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a I concetti di essenza e natura nel pensiero patristico greco

Gregorio Palamas sviluppa la sua ontologia soprattutto in contesti di teologia trinitaria e nell’orizzonte del pensiero post-niceno sviluppato soprattutto dai Padri della Cappadocia. L’interesse di Gregorio Palamas per questo ambito della speculazione teologica è legato alle controversie sul Filioque che si svilupparono in seno alla Chiesa bizantina nel XIV secolo e nella cui temperie furono redatte le due Orationes de processione Spiritus sancti, fra il 1335 e il 1336, a seguito dell’arrivo di una delegazione latina a Coastantinopoli per discutere l’unione delle Chiese. Come abbiamo ricordato nell’introduzione, l’imperatore Andronico III Paleologo incaricò il monaco erudito Barlaam, originario di Seminara in Calabria, di redigere uno scritto confessionale sulla posizione bizantina in merito al

Filioque, destinato alla discussione con i delegati latini. Gregorio Palamas

intervenne nel dibattito sostenendo che mediante l’impiego di sillogismi apodittici è possibile dimostrare la correttezza della posizione bizantina sulla processione dello Spirito santo, perché, per quanto incomprensibile, il Dio trinitario si è rivelato mediante le Scritture e la tradizione della Chiesa. I sillogismi apodittici di Gregorio Palamas sono costruiti a partire dalle sentenze patristiche, riportando così al centro del dibattito la teologia post-nicena, come si vede dalle numerose citazioni dei Padri contenute nelle due Orationes.

Uno dei riferimenti principali di Gregorio Palamas è la teologia trinitaria elaborata tra il Concilio ecumenico di Nicea del 325 a quello di Costantinopoli del 381. Non è infatti un caso che spesso egli legga la teologia dei suoi avversari polemici come un esempio di neoarianesimo o, in altri casi, di neosabellianesimo. Pensiamo che per comprendere pienamente l’ontologia di Gregorio Palamas si debba far riferimento alle sue fonti patristiche e, in particolare, alle novità speculative introdotte dai Padri cappadoci1.

1 Cf. I.ZIZIOULAS,Comunione e alterità, cit., pp. 178-203 e L’essere ecclesiale, Bose (Qiqajon)

2007, p. 33; E. S. MAINDOLDI, La ricezione della rivoluzione ontologica dei Padri cappadoci. La triadologia dello pseudo-Dionigi Areopagita e i suoi obiettivi, in: C. MORESCHINI (cur.), Trinità in

relazione. Percorsi di ontologia trinitaria dai Padri della Chiesa all’Idealismo tedesco, Panzano

in Chianti (Feeria) 2015, pp. 167 – 178; C. MORESCHINI, I Padri cappadoci. Storia, letteratura,

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In primo luogo, possiamo dire che il valore teoretico dei concetti di οὐσία e φύσις in rapporto a quello di ὑπόστασις nella teologia patristica e bizantina si configura come rivoluzionario e dirompente rispetto alla tradizione filosofica classica e tardo-antica. Nell’orizzonte platonico un concetto di ipostasi o persona come quello che si è affermato nel contesto cristiano è diffilmente pensabile perché ne mancano le premesse ontologiche: ad esempio, se si guarda l’antropologia e la psicologia platoniche dal punto di vista della metempsicosi, l’anima, pur pensata come eterna, si unisce a corpi successivi costituendo ipostasi successive l’una all’altra2. Allo stesso modo, nel pensiero aristotelico l’impossibilità filosofica del concetto cristiano di ipostasi o persona è determinata dalle ragioni opposte: anche se l’anima è intesa come legata a un corpo concreto, si può parlare di ipostasi solo fin tanto che sussiste il sinolo di materia e forma, corpo e anima: alla sua dissoluzione, si dissolve anche l’ipostasi.

La speculazione ontologica e logica dei Padri cappadoci nel IV secolo ha dunque configurato una vera e propria rivoluzione filosofica se confrontata con i pensatori classici e tardo-antichi. Pensiamo che tale rivoluzione sia proseguita oltre i Cappadoci soprattutto con autori come lo Pseudo-Dionigi Areopagita, Leonzio di Bisanzio, Massimo il Confessore e Giovanni Damasceno. Lungo i cinque secoli che li hanno uniti, questi pensatori hanno elaborato un vero e proprio paradigma teoretico con delle precise coordinate logiche e ontologiche, che risulterebbero inconsuete, se non inapplicabili, qualora fossero traslate al di fuori della tradizione speculativa cristiana. In particolare, a partire dai Padri cappadoci si verifica una profonda revisione dell’ontologia a partire dal pensiero aristotelico per elaborare il nuovo paradigma servendosi di alcune linee di pensiero inaugurate proprio da Aristotele. In questa sede non prenderemo in considerazione in maniera dettagliata la riflessione di Leonzio di Bisanzio, perché esula dalle fonti dirette di Gregorio Palamas: il monaco del VI secolo non è infatti mai citato dal teologo esicasta.

2 Il modello ontologico platonico vede un nuovo corso nella filosofia bizantina con Giorgio

Gemisto Pletone almeno a partire dal 1393, anno di fondazione della scuola di Mistrà. Sul pensiero di Giorgio Gemisto Pletone e sul ruolo del platonismo nella storia della filosofia e della teologia bizantine si veda: V. HLADKY, The Philosophy of Gemistos Plethon: Platonism in Late Byzantium,

between Hellenism and Orthodoxy, Farnham – Burlington VT (Ashgate) 2014; N.SINIOSSOGLOU,

Radical Platonism in Byzantium. Illumination and Utopia in Gemistos Plethon, Cambridge

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Faremo però talvolta alcuni riferimenti a Leonzio lì dove la trattazione lo richiederà in riferimento agli altri Padri della Chiesa, vista la sua importanza nella definizione del paradigma ontologico e logico della teologia greca, come dimostrato anche dal recente volume di Benjamin Gleede3.

I concetti di essenza (οὐσία) e natura (φύσις) si configurano come concetti equivalenti nel lessico ontologico di Gregorio Palamas, sebbene in alcuni casi il teologo esicasta tende a fornire una distinzione sulla base di sfumature concettuali che diversificano i due termini. Il concetto di “οὐσία” denota infatti l’ambito del “τί ἦν εἶναι” aristotelico4, ovvero “ciò per cui una cosa è quello che è” in termini generali, configurandosi come una controparte astratta dell’essere concreto. Il termine “φύσις” corrisponde invece all’οὐσία nell’ambito della sua ipostatizzazione, in altri termini il concetto di natura si riferisce all’essenza in quanto ipostatizzata, ma non all’ipostasi, piuttosto alle sue condizioni ontologiche generali5. Ad ogni modo, nel nostro studio ci atterremo al termine che di volta in volta gli autori citati utilizzano nel testo originale, così da rendere in maniera fedele l’uso che dei due termini fanno gli autori di riferimento. A partire dalla ripresa del dibattito sul Filioque nella metà degli anni Trenta del XIV secolo, le opere di Gregorio Palamas testimoniano di un ressourcement verso i Padri cappadoci e la teologia post-nicena in generale, con particolare riferimento ad Atanasio e Cirillo di Alessandria. Le fonti patristiche di Gregorio Palamas non si esauriscono però con la teologia patristica post-nicena; in tutto il corpus delle sue opere ricorrono riferimenti e citazioni patrististiche (non solo post-nicene) e dei teologi bizantini. Se prendiamo in considerazione la sola patristica, vediamo che è grande il numero di Padri che il teologo esicasta cita, soprattutto per quanto riguarda la patristica greca; quella latina è infatti presente in parte minore, con

3 B. GLEEDE, The development of the term ἐνυπόστατος from Origen to John of Damascus,

Leiden-Boston (Brill) 2012.

4 ARISTOTELE, Metaphysica. 6, 1025 B 29, in: G.REALE (cur.), Aristotele. Metafisica, Milano

(Rusconi) 1993.

5 Come ha mostrato in maniera dettagliata Ioannis Zizioulas, nel paradigma ontologico elaborato

dai Padri greci e adottato da Gregorio Palamas, in cui è di importanza fondamentale la distinzione dei piani ontologici, i concetti di οὐσία e φύσις indicano entrambi il piano ontologico di riferimento di un’ipostasi. Cf. I.ZIZIOULAS, Comunione e alterità, cit., pp. 208-214.

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pochi riferimenti ad Agostino di Ippona6 e uno a Gregorio Magno7. In questa breve ricognizione prenderemo in esame come fonti della dottrina palamita Atanasio e Cirillo di Alessandria, lo Pseudo-Dionigi Areopagita, Massimo il Confessore e Giovanni Damasceno.