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Le odierne “emergenze”: la sicurezza e l’immigrazione

Nel documento L'ordine pubblico e le tutele costituzionali (pagine 166-171)

CAPITOLO IV: Le recenti evoluzioni dell’ordine pubblico: l’emergenza e la declinazione in senso ideale della sicurezza

2. Le odierne “emergenze”: la sicurezza e l’immigrazione

Dall’attacco terroristico alle Torri G emelle, si può dire che sia cominciata una nuova stagione dell’em ergenza66 che ha comportato l’adozione da parte di quasi tutti i paesi occidentali (nonché degli organismi internazionali) di una legislazione repressiva, caratterizzata da una forte restrizione dei diritti (degli stranieri, in particolare), da deroghe alle regole processuali (che hanno ridotto le garanzie della difesa, introdotto eccezioni alla giurisdizione ordinaria, rafforzato le misure di

64 Per un’analisi di questa tipologia di sentenze e delle critiche ad esse mosse si veda, fra i tanti G.ZAGREBELSKY, La giustizia

costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1988 p. 305 ss.

65 Cfr. G.AZZARITI, La temporaneità perpetua, ovvero la giurisprudenza costituzionale in materia radiotelevisiva (Rassegna critica),

in Giur. Cost., 1995, p. 3064 ss.

66 Sulle problematiche relative al bilanciamento fra diritti fondamentali e contrasto al terrorismo si sono espressi diversi autori, fra

cui B. Ackerman, esponente della corrente di pensiero che sostiene la necessità di introdurre in costituzione una clausola per gli stati di emergenza terroristica che permetta di adottare misure operative efficaci e che, allo stesso tempo, stabilisca con fermezza un limite alla loro durata. In altre parole, una clausola costituzionale d’emergenza che autorizzi deroghe alla garanzia ordinaria dei diritti senza arrivare mai, però, all’estremo della sospensione dell’ordinamento democratico. (Cfr. B.ACKERMAN, La Costituzione d’emergenza, Meltemi,

Roma, 2005; ID., Prima del prossimo attacco, Vita e Pensiero, Milano, 2008). Altri autori, invece, sostengono la possibilità di applicare in via analogica l’art. 78 della nostra Costituzione all’emergenza terroristica. A tal proposito, si veda P.CARNEVALE, Emergenza bellica e sospensione dei diritti costituzionalmente garantiti. Qualche prima considerazione anche alla luce dell’attualità, in Giur. Cost., 2002, p. 4526 ss.

prevenzione), da ampliamenti dei poteri di polizia. Agli interrogativi posti dal fenom eno terroristico internazionale, dunque, si è risposto, fino ad ora, limitando sem pre di più le libertà individuali in nome della sicurezza, rischiando, forse oggi più che in passato, che le misure adottate a difesa della democrazia e dei suoi valori, conducano alla sospensione dei principi che sono alla base della stessa democrazia67.

Queste legislazioni d’emergenza, di cui si sono dotati gran parte dei paesi occidentali, sono caratterizzate da tendenze e sviluppi (teorici e pratici) diffusi: in particolare, il rendere permanenti le misure restrittive originariamente previste come temporanee e l’affermarsi di un diritto penale fondato su una concezione “soggettivistica” della verità processuale, un diritto cioè basato non sui fatti, ma sulla persona, la sua devianza e la sua presunta pericolosità.

Si afferma, dunque, un utilizzo simbolico della legge penale che va ad incidere sulla configurazione delle fattispecie di incriminazione, in relazione alle loro caratteristiche costituzionali. Alla base di questi orientamenti si trova una rimodernata accezione dell’ordine pubblico che ha trovato nella sicurezza immateriale l’abito nuovo da indossare in occasione del palesarsi delle nuove emergenze. Anzi, il gioco è più sottile.

Le crisi economiche e l’insostenibilità delle spese per rendere effettivi i diritti sociali (la cui garanzia è, nel costituzionalismo moderno, sinonimo di sicurezza, intesa come “sûreté”) sembrano aver determinato un ribaltamento di prospettiva. Fin dalla sua comparsa nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (art. 2), la sicurezza sembra connettersi con la garanzia dei diritti, con la protezione delle persone e dei beni, per poi connotarsi nel XIX secolo come quella componente tradizionale e materiale dell’ordine pubblico a cui si è precedentemente accennato68 e che si lega al mantenimento dell’ordine dans la rue e alla garanzia contro i rischi69. Il costituzionalismo del XX secolo, successivamente, ha connesso i diritti fondamentali con l’affermarsi dei principi dello Stato sociale, per garantire il quale occorreva rendere effettivi i diritti di libertà, assicurando agli individui la base materiale minima per poter realizzare la propria libertà, intesa «sia come indipendenza, sia come autodeterminazione o autorealizzazione»70. Dunque la sicurezza viene legata alla “sicurezza dei diritti”.

67 Evoluzione, quest’ultima, che sembra evocare il profilarsi dello stato di eccezione così come teorizzato da Schmitt (cfr. C.

SCHMITT, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in Le categorie del politico, a cura di Miglio e Schiera, Bologna, il Mulino, 1972). Su questi argomenti, e, in particolare in merito alle esperienze dei paesi democratici che, nell’adottare provvedimenti in circostanze emergenziali hanno leso principi fondamentali del costituzionalismo, si veda, fra gli altri, P.BONETTI, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, il Mulino, Bologna 2006.

68 Cfr. supra, capitolo I.

69 Per un’attenta analisi circa le evoluzioni del concetto di sicurezza si vedano, fra gli altri, M.A.GRANGER, Existe-t-il un “droit

fondamental à la sécurité”?, Actes du VIIe Congrès français de droit constitutionnel, Constitution, droit et devoirs, Paris 26 et 27 septembre 2008, in Droitconstitutionnel.org, p. 2; M.RUOTOLO, La sicurezza nel gioco del bilanciamento, in G.COCCO (a cura di), I diversi volti della sicurezza, Giuffrè, Milano, 2012, diffusamente e in part. p. 74 ss.

Le crisi economiche, la progressiva riduzione della spesa pubblica e i mutamenti politico-sociali avvenuti nel corso degli anni, hanno modificato l’impianto emergenziale che aveva caratterizzato gli interventi del legislatore in materia di ordine pubblico negli anni Settanta, pur ereditandone alcuni aspetti fondamentali71. L’obiettivo diviene la prevenzione del conflitto72, attuato attraverso un ampliamento degli strumenti di controllo e un superamento dei meccanismi di garanzia tipici dello stato sociale: tutto ciò in attuazione di uno “stato di prevenzione”, declinato come “lo stato dell’aspirazione alla massima sicurezza”73.

Le politiche legislative degli ultimi vent’anni sono improntate ad una progressiva anticipazione della soglia di punibilità (e, dunque, di criminalizzazione), alla prevenzione del rischio ed alla presunzione di pericolosità; vengono declinati in chiave emergenziale problemi che, in realtà, appaiono innanzitutto di carattere culturale, sociale ed economico, rispetto ai quali l’odierno sistema di diritto penale sembra offrire rimedi di rassicurazione puramente simbolica, costituendo la “bandiera strumentale” di chi ha la responsabilità di governo74. Si afferma, dunque, il diritto penale simbolico75 o del nemico, i cui mezzi permettono di rispondere agilmente alle richieste avanzate da quella che viene declinata come la nuova costante emergenza: la domanda di sicurezza.

Una sicurezza che non è più traducibile in certezza dei diritti, ma, piuttosto, sembra implicare la possibilità per lo Stato di godere, nell’obiettivo di tutelare il cittadino da rischi e pericoli sociali, di una sorta di “procura in bianco” per ogni intervento sulla libertà76. Alla sicurezza interpretata come sicurezza dei diritti, si contrappone dunque una sicurezza declinata come conservazione dei beni, previdenza per le situazioni future e prevenzione dei rischi.

71 Come, ad esempio, il forte valore simbolico delle leggi adottate, volte più a dare una risposta mediatica e dimostrativa della tenuta

delle istituzioni, che non a risolvere il problema oggetto delle normative nel rispetto delle garanzie costituzionali.

72 Cfr. G.BASCHERINI, L’emergenza e i diritti. Un’ipotesi di lettura, in Rivista di Diritto Costituzionale, Torino, 2003, p. 46. 73 Così E.DENNINGER, Diritti dell'uomo e legge fondamentale, Torino, Giappichelli, 1998, p. 78.

74 Così S.ANASTASIA,M.PALMA, Introduzione, in Democrazia e Diritto, n. 2/2000, p. 9.

75 Bisogna inoltre sottolineare che il diritto penale simbolico, negando apertamente il canone dell’extrema ratio ed espandendo

l’intervento penale nell’ambito del “non necessario” dal punto di vista dell’effettivo contrasto alla criminalità, viola il principio di offensività che, inteso come metodo di scelta nell’incriminazione, dovrebbe indicare una netta preferenza verso un utilizzo minimo dello strumento penale, rimettendo alla discrezionalità politica del legislatore i criteri mediante i quali operare la scelta circa la necessità o meno della previsione di quello strumento. In questo senso si esprime anche la Corte con la sent. n. 519 del 2000 in cui i giudici della Consulta sottolineano la connessione fra il principio di offensività ed il principio del ricorso alla legislazione penale come extrema ratio. La Corte, infatti, afferma che l’art. 25 Cost. impone la «necessità che alla sanzione penale si faccia ricorso solo come rimedio estremo e solo per la repressione di figure di reato che devono essere costruite in funzione offensiva di ben determinata oggettività giuridica. Procedendosi con una sorta di tipizzazione delle offese».

Di più. Le norme che caratterizzano il diritto penale simbolico, nell’intento di favorire la natura “manifesto” delle stesse e di concretizzarne il valore preventivo generale, appaiono generiche ed indeterminate, così rischiando di violare il principio costituzionale di determinatezza delle fattispecie penali (cfr. E.STRADELLA, Recenti tendenze del diritto penale simbolico, in E.D’ORLANDO,L. MONTANARI (a cura di), Il diritto penale nella giurisprudenza costituzionale. Atti del seminario svoltosi a Udine il 7 novembre 2008, Torino, 2009, p. 208 ss.). Tale violazione si rende palese anche nella emanazione di norme i cui destinatari reali non coincidono con quelli apparenti, o il cui fine reale risulta diverso da quello dichiarato; solo a mo’ di esempio, si pensi al decreto legge n. 7 del 2015, atto emanato allo specifico scopo di contrastare il fenomeno del terrorismo islamico con cui, però, vengono introdotte o ampl iate norme destinate a trovare applicazione anche contro il terrorismo interno, contro quello internazionale non di matrice islamica e che, in alcune formulazioni, sembra specificamente indirizzato a punire esponenti dell’antagonismo politico (violento o del mero dissenso) e di movimenti territoriali (così etichettati come terroristi interni).

In altre parole, si sviluppa in questi anni il passaggio dalla sicurezza dei diritti al diritto alla sicurezza77, in virtù del quale il legislatore sembra voler ridisegnare il senso ed il significato costituzionale dei diritti di libertà con esso necessariamente contrastanti.

A tal proposito, in dottrina da diverse parti sono stati sollevati dubbi in merito alla traduzione in diritto del generale bisogno di sicurezza dei cittadini. Alcuni sostengono che non si possa parlare di un diritto soggettivo alla sicurezza pubblica a causa delle difficoltà strutturali che, a loro avviso, impediscono l’enucleazione di una simile situazione giuridica soggettiva, non potendosi qualificare né come un diritto ad estendere arbitrariamente le proprie ragioni al di là dei limiti consentiti dall’autodifesa (artt. 392 s. c.p.), né come un diritto a prestazioni positive da parte della polizia o dei carabinieri a semplice richiesta del cittadino78. Altri, invece, pur giungendo alla stessa conclusione dell’impossibilità della costruzione di un diritto soggettivo alla sicurezza, arrivano a tale negazione considerando il sistema dei diritti sancito dalla nostra Costituzione. Questi autori affermano che la domanda di sicurezza proveniente dalla società ben può essere soddisfatta tramite la certezza dei diritti espressamente sanciti in Costituzione, rientrando, quindi, nel campo del “diritto ai diritti” o della “sicurezza ai diritti”79. Da questa premessa, concludono che l’enucleazione di un diritto alla sicurezza è necessariamente il «risultato di una costruzione costituzionale falsa o perversa», perché o si traduce nella legittima domanda di sicurezza di diritti da parte di tutti i soggetti, e allora la costruzione è superflua, oppure si traduce nella «selezione di alcuni diritti di gruppi privilegiati», e allora la costruzione è «ideologica»80. In altre parole, soddisfare diritti equivale a garantire la sicurezza declinata come sicurezza dei diritti, obiettivo costituzionalmente imposto; mentre rafforzare la percezione della sicurezza equivale a garantire un soggettivo sentimento di sicurezza, obiettivo che è frutto (semplicemente) di scelte discrezionali del legislatore81. Il diritto alla sicurezza, in questo modo, risulterebbe essere una costruzione ideologica che si contrappone a quella designata dalla nostra Costituzione, in particolare se si considera quanto sancito dall’articolo 3, comma 2.

È ponendosi in questa prospettiva che si scorge il nuovo “abito” dell’ordine pubblico, ovvero la sicurezza declinata in senso ideale e il suo tramutarsi in diritto.

In questo modo, la partita libertà/autorità non si giocherà più con le solite pedine: sul piatto della bilancia non ci saranno i diritti da un lato e l’ordine pubblico dall’altro, ma il rapporto dialettico si articolerà fra i diritti di libertà e il diritto alla sicurezza. Così, in queste nuove vesti, l’ordine pubblico

77 Per un’analisi critica di questo passaggio, si veda A.BARATTA, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti in M.PALMA,S.

ANASTASIA (a cura di), La bilancia e la misura, Milano, 2001, p. 21

78 A.PACE, La sicurezza pubblica nella legalità costituzionale, in RivistaAic, p. 2. 79 A.BARATTA, op. loc. ult. cit.

80 O, come ribadisce lo stesso A., «perversa», perché strumento di una «strategia conservatrice» volta a giustificare i disequilibri del

mercato, «gli effetti perversi della globalizzazione neoliberale dell’economia», ibidem.

sembra aver trovato la strada per “salire di grado” ed atteggiarsi a diritto, assumendo, all’interno del bilanciamento con le libertà, un peso specifico sempre più consistente.

A completare il quadro, si aggiunge il ricorso frequente (se non abituale) a dispositivi emergenziali che spianano la strada ad una normalizzazione dell’emergenza. Circostanza, quest’ultima, che rappresenta una costante nella storia costituzionale, dal momento che si riscontra una tendenza a cercare di inglobare l’eccezione nella regola, come dimostrano istituti come lo stato d’assedio82, le teorie relative alla necessità come fonte suprema dell’ordinamento, lo stato d’eccezione, o la stessa decretazione d’urgenza83.

In particolare, nel nostro ordinamento, non essendoci in Costituzione una disciplina ad hoc, spesso si è abusato dello strumento del decreto legge per affrontare situazioni di emergenza (reali, presunte o strumentali); una propensione che si rende evidente nella gestione politico-legislativa delle problematiche inerenti la sicurezza e l’immigrazione degli ultimi anni e che alimenta le perplessità in merito all’opportunità del ricorso alla decretazione d’urgenza per affrontare problematiche (come quella relativa al bilanciamento fra diritti di libertà ed esigenze di sicurezza) che meriterebbero più approfonditi dibattiti parlamentari84.

In questo senso, sembra particolarmente interessante ai nostri fini soffermarsi sui cc.dd. “Pacchetti sicurezza” che si sono succeduti negli ultimi dieci anni, espressione di differenti maggioranze governative, ma di simili (se non uguali) scelte politiche. Il riferimento è al “Pacchetto sicurezza” del 2008/2009, complesso intervento legislativo composto da un decreto legge (n. 92/2008), due decreti legislativi (d. lgs. nn. 159 e 160 del 2008) e due disegni di legge poi convertiti nella legge n. 94 del 2009; ai decreti legge nn. 13 e 14 del 2017 (c.d. Pacchetto Minniti); ai decreti-legge n. 113 del 2018 e n. 53 del 2019 (cc.dd. decreti Salvini).

Con questi provvedimenti sono stati affrontati congiuntamente fenomeni politico-sociali assolutamente disomogenei fra loro, come l’immigrazione, la criminalità organizzata, la mafia, il terrorismo, l’eversione, il conflitto sociale, questioni che vengono indistintamente identificate come “problemi di sicurezza pubblica”. Si tratta di una tendenza che, come vedremo, si rende esplicita già nei titoli di tali provvedimenti che uniscono sotto il comun denominatore della straordinaria necessità ed emergenza problematiche eterogenee fra loro e con radici socio-economiche profondamente diverse.

82 Cfr. G.AZZARITI, Diritto e conflitti. Lezioni di diritto costituzionale, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 140 ss.

83 Per un approfondimento sulle tematiche dell’emergenza, della necessità, dell’eccezione e dell’urgenza cfr., fra gli altri, V.

ANGIOLINI, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, Cedam, 1986; P.PINNA, L’emergenza nell’ordinamento costituzionale italiano, Giuffrè, Milano, 1988; G.MARAZZITA, L’emergenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 2003.

84 In merito alle problematiche che, in generale vengono sollevate dal ricorso ai decreti legge per sospendere diritti costituzionali, si

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