• Non ci sono risultati.

3. Gli ultimi giorni di un «moribundo Portugal dito império» Os dias do fim d

5.1 Autobiografia come formazione del guardare

Se analizzando il libro di Isabella Oliveira si erano delineati, a partire dal peritesto, alcuni elementi che fin dall’inizio sembrano configurarne una sorta di ambiguità, per il testo che ora mi propongo di analizzare, Caderno de memórias coloniais di Isabela Figueiredo, bisogna dire che, ancora una volta, il peritesto ci mette di fronte ad alcuni elementi che ne possono indirizzare la ricezione: già dall’osservazione della copertina e di quelle che abbiamo chiamato, seguendo Genette, le soglie del testo, si può dire che il testo di Figueiredo sceglie una presentazione molto meno ambigua. Non troviamo, né in copertina né nel frontespizio una precisa indicazione sul genere testuale ma tuttavia, anche solo sfogliando il libro, siamo spinti ad affidarci al titolo che, parlandoci di un “caderno”, ci invita a leggere il testo proprio come una sorta di quaderno, come un diario intimo, che pur non essendo organizzato per giorni successivi, è tuttavia frammentato in brevi nuclei narrativi che non seguono un rigido ordine cronologico (pur rispettando una certa coerenza temporale), ma piuttosto un ordine tematico. Si potrebbe dire che ci troviamo di fronte ad uno zibaldone di pensieri e di ricordi (per l’appunto “memórias”), simile a quello che oggi potremmo leggere in un blog. Ed in effetti queste riflessioni sono tratte dai post di un blog, un blog tenuto dall’autrice e chiamato O mundo perfeito2. Come l’autrice ribadisce in un’intervista che è stata inserita alla fine del romanzo, nella quarta edizione del testo,

«os textos são os mesmos. Mantêm a autenticidade que tinham quando da sua publicação no blogue. [...] Mas os textos que constam deste livro [...] foram publicados com uma grande seriedade da minha parte, a qual se mantem no formato livro. No blogue, para minha satisfação pessoal, havia sempre “palhaçada”, como costumo dizer, mas isto não era “palhaçada”. Isto era a sério»3.

Versione contemporanea di quello che potremmo chiamare un log-book, questo testo presenta per l’appunto brevi testi frammentati e numerati, che mirano senza dubbio, e senza ambiguità, a trasmettere un punto di vista più che un resoconto cronachistico di avvenimenti.

Un altro aspetto interessante in una chiave comparativa è che, anche in questo caso, ritroviamo delle fotografie. Ma già la fotografia in copertina chiarisce il piano differente sul quale si colloca il testo: è un ritratto dell’autrice da bambina, che conserva la stessa tonalità seppiata della copertina di M. & U. Companhia ilimitada. Comprendiamo dunque di trovarci, senza ambiguità, di fronte ad una vera

1 I. Figueiredo, Caderno de memórias coloniais, Coimbra, Angelus novus, 2010, p. 23 (d’ora in poi citato nel testo). 2

L’autrice continua a tenere un blog, chiamato Novo Mundo.

e propria autobiografia, che, pur riconoscendo il carattere fallibile della memoria umana («A memória humana é um instrumento maravilhoso mas falível», recita una citazione da I sommersi e i salvati di Primo Levi, che leggiamo in epigrafe), si pone come una testimonianza privata e quindi parziale, ma, in ogni caso, legata a una referenza reale e “provata” dalle fotografie, oltre che riconducibile ad un orizzonte politico comune, quello dato dall’aggettivo “coloniais” del titolo. Sono infatti più d’una le fotografie incluse all’interno del testo e ritraggono tutte la protagonista da bambina, con l’unica eccezione di due fotografie più piccole, collocate all’inizio e alla fine del testo, due vedute della città di Maputo. Il punto di vista autobiografico della narrazione è mantenuto in modo costante, l’identità tra autrice, narratrice e protagonista si riflette senza alcuna incongruenza nella narrazione alla prima persona.

La foto-ricordo e la foto-testimonianza si sovrappongono anche in questo caso, ed in modo esplicito, poiché le fotografie sono inserite in una cornice testuale nella quale, spesso e volentieri, troviamo dei passaggi che possono essere letti proprio come una didascalia delle immagini. Ad esempio, come quando la narratrice spiega che

«Em Moçambique não havia televisão […]. Havia os rádios, que, em Portugal, se chamavam telefonias, e que todos empunhavam para ouvir a emissora local, ou a da metrópole, em onda curta, essa muito mais protocolar, dando outro estatuto a quem a escutasse; até porque era preciso um rádio melhor, não un mero transístor minúsculo, ou um Xirico» (25).

E questa sorta di spiegazione è collocata cinque pagine dopo una fotografia che ritrae la protagonista, bambina, all’aperto, con una radio (che non sembra una “Xirico”) in mano. In questo caso il collegamento è esplicito, ma se osserviamo le fotografie nel loro insieme, dopo aver letto il testo, riconosciamo in ogni dettaglio, nella vegetazione sullo sfondo, nei vestiti, nelle scarpe di Isabela bambina, degli elementi che sono stati descritti ed inseriti in un contesto narrativo, emotivo e sociale (o, come si vedrà, “tradotti”) dalla narratrice. Questo modo di procedere rimanda alle parole di Benjamin, quando analizzando l’uso della fotografia si chiede se per ogni immagine fotografica non si renda necessaria una didascalia: «Ma un fotografo che non sa leggere le proprie immagini non è forse meno di un analfabeta? La didascalia non diventerà per caso uno degli elementi essenziali dell’immagine?»4. E una riflessione di questo tenore richiama a sua volta una messa in discussione metaletteraria dell’integrazione di una memoria frammentaria in una rappresentazione letteraria, che attraversa, in grado maggiore o minore, tutte le opere che sto prendendo in considerazione. La ritroviamo anche, specialmente per quanto riguarda questo confronto tra fotografia e narrativa, in quella che si può considerare un’opera-apripista, e cioè, come

4

W. Benjamin, “Piccola storia della fotografia”, in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 1998, p. 77.

è già stato ricordato, ne A costa dos murmúrios di Lídia Jorge. Anche lì la fotografia diventa un pretesto narrativo, motore della necessità di raccontare una versione diversa da quella del giornalista Álvaro Sabino, così come, d’altro canto, le fotografie in cui compare Luís Alex, marito della protagonista, diventano per Eva una visione condensata e finalmente consapevole dell’orrore attorno al quale ruota l’intero romanzo5.

Nel caso di Figueiredo la portata delle fotografie non raggiunge questi livelli di tensione drammatica: quella che si può interpretare come una testualizzazione delle immagini resta implicita, anche perché le fotografie sono visivamente incluse all’interno del testo. Tuttavia, ci restituisce il senso dell’urgenza di una problematizzazione del ricordo, anche quando questo è fissato nelle immagini. Ci restituisce inoltre, soprattutto, l’inclusione problematica del frammento all’interno di un percorso narrativo. Oltre che nella presenza delle fotografie, questo si può notare anche, e soprattutto, nello stile della narrazione: un tratto che la contraddistingue è la sua rapidità, il suo stile diretto e frammentario e, nello specifico, una caratteristica comune a molti capitoli, cioè il loro incipit. Quasi tutti iniziano con una frase brevissima, minima, talvolta con un’immagine figurata, talvolta con un’unica parola; e il resto del capitolo può essere letto quindi come un’espansione di quell’affermazione, una risposta, l’espressione di un punto di vista personale sulla questione. Il tema, poi, viene spesso ripreso, in modo spesso distorto o dialettico, alla fine del capitolo, dopo che il lettore ha potuto leggere il punto di vista della narratrice sul tema. Questo succede, ad esempio, nel capitolo 16, che inizia in modo lapidario («As camisas do meu pai eram sempre brancas», 59) ed in modo altrettanto lapidario si conclude: «O meu pai tinha a camisa branca e eu, o seu tesouro, a sua vida, sujei-lha de terra para sempre» (62); succede nel capitolo 9 («Ao sábado trabalhava-se, e o meu pai pagava a semana ao final da tarde. Ao sabado havia milando», 39; «O meu pai tinha o condão de transformar os finais dourados das tardes de sábado num poço escuro de medo e raiva», 41) e nel capitolo 11 («Não gostava de anéis», 45; «A minha mãe aida guarda esse anel, lá em casa, na caixa dos ouros», 48) e in molti altri. Ma anche quando non c’è un esplicito rimando tra l’inizio e la fine dei brevi capitoli, non cambia questo loro sostanziale costituirsi secondo un contrappunto tra una rapida affermazione iniziale («Manuel deixou o seu coração em África», 11; «Os brancos iam às pretas», 13; «Diziam que eu já era uma mulher», 87, solo per citare alcuni esempi), che sembra riprodurre opinioni diffuse, luoghi comuni o dati di fatto, ed una sua spiegazione, che spesso assume i toni della critica.

5 «Helena tomou a seguinte e mostrou o soldado em pé, sobre o caniço. Via-se nitidamente o pau, a cabeça espetada,

mas o soldado que a agitava não era um soldado, era o noivo. Helena de Tróia disse - «Vé aqui o seu noivo?» Ela queria que Evita visse. Era claro como a manhã que despontava que Helena de Tróia me havia trazido até àquela divisão da casa para que eu visse sobretudo o noivo». L. Jorge, A costa dos murmúrios, Lisbona, Dom Quixote, 2001 (1988), p. 133.

Del resto, come è già stato ricordato, la narrazione non segue un rigido percorso cronologico, anzi, troviamo, anche se raramente, degli andirivieni tra flashback e anticipazioni; eppure è altresì opportuno notare che il percorso seguito dalla narratrice è comunque orientato su un asse temporale progressivo, che si conclude con il “ritorno” di Isabela in Portogallo (un Portogallo dal quale in realtà non era mai partita, visto che era nata in Mozambico). Si tratta però di un progresso che, in accordo con la prospettiva soggettiva che l’autobiografia ci restituisce, assume la connotazione parziale e personale di un percorso di formazione, della formazione di Isabela. E non si mancherà di notare come questa sia per la protagonista una formazione dolorosa, che, al posto di portarla a crescere e ad affermarsi all’interno del mondo di valori nel quale è nata, la porterà ad un rifiuto e ad un tradimento di quegli stessi valori.

Quella che ci propone Isabela Figueiredo, illustrandoci la sua lettura di alcuni episodi tratti dal vissuto quotidiano della sua infanzia, tanto attraverso la sua prospettiva infantile quanto attraverso una rielaborazione più matura, è la condivisione del percorso di formazione del suo stesso sguardo.