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b) Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con la riforma Fornero

Nel documento Il controllo giudiziale sui licenziamenti (pagine 93-98)

La legge di riforma del mercato del lavoro ha apportato molte novità in materia di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.

È bene precisare subito che le modifiche non attengono alla nozione di "giustificato motivo oggettivo", che resta invariata e continua a essere regolata dall'articolo 3 della legge n. 604/1966. In base a questa norma, il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento.

208 Cass., 20 maggio 2009, n. 11720, in Giust. civ. Mass., 2009, 5, 798; Cass., 3 agosto 1998, n. 7620, in Notiziario giur. lav., 1998, 725.

L'obbligo di motivazione

Secondo la disciplina pre-riforma il datore di lavoro non aveva l'obbligo di indicare la motivazione nella lettera di licenziamento (anche se, in verità, questa disposizione aveva da tempo assunto un valore molto residuale, in quanto integrata dai contratti collettivi nazionali di categoria), ma il lavoratore poteva chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, i motivi che avevano determinato il recesso. In tal caso, il datore di lavoro doveva, nei 7 giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto. La nuova formulazione dell'articolo 2, comma II, della legge n. 604/1966 prevede ora, a pena di inefficacia, che la comunicazione del licenziamento debba contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato, non essendo più possibile comunicarli in un momento successivo. Il termine per il ricorso al giudice del lavoro

Il termine di decadenza per il deposito del ricorso giudiziale di impugnazione del licenziamento, ovvero per la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o 'arbitrato (previsto dall'articolo 6 della legge n. 604/1966, come modificato dallan. 183/2010), viene ridotto da 270 a 180 giorni, decorrenti dall'impugnazione stragiudiziale del licenziamento che deve essere fatta per iscritto entro 60 giorni dall'intimazione.

La procedura di conciliazione preventiva

Viene introdotta una procedura preventiva di conciliazione obbligatoria per i datori di lavoro. Ai sensi del nuovo articolo 7 della legge n. 604/1966, prima di procedere al licenziamento, il datore di lavoro che abbia i requisiti dimensionali prescritti per l'applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva 6 nell'ambito comunale o più di 60 nell'ambito nazionale) deve inoltrare una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il dipendente presta la sua opera. La comunicazione deve essere trasmessa per conoscenza anche al lavoratore210.

210 La Direzione territoriale convoca il datore di lavoro e il lavoratore nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta. L'incontro si svolge dinanzi alla Commissio ne di conciliazione prevista dall'articolo 410 del Codice di procedura civile. La comunicazione

Nella comunicazione il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento e indicarne i motivi, nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del dipendente (la cosiddetta "exit package")211.

Per ovviare al rischio che gli effetti del provvedimento rimangano temporaneamente sospesi a causa della malattia del lavoratore, la riforma prevede che il licenziamento intimato all'esito della procedura produca effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, salvo il diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato. È fatto salvo, in ogni caso, l'effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e paternità e quello derivante da infortunio occorso sul lavoro. Si tratta degli unici casi in cui l'assenza continua a produrre un effetto sospensivo sul licenziamento.

contenente l'invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio che il lavoratore ha indicato nel contratto di lavoro od altro domicilio formalmente comunicato, ovvero è consegnata al dipendente che ne sottoscrive copia per ricevuta. Davanti alla Commissione di conciliazione le parti possono farsi assistere da rappresentanti sindacali, avvocati o consulenti del lavoro. La procedura deve concludersi entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione, fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. La riforma prevede, altresì, che in caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro, la procedura possa essere sospesa per un massimo di 15 giorni. Se il tentativo di conciliazione fallisce viene redatto un verbale negativo e il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. È previsto che il giudice tenga conto del comportamento complessivo delle parti ai fini della determinazione dell'indennità risarcitoria prevista dal nuovo articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nonché ai fini delle spese del giudizio, nell'ipotesi in cui dovesse ritenere illegittimo il licenziamento. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore (in deroga alla disciplina ordinaria) avrà diritto alla nuova Aspi (la prestazione sostitutiva dell'indennità di disoccupazione). Si tratta di un meccanismo che, almeno nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe incentivare le parti verso la soluzione conciliativa preventiva, con conseguente auspicata diminuzione del contenzioso giudiziale.

211 La procedura di conciliazione costituisce (per i datori di lavoro che hanno i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) condizione di "procedibilità" ai fini dell'intimazione del licenziamento.

Si può quindi affermare che surrettiziamente la riforma modificando le sanzioni e reintroducendo il tentativo obbligatorio di conciliazione limita il sindacato del giudice col risultato che il licenziamento sarà meno controllato.

Le tutele contro il licenziamento illegittimo (per g.m.o.)

Cambia profondamente il sistema delle tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, con la sostituzione dei commi dal primo al sesto dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Prima della riforma, nell'ipotesi in cui il giudice accertava l'illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (economico) intimato da un datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupava più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva o nell'ambito comunale o più di 60 a livello nazionale, ordinava il reintegro del lavoratore e condannava il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal dipendente stabilendo una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettivo reintegro e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; in: ogni caso la misura minima del risarcimento non poteva essere inferiore a 5 mensilità.

Dopo la riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, nel caso in cui il giudice accerti la illegittimità del licenziamento, qualora il datore di lavoro rientri nei requisiti dimensionali previsti, si possono verificare le seguenti ipotesi, che danno luogo a differenti regimi di tutela e/o sanzionatori.

Se il licenziamento è dichiarato illegittimo per mancata indicazione dei motivi nella lettera di recesso, ovvero per violazione della procedura di conciliazione preventiva introdotta dalla riforma, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione al riguardo. Ma se il giudice accerta, sulla base della domanda del lavoratore, che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento applica, in luogo del regime summenzionato, le tutele previste ai successivi punti (articolo 18, comma 6, Statuto dei Lavoratori).

Nelle ipotesi in cui il giudice accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'atti vità economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione al riguardo (articolo 18, comma 7, Statuto dei Lavoratori).

Tuttavia, se viene accertata la "manifesta insussistenza" del fatto posto a base del licenziamento, il giudice può annullarlo e condannare il datore di lavoro al reintegro nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il dipendente ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi legali, ma senza applicazioni di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione e per un importo pari al differenziale esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. Resta salvo il diritto del lavoratore di optare per l'indennità sostitutiva della reintegrazione (articolo 18, comma 7, Statuto dei Lavoratori).

Il medesimo regime trova applicazione ai casi in cui il giudice accerti l'infondatezza delle ragioni poste a fondamento del licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore ovvero perché il licenziamento è stato intimato durante il periodo di comporto (articolo 18, comma 7, Statuto dei Lavoratori). Infine, qualora nel corso del giudizio di

impugnazione di un licenziamento formalmente motivato come economico, il giudice accerti che è stato in realtà determinato da ragioni discriminatorie, ovvero da un motivo illecito determinante, trova applicazione la relativa tutela, ovverosia il reintegro nel posto di lavoro (indipendentemente dal requisito dimensionale) e il pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il dipendente ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative e, comunque, in misura non inferiore a cinque mensilità, oltre al pagamento dei contributi previdenziali con le relative sanzioni (articolo 18, commi 1 e 2, Statuto dei Lavoratori)212.

§ c). - Il sindacato del giudice sull’effettività delle esigenze

Nel documento Il controllo giudiziale sui licenziamenti (pagine 93-98)