρ in luogo di περί. Secondo lo studioso, Aristotele in questo libro assumerebbe i tratti di un “conferenziere”, creando un’atmosfera di dialogo e adoperando apostrofi dirette con la seconda persona, motivo per cui Düring 1976, 501 ipotizzò audacemente che si trattasse di un corso dei primi anni dell’Accademia rivolto ai giovani. Interessante anche l’inizio del Sulla generazione degli animali, che si apre con una sintassi caotica, ma procede poi pianamente. Forse Aristotele doveva aver letto il suo manoscritto davanti a una cerchia di ascoltatori, inserendovi alcune osservazioni introduttive, poi «come promemoria per un’introduzione, che nell’esposizione orale doveva essere più ampiamente sviluppata, egli premise al suo manoscritto le note che ora vi si trovano. Chi curò più tardi la pubblicazione dei suoi scritti copiò con la massima devozione simili note e frasi a margine, e le introdusse nel testo come meglio gli riusciva. […] Questo curatore è quindi responsabile della forma esteriore che hanno oggi gli scritti» (Düring 1976, 44- 45).

Nella Retorica si nota invece una cesura tra II, 17 e II, 18, tanto da far pensare a due scritti separati (Düring 1976, 141), mentre gli ultimi tre capitoli sono scritti con grande negligenza e l’introduzione è «un’abborracciatura» (Düring 1976, 144)

Infine, secondo Düring 1976, 629 nel De anima coesistono due strati compositivi, che si intrecciano in più punti; in particolare il cap. III 5 parrebbe un abbozzo appartenente alla seconda redazione.

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esplicito a riguardo, quando scrive che gli allievi del Peripato vendettero per una cospicua somma di denaro τά τε Ἀριστοτέλους καὶ τὰ τοῦ Θεοφράστου βιβλία. Secondo il giudizio di Strabone, mediato, però, dal suo maestro Tirannione, Apellicone fece confezionare nuove copie dei manoscritti, cercando di rivederne i guasti; nel far ciò, non sempre reintegrò felicemente i testi, pubblicando così i libri pieni di errori135.

Un interessante caso similare è costituito dal corpus demostenico, come bene evidenziato da Canfora 2002, 13: «Oratori “minori” lavoravano intorno a Demostene, con una distinzione di compiti e di ruoli che non fu sempre chiarissima (per lo meno non lo è per noi), allo stesso modo che nel tempo nostro ci interroghiamo sull’apporto degli scrittori-ombra che hanno sorretto l’oratoria di grandi leaders politici e statisti […]. Una delle ragioni, forse la principale, per cui già gli antichi critici non venivano sempre a capo dei problemi di attribuzione dei discorsi conservatisi sotto il nome di Demostene è proprio qui: in quella pratica “di gruppo”. In certi casi più mani si alternano o si succedono nello stesso discorso, com’è il caso del Contro Neera. Ma certe parti non redatte da Demostene, come la Πόρου ἀπόδειξις annunciata nel bel mezzo della Prima Filippica, a chi sarà toccato di allestirle, per leggerle, al momento opportuno, di fronte all’assemblea? Il coacervo che chiamiamo corpus demostenico è un esempio perfetto del fenomeno di cui stiamo discorrendo: riflette bene l’intreccio degli apporti e rispecchia in modo vivo e immediato cosa doveva essere lo “stato maggiore”, lo staff, di un leader politico».

Questa tipologia testuale di materiale collettaneo ben spesso rientra in corpora più grandi, in codici-biblioteche pensati e confezionati per tramandare il lavoro di un autore nella sua interezza. Si tratta, in questo caso, di opere di lusso destinate a biblioteche pubbliche o private, di personaggi ragguardevoli. Si veda, ad esempio l’iniziativa di Costanzo II del 357 d.C., celebrata da Temistio, di costruire a Costantinopoli una nuova biblioteca che comprendesse le opere di Platone, Aristotele, Isocrate, Demostene e Tucidide136.

Del resto, il formato quadrato di ciò che resta del bel libro tardoantico recante i frammenti del

DEM ci porta in questa direzione. I segmenti giuridici del nostro autore – e userò il singolare solo per

praticità – potrebbero essere stati inseriti in una raccolta di opere di Aristotele, Teofrasto o, più genericamente, di autori allievi dell’uno o dell’altro, di cui, sfortunatamente, non ci è rimasto pressoché nulla, eccetto qualche frammento.

I filosofi sono, in genere, filologi mediocri, scrisse Giorgio Pasquali, a proposito della storia del testo di Platone; nel IV secolo non esisteva la «religione del documento», e corruttele,

135 La bibliografia su questo aneddoto è molto ampia. Si vedano, in particolare, Düring 1976, 49, Canfora 19906, 59ss. e

181ss., Pierro-Canfora 1994, 16s., Barnes 1997, Moraux 2000, 38, nonché la voce Tyrannion nella RE (cf. Wendel 1948).

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interpolazioni possono risalire già all’antica edizione (cf. Pasquali 19522, 261s.). In questo caso, poi,

non è nemmeno detto che il DEM fosse all’epoca della sua composizione percepito come autoriale: ricorda un insieme schizofrenico di appunti e la materia trattata ci porta a considerare l’ipotesi dell’ἀπὸ φωνῆς, la scrittura sotto dettatura, e la ricostruzione basata su tachigrammi137. Il nostro testo

non reca segni tachigrafici così com’è tramandato dal Vat. Gr. 2306, ma è brachilogico e ταχύς nella modalità di esposizione degli argomenti trattati.