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Capitolo terzo: Benefici neurofisiologici, affettivi, emozionali e cognitivi delle arti marzial

3.2 Gli effetti della meditazione

Chi pratica arti marziali da tempo sa che i demoni si trovano all'interno: sa che lungo il percorso marziale si incontrano la superbia, il timore, il confronto e si fanno i conti con le proprie forme di aggressività, che vengono trasformate in azione precisa, pulita, utile, impeccabile.

Quando si eseguono i kata, si sta allenando la pazienza, l'ascolto, la prontezza. Così come la meditazione serve nella vita per gestire l'imprevisto, ascoltare il continuo chiacchiericcio mentale e ammetterne l'esistenza, per poterlo trasformare in quiete della mente.

Vi è un detto Shaolin che recita:

Meditazione (Chan) e Pugilato (Quan), sono una cosa sola e quindi vanno stu- diati insieme.

In effetti, non si dà che un gesto marziale non sia anche portato da una certa consapevolezza interiore e viceversa, in quanto l’allenamento favorisce lo sviluppo di doti quali calma, osservazione, pazienza.

Quando durante la meditazione ricerchiamo il vuoto della mente cerchiamo di creare uno spazio dove le cose accadono contestualmente all'accoglienza che possiamo dare loro, e questo stato mentale rende il pensiero leggero e calmo come un lago, per usare una metafora cara ai taoisti.

Purtroppo non sempre le cose stanno così: ci sono molti individui che si dedica- no alla pratica fisica tralasciando completamente l'essenza. In sintesi, alcuni cercano con lo sguardo lo specchio e non chiudono gli occhi per attivare solo gli occhi della mente. Ricercare la saggezza significa intraprendere un percorso che richiede tempo e pazienza, e spesso una guida in forma di persona fisica, qualcuno che abbia a sua volta compiuto un onesto percorso di crescita personale, e abbia esperienza nel combattere le ombre che si annidano in noi.

Il poeta e pittore cinese Wang Wei spiegò sapientemente questa relazione: "Se mi accorgo che qualcuno mi guarda con odio, non reagisco. Mi limito a

fissarlo negli occhi, avendo cura di non trasmettergli alcuna sensazione d'ira o di pericolo. E il combattimento, prima ancora di cominciare è

già finito. Il nemico da battere è dentro di noi. Le arti marziali non significano violenza, ma conoscenza di sé stessi e degli altri". 55

Questo tipo di rottura della meccanicità, di messa in discussione della reazione istintiva, ci porta a una crescita vera.

Per sottolineare la forza delle pratiche meditative riporto uno studio del 2001, pubblicato su Nature , in cui 59 pazienti, di età e genere misti, affetti da varie forme di 56

cancro, sono stati sottoposti ad un'ora e mezzo di meditazione a settimana per sette set- timane. I soggetti in questione hanno compilato dei questionari prima di sottoporsi 57

alle meditazioni, ed a distanza di sei mesi dall'inizio delle stesse, per valutare i loro di- sturbi dell'umore ed i sintomi dello stress causati dalla patologia. I punteggi hanno mo- strato come entrambi i fattori analizzati siano sensibilmente migliorati, risultati confer- mati anche dalla visibile diminuzione dei disturbi dell'umore e della sensazione di stress.

Anche le neuroscienze offrono il loro contributo nel provare la validità della meditazione: uno studio del 2009 ha analizzato tramite risonanza magnetica funziona58 -

le (fMRI) ed elettroencefalogramma (EEG) l'attività cerebrale di soggetti intenti a medi- tare . Dalle misurazioni tramite fMRI si è visto che svariate regioni del cervello colle59 -

gate con le emozioni positive, la visualizzazione di immagini e le esperienze spirituali si

Wang Wei, Maestro di Kung Fu e Tai Chi, 1996

55

Carlson Linda E., Ursuliak Eileen, Goodey Maureen, Angen Michael Speca; The effects of a mindful

56 -

ness meditation-based stress reduction program on mood and symptoms of stress in cancer outpatients: 6- month follow-up. Nature, March 2001, Volume 9, Issue 2, pp 112–123.

Profile of mood states POMS, e symptoms of stress intervention SOSI

57

Beauregarda Mario, Jérôme Courtemanchea, Vincent Paquettea; Brain activity in near-death experien

58 -

cers during a meditative state; Elsevier Resuscitation 80 (2009) 1006–1010.

Nel caso specifico la meditazione era rivolta a rivivere un'esperienza di quasi morte, concentrandosi

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sono attivate, mentre l'EEG ha mostrato come si sia visto un picco di onde theta ed alfa in zone diverse, le prime vanno dai 4 ai 7.9 hertz, mentre le seconde hanno una frequen- za che va dagli 8 ai 13.9 hertz.

Seppur nell'arte marziale il tipo di meditazione sia tendenzialmente differente, in quanto dinamica, la pratica del Mokuso vi si avvicina abbastanza : questa viene esegui60 -

ta all'inizio ed alla fine della lezione, subito prima del saluto, da posizione inginocchia- ta, chiudendo gli occhi; ed in essa si cerca di eliminare tutti i pensieri inerenti al mondo esterno al dojo, lasciando ogni preoccupazione o turbamento, per potersi immergere nel mondo della propria arte. Può essere anche utilizzata per darsi un obiettivo da seguire nell'ora di pratica successiva, come "Oggi voglio migliorare questo particolare movi- mento che mi dà problemi" nel caso del mokuso che precede l'allenamento, o per fissare nella mente qualcosa che il maestro ha spiegato durante la sessione appena conclusa, nel caso della meditazione finale.

Seppur questi momenti durino circa trenta secondi l'uno possiedono una forza non indifferente, se eseguiti correttamente ovviamente, in quanto ci abituano a chiudere momentaneamente la porta in faccia a ciò che non ci permette di vivere l'attimo, a causa della frenesia del mondo. Viviamo infatti costantemente in una dimensione di iper-pre- senza: siamo in un posto ma contemporaneamente siamo chiamati con la mente in molti altri, andiamo a letto e rispondiamo alle mail, beviamo qualcosa con gli amici e control- liamo le notifiche di Facebook, siamo ad una conferenza ma guardiamo cento volte lo schermo del telefono. Riusciamo sempre più raramente a dividere momenti di lavoro e di svago, perché questa o quella cosa ci rimbalzano nella testa, ed allora fatichiamo ad essere veramente presenti nel momento che stiamo vivendo .

Ecco che, in piena sintonia con lo spirito zen, il mokuso ci impone di lasciare da parte tutto ciò che non è arte marziale, di percepire profondamente l'attimo, di concen- trarci con tutto il nostro spirito, sia sul nostro essere adesso presenti, che su quello che andremo a vivere ed a provare durante l'allenamento.

Non esistono purtroppo studi diretti su di essa, quindi poc'anzi ho dovuto citare solo

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C'è anche un'altra forma di meditazione, offerta credo da ogni tipo di sport in cui

ci si spinga al limite durante l'allenamento, ed è quella dell'atleta esausto: certe volte, dopo certi allenamenti, si è così stanchi da sdraiarsi semplicemente al suolo, con gli oc- chi chiusi, magari fradici di sudore, con il cuore che pompa potente. In quei momenti l'unica cosa che si riesce a percepire è se stessi: si sente l'aria nei polmoni, il sangue vi- goroso nelle vene, i capelli che continuano a bagnarsi; si percepisce il suono dell'aria che circola ed il ritmo del battito cardiaco; suoni regolari, che fanno capire la forza della vita, "momenti di essenza" li chiamo, in cui tutto ciò che conta è ciò che provi nell'atti- mo presente, attimo in cui profondamente percepisci di esistere, di stare bene, di essere felice.

Trovo che sia un'ottima via per trovare quella piena consapevolezza di sé ricer- cata dalla filosofia zen, e ritengo anche che sia una buona prova del fatto che questa ri- cerca sia pienamente valida ai fini del benessere dell'uomo, che, come spiega Aristote- le , altro non desidera che essere felice. 61

Aristotele, Etica Nicomachea, libro primo, 1095a 15-20.

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