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b) il decreto legge n 15 del 2017 e le misure relative alla sicurezza delle città

Nel documento L'ordine pubblico e le tutele costituzionali (pagine 187-190)

CAPITOLO IV: Le recenti evoluzioni dell’ordine pubblico: l’emergenza e la declinazione in senso ideale della sicurezza

4. I “decreti-legge Minniti”; a) le novità introdotte in materia di protezione internazionale e immigrazione

4.1. b) il decreto legge n 15 del 2017 e le misure relative alla sicurezza delle città

Il secondo decreto legge che compone il Pacchetto Minniti è titolato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”. Come si legge nella premessa, si tratta di un atto normativo adottato per rispondere alla “straordinaria necessità ed urgenza di introdurre strumenti volti a rafforzare la sicurezza delle città e la vivibilità dei territori e di promuovere interventi volti a rafforzare la sicurezza delle città e la vivibilità dei territori e di promuovere interventi volti al mantenimento del decoro urbano”.

Al centro delle nuove norme in materia di sicurezza urbana che tale disposizione contiene, c’è, dunque, il decoro, come si evince anche dal testo dell’art. 4 dello stesso decreto in cui la sicurezza urbana viene definita come “il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città”.

Il ricorso a tale categoria ha suscitato perplessità in dottrina135, trattandosi di un concetto che si collega ad una visualizzazione plastica della decenza, che opera quindi su di un piano estetico e serve a distinguere e a giustificare l’esclusione giuridica136. Che l’obiettivo perseguito con l’intervento normativo in esame sia quello puramente estetico del raggiungimento del decoro urbano è dimostrato anche dal fatto che, a dispetto di quanto proclamato nell’art. 4 (con cui ci si pone l’obiettivo dell’“eliminazione di fattori di marginalità sociale e di esclusione sociale nonché l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale”), le norme successive non dispongono conseguenti azioni sul welfare locale.

Infatti, il decreto in esame prevede il rafforzamento di poteri amministrativi e di ordine pubblico posti nelle mani di sindaci, prefetti e questori, nell’ottica di una eliminazione visiva delle marginalità sociali ritenute elementi capaci di deturpare il decoro e la quiete pubblica137.

L’obiettivo è quello di promuovere la cosiddetta “sicurezza integrata”, ovvero la gestione dell’ordine pubblico attraverso gli interventi congiunti di Stato, Regioni, Enti locali ed anche di privati.

Da tali premesse è già evidente l’adesione ad una declinazione della sicurezza come diritto, la cui tutela è considerata talmente prioritaria da giustificare l’adozione di misure che incidono sensibilmente sull’esercizio di diritti fondamentali e sul riparto di competenze, ridisegnando, in particolare, il ruolo dei sindaci.

L’art. 8, co. 1, ad esempio, aggiunge al tradizionale potere di adottare ordinanze in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica, il potere per il sindaco di adottare ordinanze in relazione alla

135 P.GONNELLA, Le nuove norme sulla sicurezza urbana, decoro versus dignità, in Costituzionalismo.it, 1/2017, parte III, p. 60,

afferma che il decoro è «un ornamento, non è mai l’essenza…porre al centro delle politiche pubbliche il decoro significa rimandare concettualmente alla convenienza o meno dell’agire umano».

136 T.PITCH, Contro il decoro. L’uso politico della pubblica decenza, Bari, 2013. 137 P.GONNELLA, op. cit., p. 63-64.

necessità ed all’urgenza di intervenire per superare situazioni di incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana. Si specifica che gli interventi devono essere diretti a “prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illeciti, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori o disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti”.

Nello stesso articolo viene attribuito al sindaco anche un potere “ordinario”, cioè svincolato dalla contingibilità ed urgenza, consistente nella possibilità di adottare ordinanze che stabiliscono limitazioni in materia di orari di vendita di bevande alcoliche “al fine di assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti nonché dell’ambiente e del patrimonio culturale in determinate aree della città interessate da afflusso particolarmente rilevante di persone”.

In sintesi, al sindaco viene demandata una cospicua parte dell’esercizio della politica criminale e di sicurezza, determinando una disomogeneità all’interno del territorio nazionale nell’esercizio della libertà personale o di circolazione che, conseguentemente a tali diposizioni, potrebbe mutare da città a città.

Tutto ciò in aperto contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 115 del 2011138, dal momento che l’esercizio del potere di ordinanza nuovamente formulato, legato a finalità decisamente generiche e imprecise (come il “decoro”, la “vivibilità”, il “degrado”, l’“incuria”), è potenzialmente uno strumento capace di determinare importanti limitazioni alla libertà delle persone. Contrasto che è ancora più evidente nell’articolo 9 del decreto, in base al quale si introduce il c.d. Daspo urbano, un provvedimento di allontanamento adottato dal sindaco in collaborazione con il prefetto con cui viene multato e poi allontanato139 da alcune aree della città chiunque abbia posto in essere condotte che limitano il libero accesso e la fruizione “delle aree interne delle infrastrutture fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze”. Tramite regolamenti di polizia urbana, la misura può essere estesa anche ad aree dove vi sono scuole, università, musei, parchi archeologici, aree verdi e, evidenziamo, zone interessate da consistenti flussi turistici: si rende così palese il carattere prettamente simbolico del DASPO urbano140. Misura che, in base al comma 2 dell’articolo in esame, può colpire anche chi, negli

138 Con questa pronuncia, come visto nel paragrafo 3.1., la Corte è intervenuta sui poteri di ordinanza che il pacchetto sicurezza del

2008 affidava ai sindaci dichiarando illegittimo l’art. 54, co. 4 del T.u.e.l. così come modificato dall’art. 6 del d.l. n. 92 del 2008.

139 La sanzione amministrativa pecuniaria è accompagnata da un ordine di allontanamento per 48 ore dai luoghi interessati. 140 Tale misura è stata così ribattezzata perché mutuata dall’istituto del DASPO introdotto dalla legge n. 401 del 1989, una misura

di prevenzione atipica che prevede il divieto di accesso alle manifestazioni sportive per chiunque venga considerato pericoloso per l’ordine e la sicurezza pubblica con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive. Misura, quest’ultima, criticata da più parti in dottrina: A.PACE, Misure di prevenzione personale contro la violenza negli stadi ed esercizio del diritto di difesa con “forma semplificata”, in Giur. cost., 1997, p.1584 ss; F.BILANCIA, Violenza negli stadi e misure di prevenzione “atipiche”, in

spazi indicati dall’art. 1, viene trovato in stato di ubriachezza, compie atti contrari alla pubblica decenza, o esercita il commercio abusivo, aggiungendosi, quindi, alle sanzioni amministrative già previste dall’ordinamento (artt. 688 e 726 del c.p.; art. 29 del d. lgs. n. 114 del 1998).

È evidente come l’istituto introdotto dall’art. 9 del d.l. in esame si ponga in contrasto con l’art. 16 della Costituzione, in base al quale la libertà di circolazione e soggiorno può essere limitata solo dalla legge in via generale e per motivi di sanità e sicurezza.

In seguito all’introduzione del Daspo urbano, invece, un diritto fondamentale come quello di movimento, può essere limitato dal sindaco in base a valutazioni del tutto discrezionali al fine di tutelare il “bene sicurezza” che, nella sua nuova veste di diritto, si rivela un efficiente “braccio armato” per la realizzazione pratica di una declinazione ideale dell’ordine pubblico.

Dunque tale articolo affida ai sindaci poteri non troppo dissimili da quelli che hanno il questore e il procuratore della Repubblica relativamente all’adozione delle misure di prevenzione, con la differenza che se il presupposto di questi ultimi è la presunta pericolosità della persona da allontanare (presupposto, già questo, estremamente aleatorio), nel primo caso il presupposto è la lesione al “decoro” urbano che la persona da allontanare avrebbe determinato.

Di più. In caso di reiterazione della condotta, il Questore può imporre un divieto di permanenza nell’area interessata sino a sei mesi, che possono diventare due anni nei casi di persone condannate definitivamente o in appello nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o contro il patrimonio.

In altre parole, l’autorità amministrativa e di polizia (sindaco e questore) potranno adottare provvedimenti diretti ad allontanare per periodi significativi di tempo le persone dai loro contesi sociali, dai propri quartieri, disegnando un “decoro urbano” che assume i toni grigi della sicurezza immateriale e, tramite essa, dell’ordine pubblico ideale.

In conclusione, il tratto che accomuna entrambi i decreti e che giustifica agli occhi del legislatore poco attento la medesima risposta normativa a differenti fenomeni sociali, affonda le sue radici nell’ansia di prevenzione che sembra dominare le scelte del legislatore. Quest’ultimo, applicando al diritto penale il principio del rischio e della precauzione, fonda la sua politica sulla base di quello che l’opinione pubblica percepisce emotivamente come rischio (migranti, in particolare, poveri, tossicodipendenti, marginalizzati, in generale) evidenziando il legame che si realizza tra la sensazione generale di incertezza, la prevenzione, l’emergenza ed il diritto penale simbolico.

Tendenze, come visto, già in atto da anni e che le disposizioni in esame ribadiscono. In effetti, i decreti legge Minniti sembrano andare ad ingrossare le fila di quelle disposizioni-simbolo di un

Rivista di diritto sportivo, 1997, p. 725 ss.; G.P.DOLSO, Misure di prevenzione atipiche e diritto di difesa, in Giur. cost., 1997, p. 1589 ss.

modello securitario che vede il governo indossare le vesti di un legislatore-sovrano assoluto spostandosi sempre più verso la declinazione della politica criminale come politica penale. Una politica penale che sembra rafforzarsi in senso maggiormente restrittivo come politica penale dell’ordine pubblico, con conseguenze ancora più incidenti sui diritti di libertà, dal momento che si basa sul presupposto dell’esistenza di gruppi sociali caratterizzati da un alto grado di criminalità.

In questo modo si giustifica la disposizione di misure repressive selettive, perché rivolte quasi esclusivamente ai gruppi sociali più deboli, a quelle determinate soggettività o classi sociali considerate presuntivamente pericolose141.

Tutto questo sembrerebbe confermare il consolidarsi di una società del controllo e della prevenzione, che si basa sull’allargamento delle competenze dell’esecutivo e su meccanismi discriminatori nell’amministrazione dei diritti fondamentali, perché a vantaggio di categorie di cittadini garantiti, e a discapito degli esclusi (migranti in primis, e poi disoccupati, senza casa, movimenti sociali e altre soggettività “disturbanti” o “indecorose”).

In sintesi: l’ottica è quella della prevenzione del rischio e della presunzione di pericolosità; lo strumento, quello del diritto penale simbolico; il paradigma, quello emergenziale dello Stato della sicurezza o dello Stato di prevenzione, in cui l’ordine pubblico e la nuova formulazione della sicurezza giocano un ruolo fondamentale.

5. Le recenti evoluzioni in materia di sicurezza e immigrazione: a) il decreto legge n. 113 del

Nel documento L'ordine pubblico e le tutele costituzionali (pagine 187-190)