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processo produttivo. Una costruzione in elevazione avrebbe comportato non solo un forte impatto derivante dalle ingenti volumetrie necessarie allo stoccaggio dei vini, ma avrebbe anche richiesto un costante investimento energetico di esercizio per mantenere le condizioni termoigrometriche ottimali. Viceversa il progetto dell’edificio così concepito, in stretta relazio- ne con il suolo circostante, realizza una convergenza tra forma e funzione, restituendo al paesaggio la sua continuità.

L’intera tenuta si trova al limitare del lago di Caldaro, a sud di Bolzano, e si estende per una superficie pari a 45 ettari. L’ampliamento, che affianca l’antico maso risalente ai primi anni del Seicento, si concentra dapprima sulla necessità di contenere la volumetria fuori terra, al fine di non pregiu- dicare il rapporto con l’insediamento preesistente e con il vigneto, e succes- sivamente sullo sviluppo dell’estensione degli spazi desinati alla produzione richiesti dalla committenza: il programma funzionale impone un sostanziale incremento delle superfici per la lavorazione e lo stoccaggio dei vini e da ciò deriva una risposta progettuale capace di tradurre le esigenze operative non direttamente in vincoli, ma in occasioni per ripensare il rapporto tra macchi- na produttiva e vigneto.

La nuova cantina si sviluppa attraverso una struttura in larga parte ipogea di eccezionali dimensioni che accorda la richiesta volumetrica alle dinamiche della produzione. Di fatto l’onere derivante dall’interramento è compensa- to da una serie di vantaggi: innanzitutto lo scavo permette di ottimizzare il processo di produzione sfruttando la gravità per le lavorazioni che si svol-

Figura I.60: vista dell’ampliamento del- l’Azienda vinicola Manincor dall’alto La superficie coltivata a vite a destra del maso è la copertura dell’ampliamento: sebbene perfettamente integrata con il suolo circostante, grazie alla continuità della coltivazione della vite, si riconosce l’artificia- lità dell’intervento dalla presenza di alcuni elementi architettonici di servizio, come l’ingresso principale, l’ingresso delle mac- chine, un piccolo belvedere e la presenza di terminali impiantistici.

L’intervento rappresenta una ricostruzione paesaggistica di proporzioni molto estese. Fonte: Anita Crepaz

gono nei piani interrati e, unitamente al ripristino della superficie agricola in copertura, viene garantita quella stabilità igrometrica indispensabile alla lavorazione, permettendo in tal modo di contenere i consumi energetici di esercizio.

La stratigrafia della copertura prevede necessariamente una robusta struttu- ra primaria in calcestruzzo armato, impermeabilizzata da un doppio strato di membrana bituminosa, sopra la quale è gettata una soletta di calcestruz- zo di spessore pari a 10 centimetri. A questi strati è appoggiato un sottile elemento di drenaggio e al di sopra il terreno di riporto per uno spessore variabile da 1 metro e 20 centimetri a 2 metri e 50 centimetri.

La distribuzione interna è risolta mediante un sistema di risalite verticali che mettono in comunicazione gli ambienti di stoccaggio con gli spazi destinati alla vendita, all’amministrazione e alla sala degustazione. Quest’ultima, a fornire un’ulteriore conferma dell’importanza assunta dal rapporto con il contesto in questo progetto, si apre come un piccolo belvedere sul versante

Figure I.61 e I.62: Prospetto e sezione verticale dell’ampliamento

L’edificio interrato è interamente nascosto dalla ricostruzione, in copertura, del suolo agricolo coltivato a vite.

Fonte: Martin Prinzhorn, Manincor, Schle- brügge Editor, Vienna 2005: 102-104.

Figura I.63: Pianta delle coperture La porzione di suolo ricostruito, pari all’area delimitata dalle linee rosse, si estende per 3000 metri quadri.

Fonte: Martin Prinzhorn, Manincor: 109.

Figura I.64: Pianta piano terra

L’edificio presenta tre livelli al di sotto della copertura. Il livello 0 è all’incirca collocato alla stessa altezza della corte dell’antico maso.

della collina, palesando solamente in minima parte l’artificio che sotto di essa si cela.

“La decisione di costruire il tutto come una cantina non significa, però, seguire superficialmente la tradizione centenaria di viticoltura, ma resta legata sino al dettaglio nella sua funzionalità: i depositi sono collocati nella parte più bassa, laddove la temperatura rimane stabile, mentre l’impianto stesso è circondato da un corridoio che funge da membrana provvedendo in tal modo che in tutte le stanze si diffonda il clima richiesto. Contempora- neamente queste misure “naturali” che garantiscono lo scambio necessario di temperatura e umidità sono predisposte di una tecnologia complessa, indicando così apertamente la fusione dei diversi aspetti. I materiali delle costruzioni moderne, acciaio e cemento, vengono usati in modo tale che si possano modificare ulteriormente e cioè offuscarsi, ma non per simulare l’estetica di una cantina tradizionale bensí per creare l’ambiente adatto ai microorganismi necessari e per garantire, dunque, una conservazione otti- male. Così come nel processo di fermentazione del vino vengono impiegati i batteri locali dai propri giardini al posto di quelli coltivati, anche l’architet- tura rinuncia a interventi tecnologici se luogo e tradizione ammettono delle soluzioni diverse e più dirette. Non si tratta quindi di decisioni ideologiche bensì di cogliere il concetto di continuità in senso

pragmatico e allo stesso tempo in modo rispettoso. [...] Sulla punta del vigneto che contiene (o meglio: è) l’impianto, Erik Steinbrecher ha posto una pergola tradizionale che, essendo di metallo, mostra la sua artificialità

Figura I.65: Vista dell’ingresso della cantina

Le piante di vite che crescono al di sopra del solaio di copertura sono uguali a quelle che crescono nella terra intorno al maso origina- rio. Questo significa che il suolo ricostruito al di sopra della copertura, che è caratterizzato da uno spessore molto elevato, compreso fra 1 metro e 20 centimetri e 2 metri e 50, riproduce perfettamente le condizioni di un suolo naturale.

Figura I.66: Ingresso all’ampliamento della cantina

La parte nuova della cantina si riconosce per la presenza di alcuni elementi architettonici sulla superficie inverdita della copertura. L’ingresso principale all’ampliamento della cantina sembra una breccia nel terreno. Fonte: Jacopo Gaspari

Figura I.67: Presa d’aria della copertura Sulla superficie di copertura si trovano svariati terminali impiantistici che denunciano l’artificialità del suolo da cui emergono. Fonte Jacopo Gaspari

Figura I.68: Uscita di sicurezza Nel lato sud della copertura si trovano l’in- gresso delle macchine agricole e un’ampia uscita di sicurezza. Le porte sono parzialmen- te rivestite di piante decombenti.

25 Fonte: Prinzhorn, Manincor: 18-19.

solo in un secondo momento. Anche in questo passaggio viene rispecchiata la concezione dell’architettura attraverso mezzi artificiali. Ma c’è da chiedersi se il vecchio viene simulato e simboleggiato tramite il nuovo, e il naturale tramite l’artificiale, oppure viceversa. Non possiamo e non dobbiamo dare una spiegazione a questo, giacchè si tratta di processi aperti che possono indicare ogni direzione”25.

Figure I.69 e I.70: Vista dello scavo dell’amplimento

Figure-serie I.71: Viste della copertura conclusa, prima dell’impianto delle viti Fonte: Martin Prinzhorn, Manincor: 21-24.

C

ome illustrato in precedenza la traspirazione delle piante e l’evapora- zione dal substrato rappresentano quei fenomeni in grado di garantire un comportamento termico virtuoso all’elemento tecnico di copertura: in particolare in regime estivo questi fenomeni, impiegando l’energia solare per trasformare l’acqua dallo stato liquido a quello gassoso, sono in grado di contenere le temperature dei materiali componenti della stratigrafia. Dai vari esperimenti condotti è possibile stabilire come la vegetazione e il substrato di coltivo assumano all’incirca la temperatura dell’aria.

L’evapotraspirazione, che a livello macroscopico è un segmento fonda- mentale del ciclo idrologico in quanto costituisce il fenomeno inverso delle precipitazioni, a livello microscopico, e nello specifico caso degli involu- cri inverditi, rappresenta il processo termico più importante del sistema, in quanto responsabile della variazione del valore della trasmittanza del substrato e della diminuzione del calore latente. Il calore latente è quel calore necessario per far avvenire il passaggio di stato dell’acqua da liquido a gassoso e, per quanto riguarda le piante, l’ordine di grandezza del fenomeno è il seguente: alla pressione atmosferica sono necessari 2500 chilojoule per ogni chilogrammo di acqua evaporata dalla pianta e, considerando che un albero di grandi dimensioni in una giornata calda estiva può far evaporare 300-400 litri d’acqua, una pianta di tal tipo consuma 750-1000 megajoule per la sola attività di traspirazione.

Ciò che è interessante conoscere per il rendimento energetico della co- pertura a verde è che l’evapotraspirazione è un processo continuo che, per una copertura estensiva, può raggiungere i 2-3 millimetri al metro quadro in una giornata estiva (pari circa a 2-3 litri, con un impiego di circa 5000 chi- lojoule). E’ necessario tenere in considerazione che lo scambio energetico latente tra lo strato superficiale del substrato e l’atmosfera è un valore molto significativo: svariate ricerche hanno dimostrato che l’energia che lascia il sistema per l’evapotraspirazione equivale circa all’energia solare entrante nel- le copertura.

L’evapotraspirazione rappresenta quindi il “fenomeno chiave” che condi-

I.6

Il comportamento termico

della copertura a verde: