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La scelta dei soggetti, le fonti e la periodizzazione

2.1. L’avvio del Second New Deal

2.1. L’avvio del Second New Deal

«Non è un vano ottimismo quello che mi porta ad avere forte fiducia nell’anno a venire. Noi possiamo, se lo vogliamo, rendere il 1935 un autentico periodo di buone sensazioni, sostenuto da un senso di risoluto progresso»1. Con queste parole, Franklin D. Roosevelt si avviava a concludere lo State of the Union Speech del 4 gennaio 1935 quando, di fronte al Congresso, aveva preannunciato la fiduciosa intenzione di inaugurare una nuova fase politica distinta da una serie di modifiche all’impianto generale del New Deal. I Second Hundred Days, impostati a partire dalla primavera successiva, furono infatti contraddistinti da un programma di riforme ampliato e a lungo termine,

1 F.D. Roosevelt, Annual Message to Congress, 4 January 1935,

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sorvegliate da un governo sempre più ingerente, sostenute da una competizione intensificata ma regolamentata e dirette a garantire inedite forme di assistenza economica e sociale2.

Pur avendo suscitato l’immediata delusione di Walter F. White per l’assenza di riferimenti diretti al linciaggio e alla discriminazione razziale, i racial advisers, i movimenti di emancipazione e anche l’opinione pubblica accolsero con favore il discorso di Roosevelt di fronte alle camere riunite, scorgendovi parziali ma inedite opportunità di inclusione. Inizialmente, almeno due degli elementi di novità che il presidente dichiarò di voler porre in cima all’agenda dell’amministrazione – emergency public employment e security of livelihood – risultarono particolarmente graditi, anche se la determinante enfasi posta sul graduale rafforzamento delle prerogative del governo federale fu decantata con ancora più entusiasmo3. La priorità degli apparati centrali e il corrispondente detrimento delle autonomie statali costituirono alcune delle ragioni alla base del progressivo avvicinamento dei neri a Roosevelt e al partito democratico. Questi elementi, arricchiti dalle tendenze riformatrici e dagli inediti spazi di partecipazione politico-istituzionale, avrebbero permesso proprio agli afroamericani di divenire, in poco più di un anno, anche una delle constituencies più critiche dell’aggiornato asse newdealista.

A livello istituzionale, appunto, le elezioni di midterm svoltesi nel novembre 1934 avevano rappresentato un momento di trasformazione per il partito maggioritario, che si era trovato di fronte a un gradimento sempre crescente e, per la prima volta, era riuscito a conquistare anche un netto consolidamento all’interno della Camera e del Senato a due anni dalle presidenziali. Le conferme elettorali avevano permesso a Roosevelt di poter marcare apertamente e con più disinvoltura la sua intenzione di stabilire una stretta connessione tra l’impronta da conferire al New Deal e il rafforzamento dell’esecutivo. Secondo il presidente, infatti, «il governo federale [era]

2 Sulla costruzione teorica e istituzionali del Second New Deal si vedano in particolare: I. Katznelson, Fear Itself, cit.; W. Leuchtenburg, Franklin D. Roosevelt and the New Deal:

1932-1940, cit.; A.M. Schlesinger, The Politics of Upheaval. 1935-1936, cit.

3 Cfr. L.J. Barker, M. Jones, K. Tate, African Americans and the American Political System, Upper Saddle River, Prentice Hall, 1999; D. Cooper Hamilton, C.V. Hamilton, The Dual

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l’unico con potere e reputazione sufficienti per affrontare la situazione»4. I risultati ancora troppo modesti dimostrati dai provvedimenti già in corso di attuazione, insieme alle reazioni negative di ampie porzioni della popolazione, avevano sollecitato Roosevelt a un parziale abbandono delle strategie adottate nei due anni precedenti e a un ripensamento piuttosto radicale dei programmi di natura economica.

Le nuove forze della coalizione democratica, variegata e irrobustita, avevano consegnato nelle mani del presidente un vigore immediato e propulsivo per insistere proprio sull’approvazione di riforme economico-sociali di taglio più incisivo e, soprattutto, per riuscire a scavalcare piuttosto agevolmente le voci conservatrici del partito5. Inoltre, il proposito di superare i conflitti con il mondo imprenditoriale e con la Corte Suprema – sfociati nella dichiarazione di incostituzionalità della NIRA e dell’AAA tra l’estate del 1935 e gli inizi del 1936 – avevano ispirato la maturazione di politiche improntate a garantire nuove misure di protezione e di contrasto alla disoccupazione, da destinare a maglie sempre più ampie di cittadini e cittadine6. A pochi giorni dal discorso di fronte alle camere riunite, l’opinione pubblica afroamericana si era dichiarata in attesa di promettenti aperture da parte dell’amministrazione, mentre i racial advisers riponevano particolare fiducia nelle frange liberali del partito, che avevano dimostrato di voler abbandonare il carattere sperimentale delle prime fasi del New Deal. Più in particolare, fu apprezzata la promessa di abbracciare il passaggio a provvedimenti economico-sociali più risolutivi, da estendere ai soggetti fino a quel momento «esclusi o parzialmente estromessi»7.

La nuova ondata di riforme fu dunque salutata con entusiasmo, poiché chiaramente contrassegnata da un audace spostamento del baricentro politico verso misure più coraggiose, a sostegno della ripresa economica ma attente anche alla giustizia sociale. Come si era cominciato a percepire dalla seconda metà del 1934, gli afroamericani erano stati tra i primi ad aver dimostrato grandi aspettative verso un nuovo corso newdealista, che fosse in primo luogo

4 F.D. Roosevelt, Annual Message to Congress, cit.

5 Sull’espansione delle prerogative del governo federale si veda W.E. Leuchtenburg,

Franklin D. Roosevelt and the New Deal, cit.; 6 F.D. Roosevelt, Annual Message to Congress, cit.

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capace di aggirare le posizioni più conservatrici e di includere maggiori tutele a garanzia dei diritti economici, sociali e civili. Solo attraverso l’indebolimento delle forze politiche locali e lo speculare interventismo delle istituzioni centrali, quindi, Roosevelt avrebbe potuto assumersi l’incarico di «affrontare le evidenti discriminazioni strutturali del First New Deal e la questione degli stati del Sud»8. Gli afroamericani, tanto nelle istituzioni quanto nei movimenti, speravano che sarebbe stata loro offerta anche una più chiara possibilità di confronto. Cercando di ritagliarsi uno spazio critico nell’imminente ridefinizione politica, la stampa invitava quindi alla mobilitazione, poiché «i risultati del New Deal [sarebbero dipesi] dai Negri e dal loro interesse a far rispettare i propri diritti di cittadini americani»9.

Al debutto dei Second Hundred Days, l’impegno dei white liberals all’interno delle istituzioni non si era rivelato sufficiente né per contrastare con successo le perseveranti forme di esclusione, né per arginare le posizioni degli elementi reazionari e razzisti della coalizione. I primi provvedimenti furono infatti fortemente criticati per la persistenza di pratiche discriminatorie e per l’inclusione degli afroamericani non come portatori di problematiche e di interessi specifici quanto, invece, come parte di altri gruppi vulnerabili, legati al mondo agricolo e della manodopera non specializzata. Pur essendo stati accolti con particolare favore, anche i programmi avviati durante la primavera del 1935 suscitarono ben presto delusione e sfiducia. Tra il mese di aprile e di giugno il Congresso era stato occupato a discutere e ad approvare proposte politiche che univano piani di regolamentazione industriale e produttiva a maggiori garanzie redistributive e a nuove forme di tutela dei lavoratori.

Il nuovo corso newdealista fu in primo luogo segnato dall’approvazione del Wagner Act, che riservò molta attenzione all’industria e al disciplinamento della produzione e del mercato, anche nell’ottica di assicurare nuovi diritti e forme di tutela per i lavoratori. Concepito per restaurare alcune delle garanzie precedentemente attivate dal NIRA in merito all’organizzazione sindacale, questo provvedimento rivelò rapidamente una struttura ancora fortemente discriminante, specialmente nel settore delle

8 Ivi.

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associazioni collettive di categoria. Anche la svolta nell’ambito della protezione sociale, tesa a imporre un controllo su temi fino a quel momento esogeni alle competenze del governo federale, esercitò inizialmente un’influenza positiva sui pareri sempre più favorevoli al New Deal e al presidente Roosevelt. Se le misure di work relief erano state predisposte in modo da provare a penetrare con più efficacia tra le minoranze, il welfare attivato con il Social Security Act (SSA) agì in diretta contrattazione con gli stati alla creazione di un sistema pensionistico di supporto. A poco a poco, si dimostrò parzialmente esclusivo e dunque discriminante, poiché non comprendente i settori agricoli e domestici e, di fatto, chiuso alle donne nere e alle ampie fasce di inoccupati.

Già nella primavera del 1935, tuttavia, il tentativo di far poggiare la rinnovata ossatura newdealista sui principi illustrati e difesi nello State of the Union Speech illuminò gli equilibri malfermi che innervavano la coalizione del partito democratico, appena allargatasi a forze tendenzialmente inconciliabili dopo le elezioni di midterm. Le aperture delle ali più riformatrici a favore di misure politiche interventiste si scontrarono infatti con l’asse democratico tradizionale, anche in merito all’inclusione delle minoranze e allo «spazio da riservare alla discriminazione razziale all’interno del dibattito politico»10. Anzi, la partecipazione degli afroamericani ai progetti ampliati del New Deal si rivelò quasi immediatamente una delle criticità più rilevanti dell’attrito tra le diverse posizioni politiche con cui il presidente fu costretto a confrontarsi. L’opinione pubblica afroamericana continuò a esprimere giudizi piuttosto controversi sulla presidenza Roosevelt almeno fino alla seconda metà dell’anno successivo. Il ruolo comunque minoritario riservato a molti degli amministratori neri e le posizioni ancora imprecise di FDR in merito alla violenza interrazziale amplificarono l’insofferenza di parte della leadership civile verso gli sviluppi del nuovo percorso istituzionale che, al contrario, fu difeso dai racial advisers. Poiché, dunque, le promesse tracciate dal presidente erano state ritenute foriere di nuove possibilità forse troppo precocemente, il passaggio al Second New Deal generò uno scivoloso scollamento tra gli afroamericani inseriti nelle

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istituzioni e le voci provenienti dai movimenti di emancipazione razziale11. Il 1935 fu infatti percepito come un momento di ambivalent inclusion, così come definito da Lauren R. Sklaroff12. In questo delicato passaggio, solo gli amministratori afroamericani si trovarono nella posizione di difendere il New Deal di fronte allo scetticismo espresso dai movimenti di emancipazione razziale13. Sulle pagine di Opportunity, ad esempio, Robert C. Weaver agì in difesa dell’amministrazione e, più in particolare, della FERA e dell’AAA. Rivolgendosi proprio alla leadership dei movimenti affermò che «il New Deal rappresenta[va] una direzione in grado di fare molto per raggiungere i cittadini Negri» e che «comprendere questo con intelligenza [era] necessario per garantire migliori benefici ai Negri»14. Questo clima portò anche Lawrence A. Oxley, uno dei racial advisers più favorevoli al programma rooseveltiano, a chiedersi di fronte alla NUL: «Che cosa ne è dei Negri in questo nuovo e mutevole ordine economico sociale?»15.

In generale, il primo anno e mezzo del Second New Deal confermò l’amara delusione per i movimenti. Pur essendo stata sempre guardata con particolare interesse, anche la stessa FERA esercitò pratiche discriminatorie. Secondo David M. Kennedy, infatti, l’agenzia rappresentò il primo passo del governo federale nelle politiche di relief e «cominciò a segnare il percorso verso il moderno welfare state»16. L’agenzia era stata organizzata da Harry L. Hopkins per predisporre insieme alle sezioni statali l’allestimento di programmi di assistenza alla disoccupazione. Tuttavia, agli inizi del 1934 Hopkins avviò un confronto con Will W. Alexander sulla persona cui assegnare il posto di Director of Negro Work e la scelta ricadde sul direttore dell’Atlanta School of Social Work, Forrester B. Washington. In pochi mesi, una proporzione maggiore di afroamericani riuscì a beneficiare dei diversi programmi avviati e ad essere ampiamente incluse nei progetti di low-cost housing e di stay-in-school, finalizzati all’assegnazione di impieghi retribuiti

11 Cfr. P. Sullivan, Lift Every Voice, cit.

12 Cfr. L.R. Sklaroff, Black Culture and the New Deal, cit., cap. 1.

13 W.E. Pritchett, Robert Clifton Weaver and the American City, cit., p. 68.

14 R.C. Weaver, The New Deal and the Negro: A Look at the Facts, in Opportunity, Vol. 13, No. 7, p. 200.

15 L.A. Oxley, Address at the Annual Conference on the NUL, 27 November 1935, NUL, LOC, p. I, b. J12, F. Speeches, Statements, Reports 1935.

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a studenti e studentesse indigenti17. Fu anche riservato particolare spazio al Sud e a progetti di self-help da implementare nelle comunità ma, in ogni caso, il forte impulso riservato alla gestione locale favorì indirettamente forme di discriminazione piuttosto evidenti. Da un lato, emersero disparità di trattamento nell’assegnazione di salari tra bianchi e afroamericani e, dall’altro, si registrarono numerosi episodi di esclusione da posizioni semi-skilled e semi-skilled a parità di qualifica, che indussero Forrester B. Washington ad allontanarsi dal programma già l’anno successivo18.

La National Conference on Fundamental Problems in the Education of Negroes ebbe tuttavia un carattere episodico. Né le aperture delle agenzie all’inclusione degli afroamericani né i primi segni di riforma economico-sociale ebbero un notevole impatto sui movimenti, contrariati dall’ancora scarsa importanza della questione razziale all’interno del dibattito istituzionale. La più grande delusione per la NAACP fu legata ai diritti civili. Nei primi anni Trenta, infatti, la mobilitazione contro il linciaggio aveva visto una rinascita grazie anche al lavoro condotto da Will W. Alexander e dalla CIC, i cui lavori di studio e di approfondimento avevano avuto una notevole diffusione ma non tale da indurre gli altri affiliati a prendere apertamente impegni politici in merito. In Congresso, il tema aveva cominciato a essere introdotto grazie al lavoro dei senatori Wagner e Costigan, ma se White e la NAACP avevano sperato in chiari segnali da parte del presidente, il 1935 fu segnato dal silenzio di Roosevelt e della first-lady, che non prese apertamente una posizione in merito19. Ecco perché, ancora a metà del 1936, le risoluzioni del convegno annuale della NAACP avrebbero affermato che «[era] passato un altro anno di pochi importanti cambiamenti per la condizione materiale dei Negri»20.

In secondo luogo, il disinteresse del Congresso a proposito delle condizioni degli stati del Sud preoccupava in modo particolare l’opinione pubblica. Anche gli amministratori più progressisti, pur in un clima di

17 Cfr. F. Barrow, Forrester Blanchard Washington and his advocacy for African Americans

in the new Deal, in Social Work, Vol. 52, No. 3 (2007), pp. 201-208.

18 L.A. Oxley to F. Perkins, The Status of Negro Labor, 19 November 1935, NDABA, RSC, p. 15, r. 0696.

19 B. Wiesen Cook, Eleanor Roosevelt, cit., p. 243.

20 Report of Resolutions Committee, 3 July 1936, NAACP, LOC, b. B13, f. Annual Conference Baltimore July 1-3 1936.

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generale apertura, percepivano ancora con sofferenza la mancanza di un progetto chiaro nei confronti della situazione del Sud, gravata dai continui flussi migratori, dalla persistente crisi economica e «dall’esclusione di grandi fette di afroamericani dai programmi di assistenza e di emergenza»21. Emblematica, nel maggio 1935, la conferenza The Position of the Negro in Our National Economic Crisis, che portò ad Howard University più di duecento leader afroamericani chiamati da John P. Davis e Ralph J. Bunche. Amministratori, scienziati sociali, rappresentanti dei movimenti e delle reti grass-roots si radunarono per concentrarsi sul labor e sugli elementi economici delle riforme newdealiste, dimostrando grande sfiducia verso la presidenza Roosevelt e i provvedimenti varati fino a quel momento. In quelle settimane, Davis aveva anche pubblicato un lungo articolo su The Crisis in cui ripercorreva i primi due anni di New Deal e i suoi effetti sugli afroamericani, denunciando «le discriminazioni anche delle agenzie potenzialmente più positive per i Negri»22, come la AAA e la NRA, ma anche la TVA e la PWA. La crescente voce radicale di Davis – sempre più lontano da Weaver e prossimo alla fondazione del National Negro Congress (NNC)23

– mostrò ben poca fiducia nella presidenza Roosevelt, perché «da ogni punto di vista il New Deal [aveva] utilizzato uno slogan per gli stessi vecchi progetti»24. Un mese più tardi, in procinto rompere con la NAACP, anche W.E.B. DuBois avrebbe affermato che «i Negri americani non [avevano] mai affrontato una situazione più critica». Per DuBois, le istituzioni predominate dai bianchi «non davano alcun segnale di volersi aprire agli afroamericani» e i neri avrebbero potuto contare solamente «sulle proprie organizzazioni e sulle reti dell’associazionismo»25.

Il 1935 rappresentò dunque un anno di ridefinizione ancora incerta del New Deal, mentre le ambiguità dell’amministrazione furono invece percepite come possibilità e aree grigie per i racial advisers. Grazie al contributo sempre più decisivo di Eleanor Roosevelt, le forze progressiste riuscirono

21 L.A. Oxley, Address at the Annual Conference on the NUL, cit.

22 J.P. Davis, A Black Inventory of the New Deal, in The Crisis, Vol. 42 (May 1935), p. 142.

23 P. Sullivan, Lift Every Voice, cit., p. 221.

24 J.P. Davis, A Black Inventory of the New Deal, cit.

25 W.E.B. DuBois, A Negro Nation within a Nation, in Current History, June 1935, pp. 265-270. Per un approfondimento si veda W.E.B. DuBois, Sulla linea del colore, cit.

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gradualmente a imporsi sull’invadente peso esercitato dai democratici del Sud, che continuavano a frenare l’espansione delle riforme e a contenere l’interferenza delle politiche federali. Il razzismo meridionale imbarazzava con sempre più forza le frange liberali del partito democratico, che stavano via via raccogliendo un favore crescente. Roosevelt, dal canto suo, cominciò ad assecondare con sempre minore inibizione l’attenzione che parte dell’amministrazione stava riservando alla color line. Il tema della discriminazione razziale, attraverso un’enfasi sui diritti economici e sociali e sull’implementazione dei programmi federali, stava dunque provando a inserirsi nella nuova architettura newdealista.

La storiografia ha giustamente individuato nella fase inaugurata dal nuovo percorso di riforme una cesura politica decisiva per l’importanza della questione razziale tra i temi del dibattito nazionale. La transizione degli afroamericani al partito democratico, infatti, avvenne proprio in concomitanza con l’affermazione politico-istituzionale del Second New Deal e si aggrappò a una miscela di fattori spesso lasciati in ombra dalla letteratura. La natura parzialmente più inclusiva dei provvedimenti e delle riforme avviate si unì anche alla reale percezione di un rinnovato rapporto tra soggetti collettivi e governo federale, per la combinazione di tre particolari elementi: il ruolo di primo piano acquisito dai white liberals e da alcuni afroamericani nell’amministrazione, il legame tra le associazioni nazionali e i dipartimenti federali e, infine, lo spessore politico acquisito da Eleanor Roosevelt in merito al tema della discriminazione.

In primo luogo, grazie all’appoggio dei white liberals posti a capo di alcuni dipartimenti e agenzie cruciali per lo sviluppo del Second New Deal, alcuni amministratori afroamericani sperimentarono forme di autonomia sempre meno circoscritte. Le aperture istituzionali alla partecipazione dei neri tra le fila dei beneficiari delle riforme certo continuarono a dipendere dall’autonomia offerta alle singole agencies e dalle convinzioni personali e politiche di ciascun direttore di dipartimento26. Tuttavia, dalla seconda metà del 1935, i white liberals si videro affidare spazi cruciali e strategici, che

26 Cfr. A.J. Badger, Whatever Happened to Roosevelt’s New Generation of Southerners?, in R.A. Garson, S.S. Kidd (eds.), The Roosevelt Years. New Perspectives on American History,

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avrebbero loro permesso di conquistare un ascendente e una leadership sempre più autorevoli. Ad esempio, Harry L. Hopkins e Aubrey W. Williams, esponenti delle frange più liberali del partito democratico e ostinati sostenitori del nuovo impianto di riforme, furono rispettivamente messi a capo delle recentissime WPA e NYA. Esercitando incarichi di significativo rilievo politico, essi si assicurarono l’appoggio, l’autorità e l’influenza necessari a dare voce direttamente alle posizioni politiche dei neri, inseriti in numero sempre maggiore tra gli organi esecutivi27. Nello stesso periodo erano stati ormai immessi nelle strutture istituzionali di Washington D.C., tra ministeri permanenti e agenzie temporanee, quasi cinquanta afroamericani, la maggior parte dei quali provenienti dalle fila dell’attivismo e del mondo professionale. Pur continuando a rappresentare una voce minoritaria della coalizione, dunque, Hopkins e Williams si aggiunsero ad Harold L. Ickes e Will W. Alexander (inserito nella Resettlement Administration (RA) dalla primavera del 1935), riformatori già presenti sulla scena del First New Deal. FDR, dunque, concesse alle personalità più liberal di ideare, organizzare e dirigere alcune delle divisions da lui ritenute di fondamentale importanza per il rinnovato progetto newdealista e che anche la storiografia ha riconosciuto di straordinaria rilevanza per l’inclusione degli afroamericani.

Il decisivo appoggio dimostrato dai rispettivi direttori permise, da un lato, la crescita di un costante lavoro di ricerca e di monitoraggio dei programmi newdealisti e, dall’altro, la formazione di un nucleo operativo che via via si sarebbe ritagliato sempre maggiore spazio. Dal 1936, sarebbe stato proprio questo nucleo a costituire lo zoccolo duro del FCNA. Grazie all’insistenza delle voci più liberal, inclini a esercitare pressione sulla presidenza ma anche ad accogliere proposte e strategie suggerite dai racial