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Capitolo terzo: Benefici neurofisiologici, affettivi, emozionali e cognitivi delle arti marzial

3.3 Autostima ed abilità

Come accennato nel secondo capitolo, anche l'autostima dei praticanti vede un innalzamento, fatto che è stato dimostrato nel 1986 in uno studio che, tramite il "Ro62 -

senberg Self-Esteem Scale", ha misurato l'autostima di sessanta atleti di karate dai 5 ai 34 anni prima di una competizione. E' emerso che i punteggi delle cinture inferiori, quindi coloro che avevano alle spalle meno anni di pratica, erano più bassi rispetto a quelle superiori, e che gli atleti che hanno ottenuto punteggi significativamente più alti erano anche quelli che sono poi risultati i vincitori delle categorie di appartenenza.

A mio avviso i dati di questo ultimo studio sono commentabili in due sensi: il primo è che con l'aumento della pratica si innalza l'autostima, probabilmente grazie al superamento delle difficoltà che l'attività marziale comporta; il secondo è che chi pos- siede una maggiore autostima riesce meglio nelle competizioni, ma su questo punto si potrebbe anche pensare che il dato sia inverso, ovvero che sia il maggior talento dimo- strato, magari anche solo in allenamento, a far sì che questi competitori si sentano più capaci, ed in quanto più capaci abbiano poi vinto. Portando ancora una volta la mia esperienza come tecnico posso dire che, per quanto concerne l'autostima, esistono quat- tro tipologie di atleti:

A. Quelli che sono bravi e sanno di esserlo. B. Quelli che sono bravi ma non si sentono bravi. C. Quelli che non sono bravi ma credono di esserlo.

D. Quelli che non sono bravi e sanno di non esserlo. Ovviamente in mezzo a questi quattro macro gruppi esistono varie sfumature.

Il gruppo A, a livello competitivo, presenta il vantaggio della sicurezza persona- le: il sentirsi forti aiuta a superare la tensione della gara, in modo da riuscire a dare il massimo. Porta però con sé il grande rischio della deriva dell'atleta: vale a dire che se il soggetto si sente arrivato e tende a vincere facilmente rischia di perdere volontà e co-

Richman, Charles L.; Rehberg, Heather. The development of self-esteem through the martial

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stanza nell'allenamento, con la quasi inevitabile batosta che prima o poi arriverà a causa dello scarso allenamento; senza contare che chi si sente un fenomeno tende a vedersi come superiore rispetto agli altri ed a voler uscire dalle regole standard. Sta dunque al- l'insegnante cercare di far mettere immediatamente la testa a posto già ai primi sintomi di questa situazione.

Il gruppo B rischia di essere il peggior nemico di sé stesso, vale a dire che gli appartenenti ad esso avrebbero tutte le possibilità di far bene, ma spesso sono scoraggia- ti dalla bassa considerazione che hanno di loro. Il lavoro su questi atleti deve allora es- ser mirato a mettere in evidenza le doti che possiedono, anche complimentandosi con loro davanti agli altri. Il grosso vantaggio è che (se possiedono la volontà giusta) sono sempre disponibili ad allenarsi ed a cercare di migliorare, cosa che li porterà a mettere sempre più in luce le loro capacità, ed ad aumentare la coscienza del talento che possie- dono.

Per ciò che concerne il terzo cluster, il C, c'è da dire che rappresenta un insieme complesso, poiché l'errata considerazione che i suoi membri hanno delle loro abilità li porta spesso ad incolpare cose o persone esterne per i loro fallimenti: "Quel giudice non capisce nulla!" È un'affermazione paradigmatica del caso. Ogni scusa è buona per giu- stificarsi, e mai una volta ammettono di non essere stati all'altezza, specialmente se si parla di bambini. Non importa quante prove hanno di non esserlo, nella loro testa sono bravi. Non è ovviamente facile per un insegnante dire al proprio allievo che non ha le carte giuste per poter vincere la partita, ma l'assecondare le giustificazioni del caso è pericoloso: prima di tutto si tradisce lo scopo di educatori, ed in secondo luogo si rischia alla lunga di perdere l'allievo, che sentendosi sempre preso di mira dagli arbitri, o da chi per loro, potrà decidere di abbandonare la pratica. Trovo più utile un approccio maieuti- co, dove si interroga l'atleta sulle differenze tra quelli che sono i parametri che gli sono stati insegnanti e ciò che invece ha fatto lui, magari servendosi di supporti visivi come foto o video, ad esempio:

Maestro: "Giorgio, quanto deve stare piegato il ginocchio nella prima posizione del Kata?"

Maestro: "Esatto! Guarda però questa foto della gara, il tuo ginocchio lo copriva l'alluce?"

Giorgio: "No."

Maestro: "Ecco, iniziamo a sistemare questo difetto, altrimenti anche la prossima volta le cose andranno nello stesso modo."

Mostrando l'errore, e facendo quindi comprendere all'allievo dove può migliora- re è possibile farlo sentire meno colpito dalle forze esterne e farlo concentrare sul lavoro che dovrà fare; la sua autostima subirà certamente un colpo, ma l'obiettivo è quello di renderlo più umile e cosciente di ciò che è e di quello che può diventare.

Infine, con l'ultimo gruppo, si parla difficilmente di persone che vogliono gareg- giare, proprio perché consci della loro scarsa abilità. Su di loro, oltre al comune lavoro tecnico, si dovrebbe fare un lavoro psicologico volto ad evitare che la consapevolezza delle mancanze che hanno li faccia sentire inadeguati.

Questo lavoro può essere condotto mettendo in evidenza ai loro occhi, ed a quel- li dei compagni di allenamento, quelli che sono i loro punti forti; alla fine tutti ne hanno. In questo modo l'allievo potrà pensare: "A far questo, quello, o quell'altro non sono un granché, ma su questa cosa vado forte!".

Trovando una gratificazione l'allievo trova anche una sua ragion d'essere in pale- stra, non si sente fallito ed inadeguato nel suo sport, e per questo più difficilmente deci- derà di abbandonarlo.

È estremamente complesso gestire un gruppo quando al suo interno vi sono ele- menti dalle caratteristiche psicologiche così diverse; anche per questo il ruolo del mae- stro è molto difficile e delicato. Raramente si trovano insegnanti con un numeroso gruppo di allievi che non siano naturalmente predisposti all'analisi delle persone che li circondano, ed alla risoluzione dei conflitti.

Quando un insegnante, che si tratti di un maestro di arti marziali o di matemati- ca, ha davvero la stima dei soggetti a cui è chiamato a trasmette la sua conoscenza, è quasi certo che egli non si sia limitato a fungere da freddo canale, ma è probabile che abbia saputo gestire e comprendere le dinamiche del gruppo che ha di fronte.

Ora, i quattro cluster che ho descritto non credo valgano solo per l'attività spor- tiva, in quanto dipendono da tratti caratteriali applicabili a svariati ambiti, propri della persona in generale, immersa nelle varie situazioni della vita. Ritengo quindi che le so- luzioni proposte possano giovare al miglioramento complessivo dell'allievo, migliora- mento di cui potrà beneficiare anche fuori dal dojo.

3.4 Riflessioni ed esperienze particolari dell'insegna-

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