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b Il concetto di creazione in Gregorio Palamas

La metafora sulle ipostasi del fuoco che nascono dalla fiamma di una torcia, che troviamo a più riprese nelle opere di Gregorio Palamas, ha un valore teorico primario che va anche oltre il rapporto fra essenza e ipostasi: introduce infatti il tema della partecipazione all’essere (εἶναι) come condizione dell’esistenza ipostatica creata. Sembra trattarsi, a prima vista, di un argomento platonizzante o che richiama in generale l’ontologia antica: per Platone, come anche per Aristotele, per esistere, il particolare deve partecipare del generale, l’ipostasi dell’Essere, così che ogni ipostasi è determinata dalla necessità cosmica e ad essa è asservita. L’argomento è però diverso in Gregorio Palamas, e a determinare questa differenza è il concetto di attività (ἐνέργεια). A questo proposito possiamo considerare il capitolo 8 di un breve testo polemico che Palamas scrive all’indomani dei sinodi di Costantinopoli del 1341, in cui si legge:

[…] Dionigi mostrὸ che le potenze provvidenziali di Dio sono superiori agli esseri, cioè increate; egli dice che fra questi gli esseri che ne partecipano sono esseri. Ma dice anche che la loro causa è iperprincipiale e iperessenziale. Nel dodicesimo capitolo del De divinis nominibus, chiamate

33 «[…] αὖ τῶν μετεχόντων αἱ αὐτομετοχαί, κατὰ τοσοῦτον ὑπερίδρυται πάντων τῶν

μετωχόντωνκαὶ μετοχῶν ὁ ἀμέθεκτος αἴτιος»: PSEUDO-DIONIGI AREOPAGITA, De divinis

nominibus 12: 4, in: Corp dion. I. Alcuni passi di Gregorio Palamas in cui ricorre la citazione di

questo riferimento pseudo-dionisiano sono: Thephanes 24, in: Perr. I, p. 1294; Ὅτι Βαρλαάμ καὶ

Ακινδύνος εἰσὶν οἱ διχοτομούντες κακῶς ὄντως καὶ ἄθεως εἰς δύο ἀνίσους θεότητας τὴν μίαν 8, in:

Perr. I, p. 1328 e 1330; Orationes antirrheticae contra Acindynum 4, 29, in: Perr. II, p. 428;

Orationes antirrheticae contra Acindynum 5, 45, in: Perr. II, p. 536.

34 Cf. GREGORIO PALAMAS, Orationes apodicticae de processione Spiritus sancti 1, 6, in: Perr. I,

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queste potenze «in sé partecipate», dice che esse «sono al di sopra di tutte le cose che ne partecipano», vale a dire di tutte le cose create; niente infatti, se non Dio, ha l’essere se non per partecipazione. Ma, dice ancora, «la causa impartecipata è sovrafondata sia rispetto a tutte le cose che partecipano, sia rispetto a quelle che sono partecipate»: sempre in quanto è causa, anche se causa in maniera differente.35

Come si può notare, l’argomentazione di Gregorio Palamas riprende il dodicesimo capitolo del De divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi Areopagita, secondo il quale l’essere degli esseri creati si ha per partecipazione delle operazioni (ἐνέργειαι) divine. La grande differenza con il paradigma classico, di cui il modello platonico è un esempio, consiste proprio nell’introduzione del concetto di attività, il quale ha come grande implicazione ontologica la prospettiva creazionista con l’ipostaticità e la libertà della causa divina, nonché l’alterità ontologica fra causa creatrice e creazione. Questa prospettiva ontologica è di importanza fondamentale per Gregorio Palamas, nella misura in cui egli ritiene che il concetto di creazione sia la conditio sine qua non dell’ontologia stessa. In altri termini, non è possibile pensare l’ontologia al di fuori della prospettiva delineata dal concetto di creazione, perché verrebbe meno la stessa consistenza ontologica del presunto essere pensato al di fuori della prospettiva creazionista. È quanto afferma, tra l’altro, al capitolo 12 della prima sezione della prima Oratio

pro hesychastis scrivendo: «tutto ciò che non viene da Dio, non è un essere»36. Per comprendere il concetto di creazione che troviamo nella riflessione di Gregorio Palamas pensiamo sia utile partire dal testo biblico. La Scrittura veterotestamentaria che Gregorio Palamas legge non è nella versione geronimiana della Vulgata (la cosiddetta Vetus latina), che riporta la celebre dicitura di «creatio ex nihilo» in II Mc 7:28, ma è la traduzione greca della Septuaginta, il

35 «Ἐνταῦθα μὲν οὖν ὑπὲρ τὰ ὄντα τὰς προνοητικὰς τοῦ θεοῦ δυνάμεις ὑπαρχούσας ἔδειξε, τουτέστιν ἀκτίστους· τούτων γάρ φησι τὰ ὅντα μετέχοντα ὄντα ἐστίν. Ἀλλὰ καὶ τούτων αἴτιον ἔφη τὸν ὑπεράρχιον καὶ ὑπερούσιον. Ἐν δὲ τῷ δωδεκάτῳ κεφαλάιῳ τῶν Θεωνυμιῶν "αὐτομετοχὰς" τὰς δυνάμεις ταύτας ὀνομάσας, "πάντων τῶν μετεχόντων ὑπερέχειν" αὐτάς φησι, δηλονότι πάντων τῶν κτιστῶν· οὐδὲν γὰρ πλὴν θεοῦ, ὃ μὴ μετοχὴ τὸ εἶναι ἔχει. Ἀλλ'"ὑπερίδρυται" πάλιν, φησί, "πάντων καὶ τῶν μετεχόντων καὶ τῶν μετοχῶν ὁ ἀμέθεκτος αἴτιος"· πάντως ὡς αἴτιος, εἰ καὶ διαφόρως αἴτιος»: GREGORIO PALAMAS, Ὅτι Βαρλαάμ καὶ Ακινδύνος εἰσὶν οἱ διχοτομούντες κακῶς ὄντως καὶ ἄθεως εἰς δύο ἀνίσους θεότητας τὴν μίαν 8, in: Perr. I, p. 1328-1330.

36 «πᾶν δ'ὃ μὴ θεόθεν, οὐκ ὄν»: GREGORIO PALAMAS, Orationes pro hesychastis 1: 1, 12; in: Perr.

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cui testo recita: «οὐκ ἐξ ὄντων ἐποίησεν αὐτὰ ὁ θεός»37, recepito nella Nova

Vulgata del Concilio Vaticano II come: «non ex his, quae erant, fecit illa Deus»38. Il significato primario di questa espressione biblica, sostenuto nelle esegesi patristiche39, è che prima della creazione del cosmo da parte di Dio non esistesse niente di simile dal punto di vista ontologico: la materia è esistita infatti a partire dall’atto di creazione. Alcuni teologi, anche tra le fonti di Gregorio Palamas, interpretano il concetto di creazione “non dagli esseri” in maniera più estesa: è il caso di Massimo il Confessore, il quale sostiene che gli esseri esistono eternamente nella prescienza divina come λόγοι increati40. L’espressione «non dagli esseri», vale a dire la concezione della creatio ex nihilo, non potrebbe essere riferita al paradigma ontologico della filosofia greca pre-cristiana, poiché implica in maniera evidente che l’essere è ex nihilo, ovvero non proviene dall’essere: è dunque spezzata la necessità ontologica posta a fondamento della cosmogonia. Il modello ontologico pre-cristiano, che considera l’essere come proveniente dall’essere e non ex nihilo, pensa a partire dal presupposto ontologico dell’eternità della materia ed è fatto oggetto di critica da Gregorio Palamas, come al capitolo

37 La terminologia di Gregorio Palamas testimonia per intero la lettura del testo biblico con

l’espressione «οὐκ ἐξ ὄντων», talvolta nella variante adattata da Palamas di «μὴ ὄντων »; cf.

Orationes pro hesychastis 1: 1, 11, in: Perr. I, p. 300; Orationes apodictice de processione Spiritus sancti 1: 13 e 1:30, in: Perr. I, p. 40 e p. 78.

38 Possiamo rendere in italiano la versione della Septuaginta e della Nova Vulgata: «non dagli enti

[ovvero dalle cose che sono, N.d.T.], Dio creò queste cose»; mentre la Vetus Latina: «dal nulla Dio fece quelle cose». Il versetto intero recita, nella versione dei Settanta: «ἀξιῶ σε τέκνον ἀναβλέψαντα εἰς τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν καὶ τὰ ἐν αὐτοῖς πάντα ἰδόντα γνῶναι ὅτι οὐκ ἐξ ὄντων ἐποίησεν αὐτὰ ὁ θεός καὶ τὸ τῶν ἀνθρώπων γένος οὕτω γίνεται»: Τὰ Ἱερὰ Γράμματα, Athina (Bibliki Etairia) 1997; nella Vetus Latina (Stuttgartensia): «Peto nate aspicias in caelum et terram et ad omnia quae in eis sunt et intellegas quia ex nihilo fecit illa Deus et hominum genus»; nella

Nova Vulgata: «Peto, nate, ut aspicias ad caelum et terram et quae in ipsis sunt, universa videns

intellegas quia non ex his, quae erant, fecit illa Deus; et hominum genus ita fit».

Stavros Yiagazoglou sottolinea la differenza concettuale fra l’espressione “ex nihilo” e quella greca di “οὐκ ἐξ ὄντων”, cf. S.YIAGAZOGLOU, Κοινωνία θεώσεως, cit., p. 42 ss.

39 Cf. BASILIO DI CESAREA, Homiliae in Hexaemeron 9, 2, 33 A2 – 33 B3, in: S.GIET (cur.), Basile

de Césarée. Homélies sur l’hexaéméron, cit., p. 148.

40 Cf. J. MEYENDORFF, La teologia bizantina, Genova (Marietti) 1999, p. 163. Ioannis Zizioulas

legge anche Tommaso d’Aquino come un autore che ha interpretato il “nihil” che precede la creazione «più o meno come una sorgente da cui la creazione potesse scaturire»: cf. I. ZIZIOULAS,

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11 della prima Oratio pro hesychastis, in cui, riprendendo Gr 10:11, Palamas scrive: «E affinché mi esprima un po’ al modo del Profeta dico: “gli dei che il cielo e la terra” dal non essere “non fecero, scompaiano” e con loro quanti li considerano dei»41. Ancora nella seconda Oratio pro hesychastis, egli contrappone la cosmogonia greca a quella cristiana:

Anche i sapienti greci, intendendo che nessuna delle cose che periscono passa fra quelle che non sono, e che nessuna di quelle che si generano viene da ciò che non è, opinarono che il mondo sia ingenerato e senza termine. Ma la fede, superando i modi d’intendere che provengono dalla contemplazione delle creature, ci ha uniti alla parola elevata al di sopra di tutto e alla verità non artefatta e semplice, e così abbiamo inteso, meglio che secondo l’apodissi, che tutte le cose sono state prodotte non solo non dagli esseri, ma anche solo con una parola pronunciata da Dio.42

Il nihil del paradigma creazionista è una sorta di iato che introduce l’alterità ontologica fra Dio, agente dell’attività creatrice, e la sua creazione. L’elemento di negazione dell’essere che troviamo nel Genesi implica dunque lo iato ontologico fra il Creatore e il creato, quindi permette anche di dare una fondazione ontologica dell’alterità fra Dio e la sua creazione e implica la libertà creatrice di Dio da qualunque necessità materiale precostituita43.