CAPITOLO IV: Le recenti evoluzioni dell’ordine pubblico: l’emergenza e la declinazione in senso ideale della sicurezza
1. Gli anni Settanta: la violenza politica e la nascita del paradigma emergenziale
1.2. Il ruolo della Corte costituzionale
1.2.1. La sentenza n 15 del 1982 e le diverse interpretazioni della dottrina
Con la sentenza n. 15 del 1982 la Corte non si discostava dal modello delle sue precedenti pronunce sulle leggi degli anni dell’emergenza. Anzitutto, anche qui, utilizzava le motivazioni poste dal legislatore ordinario a sostegno delle disposizioni impugnate come argomenti costituzionalmente rilevanti. E questo confermava sia la tendenza della giurisprudenza costituzionale a porre argini poco significativi al legislatore dell’emergenza, sia l’orientamento della Corte nel senso di correlare la disciplina della libertà personale ad esigenze estranee al processo e coincidenti con istanze di politica criminale47.
Con l’ordinanza di rimessione, i giudici a quo sollevavano la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.l. n. 625 del 1979 dal momento che, in base alla lettera di quest’ultimo, la carcerazione preventiva risultava complessivamente estendibile fino a dieci anni ed otto mesi. Il ritorno ai termini massimi previsti dalla normativa precedente si rendeva necessario, secondo il giudice remittente, in
46 Ibidem. 47 Ivi, p. 260.
relazione all’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione a quanto stabilito dall’articolo 13, comma 1,2 e 5 e dall’articolo 27, comma 2 della Costituzione, considerati «prevalenti sulle esigenze processuali e sulle ragioni di controllo e di difesa sociale»48.
La Corte d’appello di Torino, con la stessa ordinanza, e due giudici dell’ufficio d’istruzione presso il tribunale di Padova, con due distinte ordinanze, sollevavano questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 del d.l. n. 625 del 1979, in riferimento all’art. 3, comma 1, all’art. 13 co. 1,2 e 5, ed all’art. 27, co. 2 della Costituzione.
La Corte costituzionale rigettò le questioni di legittimità sollevate, con motivazioni che ad una parte della dottrina apparvero prettamente politiche49.
Nei Considerato in diritto la Corte specificava come nelle ordinanze di rimessione, pur facendo espresso riferimento agli artt. 13, co.1, 2, e 5 e 27, co. 2, l’argomentazione non veniva condotta sulla base dei principi sanciti in questi articoli, ma veniva imperniata esclusivamente sul principio di ragionevolezza. E tale principio, inoltre, veniva affermato invocando l’art. 5 della Convenzione europea, e non richiamando la giurisprudenza costante della Corte in merito. Ma, soprattutto, appare interessante il passaggio in cui la Corte sottolineava come non si potessero considerare irragionevoli i termini massimi disposti dalla norma impugnata, sostenendo che «terrorismo ed eversione, da un lato, e prolungamento della custodia preventiva, dall’altro, stanno fra loro in rapporto di causa ed effetto». La Corte, dunque, come essa stessa sottolineava, sosteneva che il controllo sulla ragionevolezza dei termini dovesse operarsi individuando e valutando la ratio che aveva indotto il legislatore a disporne il prolungamento: ne risultava che «come l’esigenza della tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica è l’occasio legis, così le obiettive difficoltà degli accertamenti ne sono la ratio».
Quindi, nessun difetto di costituzionalità. Ma c’è di più. La Corte si spinse oltre, fino ad affermare, nel punto 5 del Considerato in diritto che «di fronte ad una situazione di emergenza (...) Parlamento e Governo hanno non solo il diritto e potere, ma anche il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere, adottando una apposita legislazione d’emergenza». Affermazione, questa, che ad una parte della dottrina apparve «inquietante»50e, perfino, «pericolosa»51: in effetti, collegando tali parole ad un passo successivo (contenuto nel punto 7 dei Considerato in diritto) in cui si diceva che lo stato d’emergenza “legittima (...) misure insolite”, sembrava che si stesse ammettendo una deroga alla Costituzione. Non solo: chi si spinse fino a definire tali parole come pericolose, intravedeva in simili affermazioni una
48 Così, testualmente, nell’ordinanza della Corte d’assise di Torino emessa il 17 novembre 1980 (Reg. ord. n.34 del 1981). 49 Cfr. L.CARLASSARE, Una possibile lettura in positivo della sent. n. 15?, in Giur. Cost., 1982, p. 98 ss.
50 Ivi, p. 102.
sorta di rinuncia a priori, da parte della Corte, ad esercitare il proprio sindacato su disposizioni motivate all’insegna dell’emergenza.
Ci si chiese, dunque, se effettivamente la Corte avesse ammesso che la legislazione d’emergenza potesse derogare o sospendere la Costituzione e violarne persino i diritti fondamentali (cioè, quei diritti qualificati espressamente come inviolabili e ritenuti, da alcuni, sottratti alla stessa revisione costituzionale). Dato il silenzio assoluto in Costituzione circa i poteri d’emergenza52, una tale decisione, interpretata in questo modo, avrebbe avuto valore storico e si sarebbe potuta considerare una sentenza di revisione costituzionale. Ma la portata della sentenza, in realtà, veniva ridimensionata non appena si collegavano le varie parti del discorso. In questo modo le affermazioni precedenti apparivano strettamente funzionali alla puntualizzazione immediatamente successiva per cui, nei delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, i termini disposti potevano ritenersi ragionevoli in considerazione delle obiettive difficoltà esistenti per gli accertamenti istruttori e dibattimentali.
In altre parole, la Corte si asteneva dal valutare se tale prolungamento dei termini fosse effettivamente il mezzo più idoneo per fronteggiare terrorismo ed eversione, però non mancava di considerare la grave incidenza della crisi di efficienza dell’amministrazione della giustizia sulla posizione degli imputati. E proprio tale dato venne sottolineato da parte della dottrina, che lo interpretò nel senso che non sarebbe stato legittimo procedere sempre per la sola via del prolungamento dei termini di custodia preventiva, subordinando interamente la libertà dell’imputato alle vicende processuali. In questo varco, si volle vedere un possibile spiraglio per un riesame della ragionevolezza di così lunghi termini di custodia preventiva, che avrebbero potuto quindi «divenire illegittimi in assenza della contemporanea adozione di quelle diverse, doverose (e più normali) misure»53.
In effetti, in un passaggio successivo, veniva precisato come l’emergenza fosse da considerarsi una condizione «anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea», che andava a legittimare, quindi, misure sì insolite, ma che avrebbero perso legittimità qualora ingiustificatamente protratte nel tempo. La Corte si spingeva, poi, ad effettuare un’ulteriore precisazione: osservava che, pur in regime di emergenza, non si poteva giustificare «un prolungamento dei termini di scadenza della carcerazione preventiva tale da condurre verso una sostanziale vanificazione della garanzia»54. Precisazione che,
52 A proposito di questo “silenzio” in Costituzione, e dei relativi timori e contrasti in dottrina circa i poteri d’emergenza e la necessità
come fonte, appare significativo richiamare quanto sostenuto da Guarino. Questi avvertì, fin dal 1948, i pericoli derivanti dall’applicazione di istituti tipici di una società omogenea ad una società divisa. Una società in cui, invece, «bisogna eliminare tutti quegli istituti che possono facilitare alle parti di sovvertire costituzionalmente la costituzione». G.GUARINO, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari, Jovene, Napoli, 1948, p. 138.
53 Cfr. L.CARLASSARE, op. cit., p. 104-107. 54 Sent. n. 15/1982, p. 102.
però, appariva destinata a rimanere un «flatus vocis» fino a quando la Corte si sarebbe accontentata di valutare semplicemente la congruità dei criteri seguiti dal legislatore55.
Invece, per quanto riguarda il secondo comma dell’articolo 13, la Corte precisava che, pur dovendo, ai sensi di tale norma, essere “previsti” i casi ed i modi in cui la restrizione della libertà personale è ammessa, ciò non si traduceva in una regolamentazione preventiva di ogni aspetto della restrizione stessa. Infatti, continuava sottolineando che «non sempre nella tecnica legislativa al participio “previsto” corrisponde il sostantivo “previsione” potendovi far riscontro la mera “disposizione” (…). La legge deve stabilire e non prestabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva: ne segue che la previsione dei casi e modi della carcerazione di cui al secondo comma non può estendersi alla durata della custodia preventiva di cui all’ultimo comma»56.
Il giudice costituzionale, inoltre, si richiamava alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, e, precisamente, alla sentenza n.1159 del 1975 della Sez. V penale, in cui si riconosceva natura meramente strumentale alla carcerazione preventiva. Tale natura strumentale, consentiva, a parere della Corte, di cogliere la funzione di garanzia insita nell’istituto della carcerazione preventiva e nel processo in una prospettiva completa: e cioè, garanzia non solo dell’imputato, ma «anche – e, prima – dell’attuazione della legge, della ordinata convivenza, della salvezza delle istituzioni»57 .
Appare evidente qui il richiamo a quella declinazione dell’ordine pubblico sopra indicata e che si snoda attraverso un’interpretazione immateriale della pubblica sicurezza tramite lo strumento dell’emergenza della difesa sociale.
Sembra opportuno riportare anche le argomentazioni di quella parte della dottrina che non si “scandalizzo” o “inquietò” in seguito alle affermazioni contenute nelle motivazioni di tale sentenza circa l’emergenza e il relativo esercizio dei poteri.
Tale dottrina non si interrogava sulla politicità della sentenza della Corte e di una sua possibile lettura positiva, ma puntava il dito verso il legislatore e il prezzo che, a causa delle sue scelte, si era dovuto pagare per non drammatizzare il conflitto sociale e per ottenere una più ampia convergenza politica.
Partendo dalla discussa affermazione della Corte ( «il Parlamento ed il Governo hanno ... il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere adottando un’apposita legislazione d’emergenza» ... «l’emergenza è una condizione essenzialmente temporanea ... che legittima misure insolite ... che perdono legittimità se ingiustificatamente protratte nel tempo»), tale dottrina sottolineava come l’eccessiva durata della custodia preventiva venisse giustificata in base ad una ragionevolezza specifica
55 Cfr. V.GREVI, op. cit. p. 263. 56 Sent. n. 15/1982.
(“causa occasionale”, “ragione giustificatrice”58). Non veniva qui in considerazione, dunque, la normale ragionevolezza, perché si era provveduto “oltre il disponibile con legge ordinaria”59. Questa parte della dottrina sosteneva che sarebbe stato molto più preoccupante un utilizzo delle consuete regole della ragionevolezza da parte della Corte: ciò, infatti, avrebbe implicato una nozione talmente elastica della ragionevolezza da giustificare qualsiasi provvedimento.
Secondo l’interpretazione della sentenza n. 15/1982 sposata da questo indirizzo, dunque, il giudice costituzionale avrebbe ammesso la possibilità di una sospensione temporanea delle garanzie costituzionali proprio perché effettuata in forza della decretazione d’urgenza. Tale possibilità sembrava, a questa dottrina, molto più garantista rispetto all’utilizzo della legislazione ordinaria, poiché, realizzata tramite l’istituto del decreto legge, sarebbe stata sottoposta ad una precisa disciplina giuridica implicante sia dei limiti insuperabili, sia la responsabilità politica e giuridica dei membri del governo.
Secondo questo indirizzo sarebbero state molto più preoccupanti le conseguenze della tesi che negava la possibilità del ricorso al decreto legge per la dichiarazione dello stato d’emergenza. In base a questa teoria, infatti, considerando l’ordinaria disciplina costituzionale sufficiente e completa, si sarebbe dovuto ammettere poi, gioco forza, il ricorrere ad una «abnorme» ragionevolezza per giustificare la legittimità costituzionale di determinate misure, laddove «non vi sarebbe nulla di scandaloso nel riconoscere l’insufficienza della Costituzione di fronte all’emergenza democratica»60. In altre parole, il segnale che parte della dottrina coglieva nella sentenza in esame era un invito, indirizzato a Parlamento e Governo, a distinguere legislazione ordinaria e norme d’eccezione e, comunque, a prevedere un necessario termine di validità per la legislazione di emergenza61.
Pur nella loro diversità, i vari orientamenti dottrinali sottolineavano un atteggiamento, da parte della Corte, eccessivamente allineato con le scelte del legislatore e troppo poco critico nei confronti delle conseguenze d’ordine costituzionale che il consolidarsi di questa tendenza poteva comportare. Il collegamento fra la normativa impugnata e le obiettive difficoltà degli accertamenti, la necessità di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica dal terrorismo e dall’eversione, il sottolineare la gravità del fenomeno che si era chiamati a combattere: erano tutti segni evidenti dell’avallo del giudice costituzionale alle misure di politica penale adottate dal legislatore.
Lo dimostra, ad esempio, il fatto che la Corte si era limitata a rispondere al quesito circa la ragionevolezza dei termini, assumendo come parametro le ragioni politiche addotte dal legislatore e non i principi costituzionali che rappresentano i naturali parametri di un simile giudizio. E, ancora, lo
58 Così nel punto 4 del Considerato in diritto della sent. n. 15/1982.
59 Così. A.PACE, Ragionevolezza abnorme o stato d’emergenza?, in Giur. cost., 1982, p. 111. 60 Cfr. G.ZAGREBELSKY, La Costituzione dimezzata, in Mondooperaio, febbraio 1980, p. 25. 61 Cfr. A.PACE, op. ult. cit., p. 113-114.
dimostra il fatto che la Corte non si era domandata se l’aumento dei termini massimi di carcerazione fosse compatibile con la presunzione di non colpevolezza, ma, individuando un rapporto di causa ad effetto fra terrorismo ed eversione e prolungamento dei termini della custodia preventiva, riconosceva in tale istituto un mero strumento per la soddisfazione di obiettivi di politica criminale. Però, dato che l’individuazione di tali obiettivi, come riconosciuto dalla Corte, appartiene alla sfera delle scelte politico-legislative sottratte al controllo di legittimità, ne emergeva un ruolo del giudice costituzionale (come parte della dottrina evidenziava) pericolosamente prossimo a quello “notarile”: consistente, cioè, nel registrare tali scelte politiche e ritenere comunque ragionevoli i termini massimi, fino a far dubitare dell’esistenza effettiva di un limite a simili dilatazioni62.
Sono queste le discussioni e le preoccupazioni che la sentenza n. 15 del 1982 sollevò in dottrina e, in generale, nell’opinione pubblica: preoccupazioni alimentate dall’ambiguità di una sentenza che, se da un lato prendeva le distanze dalle proprie precedenti elaborazioni sulla finalità cautelare sostanziale (e non solo processuale) della custodia preventiva, dall’altro rappresentava il punto di massimo avanzamento della tendenza volta a ricondurre tale istituto fra gli strumenti di politica criminale e di difesa sociale63.
In conclusione, bisogna ricordare come a partire dalla metà degli anni Settanta, in seguito alla crisi economica e politica, si assiste ad un’inversione di tendenza: se prima si tentò di intraprendere un processo di attuazione della Costituzione, successivamente le politiche di ordine pubblico e di pubblica sicurezza risulteranno sempre più rispondenti al paradigma dell’emergenza e, di conseguenza, sempre più lesive dei diritti e delle libertà individuali. La nuova legislazione d’emergenza trovava la sua legittimazione grazie al dilagare del sentimento di paura e insicurezza all’interno del tessuto sociale: le disposizioni evocative che le caratterizzavano facevano leva sulla componente emotiva dell’opinione pubblica ed apparivano volte più a comunicare una capacità di tenuta delle istituzioni agli attacchi eversivi e una simbolicità delle punizioni, che a contrastare efficacemente i fenomeni oggetto delle normative.
Come già evidenziato, la Corte costituzionale aveva subordinato la declaratoria di costituzionalità delle leggi dell’emergenza che erano state sottoposte a suo vaglio, alla provvisorietà delle loro disposizioni. Infatti, nella sent. n. 15 del 1982, la Consulta precisava che la norma impugnata (art. 10 del d.l. n. 625 del 1979) trovava la sua occasio legis nella necessità di tutelare l’ordine democratico e la sicurezza pubblica contro l’eversione, e si preoccupava allo stesso tempo di specificare come l’emergenza fosse una condizione sì anomala e grave ma anche “essenzialmente temporanea”, le cui misure insolite avrebbero dovuto, quindi, perdere efficacia se protratte ingiustificatamente nel tempo.
62 Cfr. V.GREVI, op. ult. cit., p. 262. 63 Ivi, p. 269.
La temporaneità della legge veniva specificamente invocata dalla Corte come condizione della provvisoria legittimità costituzionale e riconduceva, dunque, questa decisione a quelle sentenze di accertamento di illegittimità formale non seguite da dispositivo caducatorio, cui la dottrina aveva mosso diverse critiche64. A molti studiosi, infatti, non sembrava possibile ammettere che una norma incostituzionale potesse non essere dichiarata tale solo per la sua natura transitoria, come se la nostra Costituzione potesse essere derogata, per un tempo determinato o indeterminato, da un atto avente forza di legge ordinaria, purché auto-definitosi temporaneo65.
I timori di questa parte della dottrina si sono dimostrati fondati: gli indirizzi indicati dalla Corte vennero disattesi dal legislatore che, tramite proroghe giustificate con continui richiami alla necessità, ai rischi ed alle crisi sociali o politiche, ha reso perpetua l’originaria temporaneità e ha consolidato il paradigma emergenziale come metodo nelle scelte del legislatore penale.
E così, pur essendo cambiato il quadro sociale di riferimento, alcuni elementi caratterizzanti la politica penale degli anni Settanta, si ritrovano nelle emergenze degli anni Duemila: in particolare, la politica dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza degli ultimi anni è, oggi come ieri, caratterizzata da un sostanziale abbassamento della tenuta dei diritti e delle garanzie sancite dalla Costituzione in campo penale e da una dimensione meramente simbolica della disciplina dell’emergenza.