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Un punto importante del pensiero di Gregorio Palamas sulla creazione è quello secondo cui il cosmo non è opera della natura (φύσις, οὐσία) divina, ma della volontà (θέλησις). Come ha indicato Stavros Yiagazoglou44, se la creazione fosse opera della natura divina, secondo i presupposti della dottrina palamita e secondo

41 « Καὶ ἵνα κατὰ τὸ προφητικὸν μικρὸν προσθεὶς εἴπω, «θεοὶ οἳ τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν» ἐκ μὴ

ὄντων «οὐκ ἐποίησαν ἀπολέσθωσαν» καὶ πρὸς τούτοις οἱ τούτους θεολογήσαντες»: GREGORIO

PALAMAS, Orationes pro hesychastis 1: 1, 11; in: Perr. I, p. 300.

42 «Ταῦτ᾿ ἄρα καὶ οἱ σοφοὶ τῶν Ἑλλήνων, κατανοοήσαντες ὡς μεταχωρεῖ τὸ μὴ ὄν τῶν

φθειρομένων οὐδὲν, γίνεταί τε ἐκ μὴ ὄντος τῶν γινομένων οὐδέν, ἀγένητον καὶ ἀτελεύτητον τὸν κόσμον ἐδόξασαν. Ἀλλ᾿ ὑπεραναβάσα ἡ πίστις τὰς ἀπὸ τῆς τῶν κτισμάτων θεωρίας ἐγγινομένας ἐννοίας ἥνωσεν ἡμᾶς τῷ πάντων ὑπερανῳκισμένῳ λόγῳ καὶ τῇ ἀκατασκεύῳ καὶ ἁπλῇ ἀληθείᾳ καὶ κατενοήσαμεν κρεῖττον ἤ κατὰ ἀπόδειξιν, ὡς οὐ μόνον ἐκ μὴ ὄντων ἀλλὰ καὶ μόνῳ ρήματι Θεοῦ ἅπαντα παρήχθη»: GREGORIO PALAMAS, Orationes pro hesychastis 2, 3, 42; in: Perr. I, p. 696.

43 Cf. I ZIZIOULAS, Comunione e alterità, cit.

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quanto sostiene lo stesso Gregorio Palamas, il creato e Dio si troverebbero in una comunione di natura, quindi in una situazione di indifferenziazione per cui il creato stesso sarebbe di natura divina. Una tale posizione produrrebbe una situazione di confusione ontologica impensabile per Palamas, se non proprio degli esiti panteistici. Il teologo esicasta afferma chiaramente l’assurdità di una tale posizione al capitolo 96 dei Capita CL, riprendendo il capitolo 18 del Thesaurus di Cirillo, in cui il Padre alessandrino pone la distinzione fra essenza e attività in Dio e sostiene che la generazione è propria dell’essenza, mentre il creare è proprio dell’attività. Ecco dunque che sia l’omoessenzialità del Padre e del Figlio sia l’alterità ontologica fra Dio e creazione vengono a dipendere dalla fondamentale distinzione fra essenza e attività.

Sostenere che la creazione dipende dall’attività divina come fa Gregorio Palamas nei Capita CL sulla base di Cirillo di Alessandria significa, in altri termini, che la creazione dipende dalla potenza demiurgica poiché l’attività è l’attuazione di una potenza naturale, secondo i termini che la tradizione filosofica ha fissato almeno fin da Aristotele e che sono stati ripresi in maniera coerente dalla patristica greca e dallo stesso Gregorio Palamas, come vedremo in seguito. Questo però non comporta che l’effetto compiuto dell’attività divina sia della stessa natura di Dio, anzi per Gregorio Palamas l’attività divina pertiene all’ambito dell’alterità ontologica. Abbiamo infatti visto come già a partire dai Padri cappadoci l’essenza divina è sempre intesa come assolutamente impartecipata e irrelata rispetto al cosmo creato. Come Palamas ribadisce in molti luoghi della sua opera, non c’è alcuna comunione ontologica fra Dio e il cosmo creato; si può considerare a questo proposito il capitolo 24 della sezione sezione della terza Oratio pro

hesychastis45.

L’alterità ontologica fra il Dio creatore e le sue creature implica una limitazione del discorso ontologico al piano del creato, mentre anche qualora si parli di Dio in termini ontologici lo si fa sempre con la coscienza dell’inadeguatezza del discorso ontologico ad approcciare una materia che lo eccede e che esige piuttosto una prospettiva iper-ontologica e meontologica. Gregorio Palamas è cosciente di queste distinzioni e conosce la tradizione teologica patristica che si è interrogata

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sulla natura e le possibilità del linguaggio46. All’ottantesimo dei Capita CL egli impiega una citazione composita dall’Expositio fidei di Giovanni Damasceno secondo cui delle cose che si affermano intorno a Dio ve ne sono di dicibili e di indicibili, di conoscibili e di inconoscibili, per poi continuare:

[…] sappiamo che anche quelle fra le cose divine che si riescono a dire sono al di sopra della parola, in quanto anche queste sono secondo una parola che è al di sopra dell’essere; non sono infatti fuori della parola per deficienza, ma sono al di fuori di quella che per noi è la parola, quel criterio che si trova nella nostra interioritὰ e che noi produciamo nell’ascolto degli altri. Infatti né l’uno potrebbe spiegarli per interpretazione, né l’altro potrebbe raggiungerli da sé con l’indagine. Quindi non dobbiamo ricorrere a noi stessi per dire alcunché su Dio, ma dobbiamo rivolgere noi stessi verso coloro che dicono le cose dello Spirito nello Spirito, anche quando gli oppositori chiedano una parola.47

46 La riflessione sulla natura del linguaggio attraversa tutta la patristica greca. Si può pensare

all’incipit delle omelie di Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo, in cui la parola scritta viene considerata un male minore a cui ricorrere per una sorta di coazione ontologica dovuta alla corruzione progressiva della purezza dell’intelletto (νοῦς) umano, che era però più integra presso gli antichi patriarchi di Israele, i quali comunicavano con Dio senza la mediazione del linguaggio scritto: cf. Giovanni Crisostomo, In Matthaeum homiliae, 1: 1; per l’edizione critica del testo greco si veda: FREDERICK FIELD (cur.), John Chrysostom. Homilies on the Gospel of Matthew,

Cambridge 1839, 3 voll. Si tratta di un tema ben presente anche nella teologia cappadoce: nel trattato Contro Eunomio, Gregorio di Nissa sostiene che il linguaggio appartiene al piano ontologico del creato e che l’essere umano ne è pienamente artefice: Gregorio di Nissa, Contra

Eunomium II, in: W.JAEGER (cur.), Gregorii Nysseni Opera vol. I, 30S, Leiden (Brill) 1960. Sulla riflessione di Gregorio di Nissa in materia del linguaggio e sul rapporto fra questa speculazione patristica e la filosofia del linguaggio, si veda la voce Filosofia del linguaggio di Marcello La Matina in: L.F.MATEO-SECO –G.MASPERO (cur.), Gregorio di Nissa. Dizionario, Roma (Città Nuova) 2007, pp. 289-295; si veda anche: G.ARABATZIS, Limites du langage, limites du monde.

Dans le Contre Eunome II de Grégoire de Nysse, in : L. KARFIKOVÁ – S. DOUGLASS – J. ZACHHUBER, Gregory of Nyssa : Contra Eunomium II. An English Version with Supporting

Studies – Proceedings of the 10th International Colloquium on Gregory of Nyssa (Olomus, September 15-18, 2004), Leiden-Boston (Brill) 2007, pp. 377-386.

47 «ὑπὲρ λόγον δ' ἴσμεν καὶ ὅσα λέγειν ἐφεῖται τῶν θείων, ὡς καὶ ταῦτα καθ' ὑπερέχοντα λόγον· οὐ

γὰρ ἔξω λόγου κατ'ἔλλειψιν, ἀλλ'ἐκτος λόγου τοῦ καθ'ἡμᾶς, ὅν θ' ἡμῖν αὐτοῖς ἐνδιαιτώμενον ἔχομεν καὶ ὃν παρ' ἡμῶν αὐτῶν εἰς ἀκοὴν ἑτέρων προάγομεν. οὔτε γὰρ οὖτος ἑρμηεύων παραστῆσαι δύναιτ'ἄν, οὔτ'ἐκεῖνος πολυπραγμονῶν οἴκοθεν ἐφίκοιτ' ἄν. οὐκ ἄρ' ἡμῖν αὐτοῖς ἐπιστρεπτέον πρὸς τοὺς ἐν πνεύματι τὰ τοῦ πνεύματος λαλοῦντας, καὶ ὅταν ἀπαιτῶσι λόγον οἱ ἀντικείμενοι»: GREGORIO PALAMAS, Capita CL 80, in: Sinck., pp. 174-176.

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L’inadeguatezza ontologica del linguaggio a esprimere la divinità è spiegata da Gregorio Palamas nei termini dell’eccedenza divina dai limiti di cui l’intelletto creato necessita per comprenderlo, mentre il divino è «eccesso della differenza» (τὸ τῆς διαφορᾶς ὑπερβάλλον)48. Viene dunque posta l’alterità ontologica di Dio rispetto alla creazione, che è un altro tema che, come abbiamo avuto modo di vedere, Gregorio Palamas eredita dalla teologia patristica post-nicena. Sul tema dell’alterità ontologica fra Dio e la creazione, consideriamo la parte conclusiva del capitolo settantanovesimo dei Capita CL, in cui Palamas, dopo aver sostenuto che le nature intellettive (αἱ νοεραὶ φύσεις) sono quelle più vicine a Dio, afferma che, allo stesso tempo, un’alterità ontologica abissale le allontana da Dio:

Quando le creature sono confrontate l’una all’altra si dicono familiari o estranee a Dio secondo natura. Ma queste in sé e secondo natura sono tutte estranee a Dio.49

Per Gregorio Palamas si danno dunque vari livelli di alterità ontologica, anche fra gli esseri creati, ma la prima e fondamentale differenza ontologica è quella che separa Dio dalle sue creature. Per quanto riguarda la creazione cosmica, la differenza è denunciata dal nihil originario: il vuoto iniziale è come un segno originario dell’ontologia della creazione cosmica50.

L’alterità ontologica fra creato e increato si dà in primo luogo in relazione alla causa divina dell’essere, che, come si può notare, è qualificata anch’essa come essere sommo, in maniera paradossale perché parliamo di una sommità ontologica tale da rovesciarsi nel non-essere iperusiologico. L’essere è dunque creato da Dio, causa somma, mediante la partecipazione alle potenze increate quindi alle operazioni che scaturiscono dall’essere iperontologico di Dio, creatrici e provvidenziali. La fonte di questa dottrina della causalità è il capitolo dodicesimo dei Nomi divini dello Pseudo-Dionigi Areopagita, come Palamas dichiara in maniera esplicita. Rimandiamo al capitolo successivo la discussione dei concetti

48 GREGORIO PALAMAS, Orationes pro hesychastis 2, 1, 33; in: Perr. I, p. 530.

49 «πρὸς ἄλληλα τοίνυν τὰ κτίσματα συγκρινόμενα, οἰκεῖα θεῷ κατὰ φύσιν ἢ ξένα λέγεται· αὐτὰ

δὲ καθ'αὑτὰ κατὰ φύσιν ἅπαντα ξένα ἐστὶ θεοῦ»: GREGORIO PALAMAS, Capita CL 79, in: Sinck., p. 174.

50 Per indicare l’alterità ontologica fra Dio e la creazione Massimo il Confessore parla di «χάσμα»,

abisso: cf. Massimo il Confessore, Ambigua 41, in: M.CONSTAS (cur.), Maximos the Confessor. On Difficulties in the Church Fathers. The Ambigua, cit., vol. I, p. 102.

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di potenza (δύναμις) e attività o operazione (ἐνέργεια); per ora basti soffermarci sul concetto di creazione e sull’ontologia che esso implica, vale a dire quella di un essere creato che è causato dall’Essere sommo increato per partecipazione alle attività increate.

A partire dalla distinzione fra il piano dell’increato e quello del creato, il concetto di creazione ha delle notevoli implicazioni ontologiche che è bene richiamare, pur sinteticamente, al fine di poter comprendere pienamente il senso della prospettiva ontologica di Gregorio Palamas e il portato dei concetti di essenza e natura. Come la maggior parte del bagaglio concettuale della teologia patristica e bizantina, anche il concetto di creazione è stato pensato in contesti polemici, soprattutto nel confronto dei Padri della Chiesa e dei teologi bizantini con prospettive cosmogoniche platonizzanti. Alcuni esempi a cui si può pensare sono: la condanna di Origene e degli origenisti nel V concilio ecumenico del 553 (che costituì un precedente canonico fondamentale per le dispute dei teologi bizantini contro il platonismo), e il sinodo di Costantinopoli del 1082 che si pronunciò contro Giovanni Italo, in parte sulla base dei precedenti canonici del 553.

L’implicazione ontologica fondamentale del concetto patristico di creazione, secondo cui il creato ha lo spazio-tempo come proprie coordinate ontologiche, viene ripreso dallo stesso Gregorio Palamas, proprio all’inizio dei suoi Capita CL, a mo’ di introduzione per i successivi capitoli cosmologici e per la vasta trattazione sintetica costituita dai Capita. Così scrive Palamas:

Che il mondo abbia avuto un principio sia lo insegna la natura sia ne fa fede la storia, e lo affermano in maniera chiara evidente la scoperta delle arti, le disposizioni delle leggi e gli usi dei governi. Infatti conosciamo gli inventori di quasi tutte le arti, coloro che hanno proposto le leggi e coloro che in principio si sono serviti dei governi. Inoltre non vediamo nessuno di quelli che hanno scritto fin dal principio attorno a qualsiasi argomento va più in là della genesi del mondo e del tempo che fu narrata da Mosè. […] Dal momento che la natura di questo mondo ha sempre bisogno di un principio per ciascuna cosa, e senza questo non può nemmeno sussistere, abbiamo la prova, in questi fatti, di un principio primordiale non derivato e esistente di per sé.51

51 « Ἦρχθαι τὸν κόσμον καὶ ἡ φύσις διδάσκει καὶ ἡ ἱστορία πιστοῦται, καὶ τῶν τεχνῶν αἱ εὑρέσεις καὶ τῶν νόμων αἱ θέσεις καὶ τῶν πολιτειῶν αἱ χρήσεις ἐναργῶς παριστᾶσι· σχεδὸν γὰρ τεχνῶν ἁπασῶν ἴσμεν τοὺς εὑρετὰς καὶ τοὺς νομοθέτας τῶν νόμων καὶ τοὺς τὴν ἀρχὴν κεχρημένους ταῖς πολιτεῖαις. ἔτι γε μὴν καὶ τῶν συγγραψαμένων περὶ ὁτουδήποτε τὴν ἀρχὴν ἁπάντων, καὶ οὐδένα τούτων ὁρῶμεν ὑπερβαίνοντα τὴν τοῦ κόσμου καὶ τοῦ χρόνου γένεσιν, ἣν ἱστόρησεν ὁ Μωϋσῆς [...]. ἐπεὶ καὶ ἡτοῦ κόσμου τούτου φύσις ἀεὶ προσφάτου τῆς καθ'ἔκαστον ἀρχῆς δεομένη καὶ χωρὶς

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Che il mondo non solo abbia avuto principio, ma anche [avrà] fine, lo prova la sua natura nelle cose contingenti, in quanto esso continuamente finisce in parte. Fede sicura e incontrovertibile ne dà la profezia sia degli altri ispirati, sia di Cristo, Dio sopra tutte le cose […].52

I brani che abbiamo appena citato indicano la dimensione spazio-temporale come la caratteristica principale del creato e la conseguenza primaria dell’atto di creazione, dal momento che Palamas afferma come legge universale del creato che lì dove si è avuto un principio, si avrà anche una fine. Il teologo esicasta sostiene l’autoevidenza della creazione, tanto che si può cogliere in maniera deduttiva la temporalità come struttura ontologica intrinseca al creato, anche prescindendo dalle rivelazioni sul principio e la fine. Sia nel primo che nel secondo brano, infatti, Palamas sembra suggerire che qualora si mettessero fra parentesi il racconto del Genesi e le profezie apocalittiche, la creazione come tale sarebbe autoevidente perché la sua stessa struttura, che si palesa in ogni realtà, anche la più piccola e insignificante, denuncia la temporalità. Si tratta di una caratteristica fondamentale dell’essenza e della natura create: dal punto di vista ontologico, ossia per l’essenza di cui partecipa, ogni ipostasi creata è determinata da un principio che è già l’annuncio della sua estinzione. Come ha notato Ioannis Zizioulas, con grande efficacia sintetica: «La struttura spazio-temporale dell’universo è avvertita da ogni cosa e da ognuno nel mondo come il mezzo attraverso cui gli esseri acquistano il loro essere e allo stesso tempo il loro non- essere»53. Il tempo e lo spazio sono dunque le coordinate esistenziali di ogni ipostasi creata, implicate dall’ontologia creazionista; quindi proprio in virtù dello spazio e del tempo il creato si differenzia dall’increato ed è così confermata l’alterità ontologica fondamentale implicata dal concetto di creazione.