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3. Gli ultimi giorni di un «moribundo Portugal dito império» Os dias do fim d

4.2 Una finzione che si finge biografia

Se recuperiamo le definizioni canoniche di Philippe Lejeune, non fatichiamo a ricondurre il testo di Isabella Oliveira nella categoria dei romanzi, magari anche autobiografici, ma pur sempre dei romanzi:

«chiamerò così tutti i testi di finzione nei quali il lettore può sospettare, dalle rassomiglianze che crede di scoprire, che ci sia identità tra autore e personaggio, mentre proprio l’autore ha scelto di negare questa identità o di non affermarla […]; si definisce quindi a livello di contenuto. A differenza dell’autobiografia, esso comporta dei gradi. […] L’autobiografia non ammette gradi: è tutto o niente»4.

Infatti «l’identità non è somiglianza. L’identità è un fatto immediatamente assunto […]; la somiglianza è un rapporto soggetto a discussioni ed infinite sfumature, stabilito partendo dall’enunciato»5. E, associando l’identità al nome, il solo fatto che il nome del personaggio sia diverso dal nome dell’autore, per Lejeune, «esclude l’autobiografia»6. Nel nostro caso, il nome della protagonista, che racconta la sua storia in prima persona, differisce da quello dell’autrice; la protagonista infatti si chiama Sandra, come apprendiamo soprattutto dalle situazioni di dialogo con gli altri personaggi7. Questo non ci creerebbe alcun problema, se non fosse per il fatto che nel Posfácio, intitolato “Vinte e cinco anos depois” una voce narrante esterna al racconto che si è letto fin lì, sempre in prima persona, stabilisca dei nessi evidenti fra la sua storia e quella della protagonista. Se ci atteniamo strettamente alle informazioni che possiamo desumere dal testo, come la protagonista, ad esempio, anche quest’altra narratrice ha passato il Natale del 1976 in volo verso

4 P. Lejeune, Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 25 (corsivi nel testo). 5 Id. p. 37.

6

Id. p. 29.

Lisbona, ha dovuto lasciare il Mozambico per motivi identici e, tra l’altro, la stessa ammissione di scrivere una sorta di postfazione 25 anni “dopo” crea immediatamente una relazione di dipendenza tra i due personaggi. Inoltre si fa riferimento a un personaggio di nome Marta, presente anche nel racconto e ad altre «queridas personagens de “Memória e Utopia”, companhia ilimitada» (125). Insomma, attraverso i contenuti il lettore intuisce una vicinanza consistente tra le vicende che ha appena letto e la vita di una narratrice che, questa sì, potremmo identificare con l’autrice, Isabella Oliveira, tanto che, per l’appunto, Omar Ribeiro Thomaz, riflettendo su questo testo, lo qualifica immediatamente come “memórias” dell’autrice8. Eppure, nonostante ciò, questa narratrice esterna al racconto, extradiegetica, si manifesta come l’autrice di “una” storia, non della “sua” storia; non si riferisce alle emozioni che ha conservato “di quel periodo”, ma più genericamente “del periodo al quale l’azione del testo si riferisce” :

«Escrevo este texto vinte e cinco anos depois. Quis que ele fosse apenas uma história e nunca História. Para o construir impus-me apenas uma condição, nao trair as emoções que guardei do periodo a que a sua acção se refere, independentemente do juízo que possa, hoje, delas fazer» (126, corsivo e grassetto nel testo).

Anzi, commentando la citazione di una frase di Groucho Marx – Eu era incapaz de (gostar de) ser membro de um clube que me aceitasse como sócio – (125), la narratrice ci dice, in nota, che «O parêntese, acrescentou-o Sandra» (125n), riferendosi quindi esplicitamente alla protagonista del racconto appena terminato, come se fosse un’altra persona. Insomma, in questa appendice esterna al testo, sembra che l’autrice si faccia esplicitamente narratrice, per comunicarci una certa distanza dalla protagonista e narratrice del racconto, ma nello stesso tempo per proporsi, anche nella negazione, come modello del testo, inteso come quel «reale al quale l’enunciato pretende di assomigliare»9, che la biografia e l’autobiografia contemplano in quanto generi referenziali, cioè in quanto generi che «pretendono di aggiungere un’informazione ad una “realtà” esterna al testo, dunque sottomettendosi a una prova di verifica»10. Ci troviamo qui nell’ambito di una gerarchizzazione dei rapporti tra identità e somiglianza che ci spinge però, in ogni caso, a considerare il nostro testo come un testo biografico, ancorché finzionale, più che autobiografico: «Nella biografia, è la somiglianza che deve costruire l’identità, nell’autobiografia, è l’identità che costruisce la somiglianza»11. È dalle somiglianze infatti che, nel nostro caso, si può dedurre la

8 «Outra Isabella também publicou suas memórias [...]. Em suas memórias de adolescente transparecem a saudade, mas

não da colónia [...]» O. Ribeiro Thomaz, “Duas meninas brancas”, in E. Brugioni, J. Passos, A. Sarabando, M-M. Silva (a cura di), Itinerâncias. Percursos e representações da pós-colonialidade, Braga, Humus – Universidade do Minho, 2012, pp. 404-427, p. 406.

9 P. Lejeune, op. cit. p. 39 (corsivo nel testo). 10

Id. p. 38 (corsivo nel testo).

prossimità tra le narratrici, somiglianze che l’autrice esibisce, si badi bene, esclusivamente nell’apparato peritestuale, e che sono come dei segnali che ci forniscono, in un certo senso, alcuni di quegli elementi “di verifica” che possono guidare il lettore ad ipotizzare un’identità della quale comunque non può accertarsi. Potremmo ipotizzare, ad esempio, che si tratti di un’identità passata, che il tempo trascorso non permette ora di riconoscere a pieno. È come se l’autrice volesse fornire al lettore un patto esplicitamente finzionale nel testo, pur attribuendogli una sfumatura biografica nel peritesto, che si spinge a lambire l’autobiografia vera e propria, pur rifiutandosi di accettarne il presupposto identitario. E anche se pure la menzogna può essere considerata «una categoria autobiografica»12, non è con una menzogna che qui abbiamo a che fare, ma con quella che sembra una indecisione di fondo, un tentativo di esibire a posteriori la presenza di una voce narrante che potremmo definire “postuma”, quella che scrive con venticinque anni di ritardo, pur affermando di non volerla ascoltare. Ma, come vedremo, questa voce “postuma” si farà sentire più di una volta anche all’interno dello stesso racconto.

In effetti, con queste riflessioni preliminari sulla tipologia del testo si vuole evidenziare come l’autrice inviti con ogni evidenza il lettore ad interrogarsi sulla questione del genere testuale e sull’ambiguità tra realtà e finzione. Senza dare alcuna indicazione esplicita relativa al genere in copertina o nel frontespizio, abbiamo visto come ad una fotografia e ad una dedica che ci portano verso una referenza “reale” e contingente seguano un’epigrafe e un disegno che ci portano invece verso la finzione. Inoltre, se il racconto poteva “funzionare” benissimo anche senza la postfazione, che cosa ci dice questo inserto aggiunto da una narratrice fino ad allora formalmente assente dal testo? Come abbiamo visto ci dice la vicinanza e l’alterità nello stesso tempo, quindi ci dice ancora una volta un’ambiguità che somiglia molto ad un’indecisione e che, non cancellando o stravolgendo, magari con un passaggio ad effetto, il carattere finzionale del testo, vuole forse limitarsi a dargli un carattere di maggiore verosimiglianza.

Inoltre, se guardiamo la cosa da un altro punto di vista, sembra che l’autrice non riesca a trattenersi dall’offrire al lettore opzioni di decodifica ben precise e in effetti possiamo leggere il posfácio anche come un suggerimento in questa direzione: l’eventuale identità non resta una semplice ipotesi interpretativa, ma viene caldeggiata dalla narratrice, che, pur senza renderla esplicita, vuole così rendere la sua opera un po’ meno “aperta”; anche nel racconto troviamo infatti una scrittura abbastanza didascalica, che tende a spiegare nel testo o in nota anche nozioni abbastanza conosciute (troviamo una nota esplicativa per le sigle della PIDE e della FRELIMO) e che propone esplicitamente, come si vedrà, interpretazioni soggettive di fatti o opinioni, specialmente quelle utilizzate con accezioni ironiche. Sulla scia di questo tipo di scrittura possiamo allora cominciare a

supporre che la presenza di questa postfazione manifesti più che altro una certa invadenza da parte di una narratrice “altra”, che sceglie la finzione, ma che sembra non riuscire a contenersi entro i limiti di quest’ultima.