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2.2 Dall'arte all'arte marziale

2.3 Zen e guerrier

La dottrina buddhista Zen si fonda, come lo stesso Buddismo Chán da cui stret- tamente deriva, sul rifiuto di riconoscere autorità alle scritture buddiste. Questo non 24

significa che lo Zen rigetti tali scritture, anzi, alcune di esse come il Sutra del Cuore, il

Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra o lo Laṅkāvatārasūtra, sono spesso utilizzate durante le fun-

zioni religiose e nella formazione dei discepoli. L'unica autorità che il Buddhismo Zen riconosce, e su cui fonda il proprio insegnamento, è tuttavia la particolare esperienza che viene indicata come 悟 (satori o go, "Comprensione della Realtà") o anche 見性 (kenshō, "guardare la natura propria di Buddha" ovvero "attualizzare la propria natura 'illuminata'"). Questa esperienza non viene semplicemente identificata come "intuizio- ne", quanto piuttosto come una esperienza improvvisa e profonda che consente la "vi- sione del cuore delle cose", la quale risulta essere identica alla "natura di Buddha" (佛性

busshō). Tale "natura di Buddha" è la natura di tutta la realtà, del cosmo e del sé, e cor-

risponde alla stessa vacuità (空 kū). Collegate a tale dottrina è possibile trovare nume- rose pratiche appartenenti a campi eterogenei.

Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo Zen ispirò la poesia (haiku), la cerimonia del tè (cha no yu o chadō), l'arte di disporre i fiori (ikebana), l'arte della calli- grafia (shodō), la pittura (zen-ga), il teatro (Nō), l'arte culinaria (zen-ryōri, shojin ryōri,

fucha ryōri) ed è alla base delle arti marziali, dell'arte della spada (kendō) e del tiro con

l'arco (kyūdō).

Il profondo legame tra le Arti Marziali e la filosofia Zen si è instaurato nel pe- riodo feudale giapponese; influenze filosofiche e religiose hanno da sempre permeato le arti marziali, ed il continuo confronto con la morte è sempre stato per il guerriero stimo- lo ad una profonda introspezione, che lo ha portato ad elaborare le proprie convinzioni religiose e filosofiche. Non di rado al termine della carriera, era possibile vedere il Sa- murai ritirarsi a vita monastica, quasi fosse una naturale conseguenza della propria ten- denza all'introspezione. Lo zen è stato infatti la concezione filosofico-religiosa che più

I così detti sutra

si adattava alla mentalità pratica e stoica dei guerrieri, i quali ne sono forse i più degni rappresentanti.

Alla base del pensiero Zen vi è la convinzione della non permanenza delle cose, il continuo mutare della realtà al quale l'uomo deve armoniosamente adattarsi. Il vivere pienamente ogni istante della vita, l'immersione totale nel qui ed ora (l'hic et nunc dei latini), porta ad una profonda libertà interiore, completamente svincolata dalla sugge- stione del passato e del futuro, in realtà poco più che sogni. Ogni gesto della vita quoti- diana, anche quello che può sembrare il più insignificante, assume per il pensiero Zen un'importanza estrema, come manifestazione della vita e come strumento per la realiz- zazione del sé.

Questa filosofia di vita mostra come si possa raggiungere l'illuminazione attra- verso la consapevolezza del momento presente: concentrandosi sull'attimo che stiamo vivendo anche l'atto di pulire un pavimento o di lucidare uno specchio divengono stru- menti per pulire e lucidare la propria anima, eliminando tutte le ombre e le impurità create da paure ed illusioni, per riflettere chiaramente la realtà e viverla finalmente in maniera piena e matura. E' questo che insegna l'etichetta del Dojo.

Per comprendere ancora meglio la compenetrazione tra lotta e pace interiore vo- glio scrivere a proposito della cerimonia del Tè, molto diffusa tra i samurai ed eseguita anche prima di avventurarsi in battaglia. In questo speciale atto rituale si ricerca, attra- verso la ripetizione ed il perfezionamento dei gesti, una perfetta interiorizzazione spiri- tuale. La mente, svuotata dai condizionamenti esterni, è centrata su sé stessa e sul mo- mento irripetibile che sta vivendo e che non tornerà mai più. Ogni oggetto utilizzato, ogni gesto, diviene una manifestazione dell'unione tra individuo ed universo.

Prima di entrare tra le calme pareti della stanza del Tè, i samurai depositavano, cosa assai speciale e rara, le loro inseparabili spade all'ingresso (nota su katana e spirito del samurai). Coloro che si erano riuniti per la cerimonia accantonavano così, assieme alle loro spade, anche la ferocia del campo di battaglia, e così facendo si preparavano a rientrarvi.

Esiste una storia che parla di un Maestro della cerimonia giapponese del Tè, un uomo privo di abilità marziali ma di grande ricchezza spirituale e meditativa. Egli, sen-

za volere, fece offesa ad un samurai di alto rango, e per questo fu sfidato a duello. Andò dal locale Maestro Zen per trovare consiglio. Il Maestro gli disse francamente che aveva poche probabilità di sopravvivere all'incontro, ma che poteva assicurarsi una morte ono- revole affrontando il combattimento come se fosse stato il rito formale della cerimonia del Tè : doveva raccogliere la propria mente, senza degnare di attenzione le chiacchie25 -

re insignificanti sui pensieri di vita e di morte; doveva afferrare la spada diritto davanti a sé, come avrebbe fatto col cucchiaio della cerimonia del Tè e, con la stessa precisione e concentrazione mentale con cui avrebbe versato l'acqua bollente, doveva avanzare, sen- za pensare alle conseguenze, e abbattere il suo avversario in un solo colpo. Il Maestro del Tè si preparò secondo le istruzioni, liberandosi da ogni paura di morte. Quando la mattina del duello giunse, il samurai, trovandosi di fronte l'assoluta calma e mancanza di paura dell'avversario, fu così colpito che abbandonò il combattimento.

Nella tradizione Buddista le pratiche preparatorie all'idea della morte sono viste come fortemente motivanti lungo il cammino; per questo sono essenziali: la coscienza della realtà e dell'inevitabilità della propria morte può essere un incredibile erogatore di energia, offrendo livelli insospettati di motivazione per cambiamenti radicali.

Anche nell'addestramento al Karate, come in quello di svariate arti marziali tra- dizionali, acquisendo padronanza del proprio corpo, della propria gestualità, si acquisi- scono un equilibrio ed una sicurezza interiori che sono misura del lavoro svolto. L'ese- cuzione corretta di un kata presuppone uno svuotamento emozionale che porti il kara26 -

teka ad una completa immersione nell'azione, senza scollamenti spazio-temporali tra pensiero e gesto; a questo si arriva attraverso il perfezionamento derivante dalla ripeti- zione. Una volta che il gesto è stato assimilato, la mente lavora all'unisono con il corpo, senza esitazioni ed incertezze che sarebbero fatali in un combattimento reale. Lo spirito e l'energia del Karateka sono entrati in contatto, indirizzati potentemente nell'azione

Nella cultura feudale giapponese l'onore rappresentava un valore ancora più importante della vita: in

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caso esso fosse offeso da qualcuno si arrivava molto spesso a duelli mortali. Nel caso invece di un grosso fallimento personale i samurai erano soliti togliersi la vita mediante una cerimonia rituale, chiamata Sep- puku. In questo modo si ristabiliva l'onore del guerriero.

I kata sono le forme base delle arti marziali, le quali sviluppano tecniche in varie direzioni e fungono

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da mezzo di trasmissione e studio delle stesse. Sono definibili come "combattimenti reali contro avversari immaginari". Reali perché ogni tecnica deve essere eseguita come se fosse rivolta verso un vero avversa- rio, immaginari perché in quel momento il nostro nemico non è fisicamente davanti a noi.

senza che i movimenti del corpo permettano distrazioni, e tutto avviene in un armonico susseguirsi di contrazione e rilassamento.

Nel combattimento il confronto con l'altro è un confronto con sé stessi, con la propria abilità, ma prima ancora con la propria energia. Si affrontano paure ed incertez- ze, che irrigidiscono lo spirito e creano divario tra l'azione del corpo e della mente. Solo quando dominiamo noi stessi e siamo capaci di una profonda unione col tutto diventia- mo in grado di dominare anche gli avversari, come sottolinea il maestro Uesciba:

"Nella pratica, quando il tuo avversario sferra un colpo, devi già essere in mo- vimento. Dopo che l'hai visto muoversi, è già troppo tardi ed un falso movimento da parte tua è fuori luogo, perché il colpo del tuo avversario è quasi mortale. Muoversi si- multaneamente con il colpo; si deve sentire l'intenzione dell'avversario. Ma, in realtà, non è questione di usare la mente, ci si deve muovere naturalmente, senza pensarci. Quando raggiungerai questo stato, riuscirai a muoverti simultaneamente con l'ordine. Se pensi troppo all'inizio del colpo dell'avversario, non ti renderai conto dei suoi movimen- ti. Solo quando la tua mente è tranquilla come una pozza d'acqua e sei fisicamente all'er- ta, potrai renderti conto dei movimenti dell'avversario e della sua respirazione naturale. In questo stato sentirai i cambiamenti di sentimento del tuo avversario" 27

Dominare noi stessi significa anche saper analizzare con calma e fermezza la situazione in cui andiamo a coinvolgerci, senza agire tanto per farlo, come spiega il Maestro Fortunato:

"Nelle arti marziali, i guerrieri superficiali, vanno incontro alle loro guerre senza conoscerne le cause; questi vincono senza vincere e perdono senza perdere, non cono- scono e non vivono. I guerrieri profondi, invece, si dedicano a conoscere le cause reali che hanno creato il conflitto. Solo dopo aver analizzato bene ogni aspetto, potranno de- cidere con calma e razionalità se è possibile trovare una strategia per evitare la guerra, o se combattere fino alla fine senza esitazioni." 28

Una domanda che possiamo porci è: "in che modo questo tipo di filosofia può aiutarci quotidianamente?"

Morihei Ueshiba - Fondatore della disciplina dell'Aikido

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Fortunato Giovanni, Supervisore Tecnico Regione Sicilia presso WKF: World Kickboxing Federation

La risposta è in realtà molto semplice, e cercherò di arrivarci tramite una brevis- sima favola.

Un ragazzo riceve un cavallo come regalo per il suo compleanno. La gente del villaggio dice “Oh! Fantastico!” ma il maestro Zen dice “Vedremo”.

Il ragazzo cade da cavallo e si rompe una gamba. La gente del villaggio dice “Oh! Ter- ribile!” ma il maestro Zen dice “Vedremo”.

Scoppia una guerra e tutti i giovani devono partire ma, a causa della gamba rotta, il ra- gazzo resta a casa. Tutti esclamano “Oh! Fantastico!” ma il maestro Zen dice “Vedre- mo”

Nel mondo che ci circonda, da quello reale a quello virtuale, da quello della stampa a quello televisivo ascoltiamo grida, sentenze inappellabili, verità eterne, salvo che poco tempo dopo non accada qualcosa che rimetta tutto in discussione. Perché così funzionano le cose: sembra che l'evento X sia buono, finche non arriva qualche evento Y che lo trasforma in cattivo, o viceversa.

Dovremmo cercare di guardare oltre le apparenze, e non gioire o lamentarci im- mediatamente di quel che ci accade, perché la verità è che le conseguenze di qualcosa sono spesso imprevedibili alla luce della nostra mente.

Questo ovviamente non significa che ci si debba trasformare in gusci apatici, incapaci o nolenti di reazioni emotive, ma piuttosto che si debba sempre tenere presente l'effimeratezza delle cose, in modo anche da poterne godere maggiormente nell'attimo in cui esse sono presenti. Citando il film "Troy" : 29

"Ti dirò un segreto [Achille a Briseide], una cosa che non insegnano nei templi. Gli dei ci invidiano. Ci invidiano perché siamo mortali, perché ogni momento può essere l'ulti- mo per noi. Ogni cosa è più bella per i condannati a morte... E tu non

sarai mai più bella di quanto sei ora! Questo momento non tornerà."

Film Troy, 2004, regia di Wolfgang Petersen.

Tutto ciò che dobbiamo fare è quindi prendere consapevolezza, vivere piena- mente i nostri istanti, che appaiano bellissimi o bruttissimi in quel momento, senza la presunzione di avere su di essi un giudizio esatto o immutabile, con la serenità della presa di coscienza della loro unicità.

Desidero dilungarmi ancora sulla dottrina Zen, ed a questo scopo racconterò un'altra storia di questa tradizione, dove nuovamente le vite di un saggio e di un samurai si intrecciano:

Un giorno un samurai andò da un maestro spirituale chiamato Hakuin, e chiese: "Esiste un inferno? Esiste un paradiso? Se esistono da dove si entra?". Era un semplice guerrie- ro. I guerrieri sono privi di astuzia nelle mente. I guerrieri conoscono solo due cose: la vita e la morte.

Il samurai non era venuto per imparare una dottrina, voleva sapere dov'erano le porte, per evitare l'inferno ed entrare in paradiso.

Hakuin chiese: "Chi sei tu?". Il guerriero rispose: "Sono un samurai". In Giappone esse- re un samurai è motivo di grande orgoglio. Significa essere un guerriero perfetto. Uno che non esiterebbe un attimo a dare la vita."Sono un grande guerriero, anche l'imperato- re mi rispetta".

Hakuin rise e disse:"Tu, un samurai? Sembri un mendicante!"

L'uomo si sentì ferito nell'orgoglio. Sfoderò la spada, con l'intenzione di uccidere Ha- kuin.

Il maestro rise: "Questa è la porta dell'inferno" disse "con questa spada, con questa col- lera, con questo ego, si apre quella porta".

Questo un guerriero lo può comprendere, così il samurai rinfoderò la spada, e Hakuin disse: "Qui si apre la porta del paradiso.

L'inferno e il paradiso sono dentro di te. Entrambe le porte sono in te.

Quando ti comporti in modo inconsapevole, si apre la porta dell'inferno; quando sei at- tento e consapevole, si apre la porta del paradiso.

La mente è sia paradiso che l'inferno, perché la mente ha la capacità di diventare sia l'uno che l'altro. Ma la gente continua a pensare che tutto esista in un luogo imprecisato all'esterno "

Anche questa favola fa porre l'attenzione dell'apprendista della via dello Zen sul- la sua interiorità, sul perfezionamento del mondo caratteriale ed il controllo su di esso. La dimensione emotiva è infatti centrale in questa corrente filosofica, quasi che grazie al nostro potere su di essa si possa guadagnare una ricompensa, ma non di tipo ultrater- reno, bensì nel qui ed ora. Quando diventiamo capaci di rinfoderare la spada nonostante l'offesa vinciamo contro le emozioni che ci fanno soffrire, e sbarazzandoci di esse vi- viamo una vita migliore.

Il mondo interiore è, anzi, così importante che esiste un simbolo, chiamato Enso, e traducibile dal giapponese come "cerchio", atto a rivelare questo aspetto di colui che lo disegna. Esso simboleggia un momento in cui la mente è libera di lasciare che l'insi- eme corpo-spirito sia creativo.

La pennellata d'inchiostro che disegna il cerchio viene tracciata su seta o carta di riso in un unico gesto, senza alcuna possibilità di cambiamento o correzione: mostra quindi l'espressivo movimento dello spirito, in quel preciso momento. Alcuni maestri praticano il disegno quotidiano di Enso, non solo come esercizio, ma anche come diario spirituale.

E' il soggetto più comune della calligrafia giapponese, simboleggia l'illuminazi- one, la forza, l'universo. Alcuni lo disegnano con un'apertura nel cerchio, mentre altri lo chiudono. L'apertura potrebbe simboleggiare che questo cerchio non è separato dal resto delle cose, ma fa parte di qualcosa di più grande. E' simbolo sacro nel Buddhismo Zen ed è spesso usato dai maestri come firma nelle loro opere.

Esso è inoltre metafora dello Zen assoluto, la vera natura dell'esistenza e dell'il- luminazione, si tratta di un simbolo che unisce il visibile e il nascosto, il semplice e il profondo, il vuoto e il pieno. Come espressione di infinito ha collegamenti con il lemni-

scata occidentale che simboleggia, appunto, questo concetto. Come già accennato può 30

Il simbolo dell'infinto, disegnato come un otto sdraiato

essere dipinto in modo che vi sia una leggera apertura in qualche parte del cerchio, mo- strando che non si contiene in sé, ma che si apre all'infinito.

Nello Zen non viene data alcuna importanza alla perfezione formale di un Enso, essendo essenziali la risonanza spirituale e l'energia, che il pittore è in grado di evocare nella propria opera, in un'immedesimazione istantanea e totale nel qui-e-ora.

"Con un cuore permeato di innocenza, il drago virtuoso cammina da solo".

Traduzione del testo di accompagnamento a questo Enso in mostra nel museo di Min- neapolis.

Poichè rappresenta la mente indifferenziata (mushin) dello Zen, la metodologia dell'esecuzione è quasi irrilevante. Infatti nell'illuminazione della coscienza si trascende ogni illusione qualitativa. L'Enso è l'emblema del più profondo mistero esistenziale, il nostro "volto originale", di ciò che eravamo prima della nascita di nostro padre e di no-

stra madre. Per questo, l'enso gode della più alta considerazione, sia come fonte d'isp- irazione e meditazione che come veicolo di trasmissione spirituale.

Non solo un semplice cerchio disegnato con un'unica, ampia, pennellata, ma il simbolo dell'infinito, vuoto, la "non-cosa"; il perfetto stato meditativo Satori . 31

l'esperienza del risveglio, inteso in senso spirituale, nel quale non ci sarebbe più alcuna differenza tra

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