In relazione all'applicazione giurisprudenziale delle norme che, negli ordinamenti in esame, fondano il controllo sulle ragioni del licenziamento economico, è necessario rammentare le nozioni di base su cui interviene l'operazione di valutazione giudiziale, ovvero al giustificato motivo oggettivo di cui all'art. 3 della legge n. 604/66, vale a dire le ragioni relative all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento332.
Orbene, queste nozioni di per sé neutre, prendono corpo e senso sotto l'azione del principio di razionalità/proporzionalità, che rappresenta il vettore principale del sincretismo metodologico emergente dall'analisi comparata. Il licenziamento viene vagliato non solo alla luce di un principio di adeguatezza dei mezzi rispetto ai fini (secondo un canone di razionalità strumentale dell'agire), ma anche di necessità e di ponderazione degli interessi (secondo un canone di razionalità assiologica dell'agire): in questa luce, il giudice seleziona le ragioni economiche ammissibili a far retrocedere il diritto alla stabilità dell'impiego. Infatti, contrariamente a quanto postulato dall'analisi economica del diritto, non tutte le ragioni economiche sono «buone ragioni», idonee a giustificare il licenziamento. Per esempio, in Italia come in Francia i giudici ritengono non siano soddisfatti i requisiti del licenziamento economico in presenza di ragioni relative a un mero risparmio di costi.
Del pari, il licenziamento per riorganizzazione aziendale è consentito, ma non per mero intento di incremento dei profitti, in quanto il giustificato motivo deve essere determinato «non da un generico ridimensionamento dell'attività
imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del
332 Nella legge francese, all'art. L. 1233-3 del C. trav., ossia il motivo «non inerente alla
persona del lavoratore, che implica una soppressione o trasformazione dell'impiego o una modificazione, rifiutata dal lavoratore, di un elemento essenziale del contratto, conseguente, in particolare, a difficoltà economiche o a mutazioni tecnologiche», cui devono aggiungersi i
motivi, di creazione giurisprudenziale, relativi alla salvaguardia della competitività dell'impresa e alla cessazione dell'attività.
reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale a un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti»333.
La giurisprudenza in materia di giustificato motivo oggettivo – due orientamenti a confronto
L’attività di selezione giudiziaria delle ragioni economiche è potenzialmente più ampia e discrezionale laddove, come in Italia, il legislatore lascia maggiormente indeterminata la nozione di giustificato motivo, consentendo di fatto alla magistratura un'opera creativa, o quantomeno di specificazione della regola334.
La Suprema Corte nel 2007335 ha affermato che ai fini della sussistenza del
giustificato motivo oggettivo, le finalità delle “ragioni inerenti all’attività
produttiva” sono irrilevanti. Non importa se lo scopo dell’imprenditore è reagire
a uno stato di difficoltà economica dell’azienda o semplicemente incrementare i profitti (ad esempio attraverso la redistribuzione dei compiti del licenziato ad
333 PERULLI A., op. cit., 561 e ss..
334 L'analiticità delle cause di licenziamento per motivo economico non equivale, tuttavia, necessariamente, a un alleggerimento dell'intervento giudiziario. In Francia, la magistratura è chiamata non solo a verificare la sussistenza della causa, così come tipizzata dal legislatore, ma anche a verificarne il carattere reale (oggettivo, esistente ed esatto del motivo) e serio (cioè sufficientemente importante). In questo modo, attraverso il controllo della cause réelle et sérieuse, il motivo economico viene sottoposto a un vaglio ancor più penetrante, consentendo l'opera di selezione causale calibrata sul principio di proporzionalità. Sul carattere réelle et sérieuse della causa il controllo si biforca: da un lato, concerne la realtà materiale (così, ad esempio, non sussiste una cause
réelle se l'imprenditore ha fatto ricorso sistematicamente a Cdd per coprire il posto del
lavoratore licenziato); dall'altro riguarda la realtà dell'elemento causale, attinente alle difficoltà economiche o alla minaccia della competitività dell'impresa. Questo elemento causale viene quindi f.tltrato attraverso il criterio della serietà della ragione, vale a dire la sua gravità e importanza, onde, nonostante il riconoscimento della causa in termini di realtà, è possibile negare la legittimità del licenziamento per carenza in punto di serietà dello stesso. Talvolta la realtà e la serietà del motivo si confondono: così quando la Corte afferma che «né la realizzazione di una cifra di affari minore né la decrescita dei benefici realizzati nello stesso periodo sono sufficienti a caratterizzare la realtà delle difficoltà economiche allegate», ove è evidente che i fatti allegati sono reali, provati ed esatti, ma le difficoltà nqn sono state giudicare serie, e quindi tali da rendere il licenziamento realmente necessario.
altri lavoratori o l’esternalizzazione dell’attività a terzi). Non è cioè necessaria, afferma la suddetta giurisprudenza, la sussistenza di un aumento economico negativo per giustificare il licenziamento, dato che l’organizzazione aziendale è modificabile, alla luce dell’art. 41 Cost., I comma, anche e soprattutto per
“ottimizzare l’efficienza e la competitività”. Il solo requisito richiesto è la
sussistenza delle esigenze addotte e la non pretestuosità delle stesse336.
La suddetta sentenza di Cassazione disattende dunque l’opposto orientamento che pretende, ai fini della legittimità del licenziamento, la sussistenza di un
“riassetto organizzativo non pretestuoso e non meramente strumentale ad un incremento del profitto, diretto a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti, che influiscano in modo decisivo sulla normale attività produttiva ed impongano una effettiva necessità di riduzione dei costi”337.
Mettendo tuttavia a confronto le motivazioni delle sentenze appartenenti ai due differenti orientamenti emerge che a partire da tralatizie premesse comuni (affermazione del principio di insindacabilità delle scelte economico- organizzative; limitazione del sindacato del giudice all’effettività della scelta organizzativa; non pretestuosità delle scelte organizzative), i giudici giungono a soluzioni diverse. Il punto decisivo è il significato ascritto di volta in volta al requisito della non pretestuosità. Alcuni giudici utilizzano il test di pretestuosità
336 Nel senso della irrilevanza del connotato teleologico della modifica organizzativa si esprimono anche Cass. 4 novembre 2004, n. 21121, in D&G, 2004, 45; Cass. 11 aprile 2003, n. 5777, in Mass. giur. lav., 2003, 668; Cass. 9 luglio 2001, n. 9310, in Mass. giur. lav., 2001, 1241; Cass. 16 dicembre 2000, n. 15894, in Giust. civ. Mass., 2000, 2613; a ben vedere, l’orientamento in parola trova radici in alcune sentenze le quali più genericamente affermano che nella nozione di giustificato motivo oggettivo rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, lasciando intendere che non sia necessaria la ricorrenza di un andamento economico negativo: Cass., 13 novembre 2001, n. 14093, in Giust. civ. Mass., 2001, 1913; Cass., 29 marzo 1999, n. 3030, in Orient. giur. lav., 1999, I, 449; Cass., 17 agosto 1998, n. 8057, in Giust. civ. Mass., 1998, 1712.
337 Cass., 2 ottobre 2006, n. 21282, in Giust. civ. Mass., 2006, 10; Cass., 7 luglio 2004, n. 12514, in
Riv. It. dir. lav., 2004, II, 838; Cass., 17 maggio 2003, n. 7750, in Giust. civ. Mass., 2003, 5; Cass., 20
agosto 2003, n. 12270, in Giust. civ. Mass., 2003, 7-8; Cass., 8 novembre 1998, n. 11646, in D&L., 2000, II, 32; Cass., 17 gennaio 1998, n. 414, in Notiz. Giur. lav., 1998, 190; Cass., 27 novembre 196, n. 10527, in D&L, 1998, II, 173; Cass., S.U., 11 aprile 1994, n. 3353, in Foro it., 1994, I, 1352; Cass., 18 aprile 1991, n. 4164, in Mass. Giur. lav., 1991, 426.
per arrivare a vagliare l’opportunità della scelta. Altri escludono che il fine di incremento del profitto sia di per sé prova della pretestuosità della scelta imprenditoriale. Non è escluso, peraltro, che nella decisione finale giochino anche profili connessi al più o meno efficace assolvimento del carico probatorio da parte del datore di lavoro (profili che spesso non si colgono nelle motivazioni di una corte di legittimità).
Talune decisioni della Suprema Corte lasciano quindi intravedere una tendenza all’emersione di una lettura dell’art. 3, L. n. 604/66, aderente al principio di insindacabilità delle scelte organizzativo-imprenditoriali di cui all’art. 41 Cost., I comma, coerentemente con gli inviti provenienti dalla dottrina338. Tuttavia, dal
punto di vista del ragionamento economico sottostante, l’applicazione rigorosa del principio di insindacabilità delle scelte imprenditoriali rende irrilevante la valutazione dell’entità del costo-opportunità sopportato dall’impresa; è sufficiente l’emergere di un costo opportunità tale da portare anche lievemente in perdita il bilancio economico del singolo rapporto per rendere legittimo il licenziamento. Col che si arriva a dare ragione alla tesi di M.T. Carinci339,
secondo la quale qualsiasi scelta imprenditoriale genuinamente e veritieramente riferita all’organizzazione aziendale è idonea a giustificare il licenziamento; e questo equivale a dire che è idonea a giustificare il licenziamento una perdita attesa di qualsiasi entità, giudicando la giurisprudenza assai invadente in materia340, in quanto – secondo M. T. Carinci –
338 Cfr. P. ICHINO, Alcuni interrogativi sulla giurisprudenza della Cassazione in materia di
licenziamento per motivi economici, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 838 ss.; C. OGRESEG, Libertà delle
scelte economico-organizzative e licenziamento per giustificato motivo oggettivo. del lavoratore,
in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 619; F. STOLFA, Giustificato motivo oggettivo di licenziamento: i primi
frutti di un dialogo tra giurisprudenza e dottrina, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 627; F. STOLFA,
Giustificato motivo oggettivo di licenziamento: i nodi irrisolti e le soluzioni possibili, in Riv. it. dir. lav., 2003, I, 1090 ss..
339 M.T. CARINCI, op. cit., Padova, Cedam, 2005.
340 Secondo Cass., 9 luglio 2001, n. 9310, in Mass. giur. lav., 2001, 1241, l’art. 3 della legge n. 604/1966 richiede che le ragioni inerenti l’attività produttiva, la cui sussistenza giustifica e quindi rende legittimo il licenziamento, “siano tali nella loro oggettività e non in forza di un atto del datore di lavoro che presenti margini di arbitrarietà”. In senso conforme si vedano anche Cass., 18 novembre 1998, n. 11646, in D&L, 2000, II, 31, con nota diLEPORE; Cass., 18 aprile
giunta a sottoporre le decisioni imprenditoriali ad un esplicito sindacato di merito341.
L’art. 41 Cost. e l’onere dell’imprenditore di farsi carico di istanze solidaristiche
Ci si potrebbe quindi chiedere se in caso di mera difficultas nell’attuabilità del
repêchage questo debba essere comunque realizzato, anche in considerazione
del fatto che – è stato osservato – pare assai strano riconoscere al datore un potere insindacabile di organizzazione, per poi addossargli l’onere di dimostrare l’impossibilità di assegnare mansioni differenti342. E ciò
specialmente ove si rilevi che “non sarà agevole per le imprese medio grandi
provare che nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale non siano presenti utili collocazioni confacenti al nuovo status psicofisico del soggetto”343. Alla
soluzione del problema giova, forse, un allargamento della prospettiva: pare, allora, opportuno dare menzione di quelle situazioni, differenti ma simili, in cui il potere datoriale di organizzazione ed assunzione è stato oggetto di limitazioni.
1991, n. 4164, in Mass. giur. lav., 1991, 426 e Cass., 5 aprile 1990, n. 2824, in Riv. giur. lav., 1991, II, 306. Peraltro, ICHINO, Il lavoro e il mercato, Mondatori, Milano, 1996, 114 ss., rileva come i giudici italiani siano particolarmente attenti ai problemi sociali e di protezione dei lavoratori ma poco dotati di cultura economica, il che, sommato alla presenza di tutele nell’azienda ma non nel mercato, li induce a spingersi lungo la pericolosa china della sindacabilità della gestione aziendale. Non tutta la giurisprudenza di legittimità è però orientata in tale senso “invasivo”; non mancano infatti le pronunce che sostengono esattamente il contrario. Tra queste si vedano: Cass., 13 novembre 1999, n. 12603, in Orient. giur. lav., 2000, 186; Cass., 6 aprile 1999, n. 3312, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 136, con nota di ZILIO GRANDI; Cass., 23 giugno 1998, n. 6222, in Giust.
civ. Mass., 1998, 1378, e Cass., 2 febbraio 1988, n. 986, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc.2.
341 Cfr.TATARELLI, Il licenziamento individuale e collettivo, Padova, Cedam, 2000, 255. Contra cfr. PERA, Colloquio con Pietro Ichino, in Riv. it. dir. lav., 1998, III, 211 ss.; In senso critico STOLFA,
op.cit., 120 ss..
342 In proposito si veda BRUN, Giustificato motivo oggettivo di licenziamento e sindacato
giudiziale, in Quad. lav, n. 26, 149; nonché la posizione, nettamente sfavorevole, assunta da PERA nel proprio commento alle S.U. del 1998, cit.; 182 ss.
343 Così LUDOVICO, L’onere datoriale del repêchage e la sopravvenuta inidoneità del lavoratore
nell’interpretazione delle sezioni unite della Cassazione, in Orient. giur. lav., 1999, 211 ss.. Ma si
veda anche MEUCCI, Obbligo di ricollocazione in altre mansioni del lavoratore colpito da
In particolare, dalle pronunce di costituzionalità in tema di «imponibile di mano
d’opera»344 e dalle sentenze di legittimità circa l’assunzione obbligatoria dei
disabili da cui emerge che la libertà garantita dal primo comma dell’art. 41 può legittimamente essere limitata purché vi siano adeguate giustificazioni e la compressione del diritto dei privati alla propria autonomia non travalichi determinati limiti345, arrivando così a determinare la soppressione totale
dell’iniziativa economica privata. Sicché, alla fine, la questione continua ad essere fino a che punto sia lecito addossare all’imprenditore istanze solidaristiche o oneri di tutela che pur essendo legittimi, sono comunque di competenza statale346.
Forse, è maggiormente corretto, anche in termini di diritto, che l’imprenditore persegua il proprio interesse privato, pur se con limitazioni che portino la sua iniziativa economica a non svolgersi “in contrasto con l'utilità sociale o in modo
344 Secondo la Corte Costituzionale, sentenza 5 luglio 1990, n. 316, in Giust. civ., 1990, 2025, questo si verifica quando una previsione normativa impone ad un’impresa privata di assumere determinati lavoratori senza però concedere alcun vantaggio a controprestazione del sacrificio imposto all’imprenditore; sicché “l’imponibile di mano d’opera è negativamente qualificato dalla
mancanza di correttivi che valgano a bilanciare o temperare in qualche modo l’onere derivante all’impresa dall’obbligo di assumere lavoratori in soprannumero”. Tra le altre pronunce in
materia, si vedano le sentenze Corte Cost., 30 dicembre 1958, n. 78, in Giust. civ., 1958, I, 979; e Corte Cost., 29 settembre 1983, n. 279, in Giust. Civ., 1983, 1800. Nonché le sentenze Corte Cost., 29 ottobre 1987, n. 346 e 30 dicembre 1987, n. 622, in Giust. Civ., 1987, rispettivamente, 2667 e 3734; Corte Cost., 28 luglio 1993, n. 356, in Giur. it., 1994, I, 281; e Corte Cost., 23 dicembre 1994, n. 446, in Giur. cost., 1994, fasc. 6.
345 Questi, in tema di assunzioni obbligatorie, sono stati individuati dalla Corte Costituzionale nella previsione di adeguati correttivi che bilancino e temperino l’onere così addossato alle imprese, nonché nel contenimento di tale onere al di sotto di soglie quantitative minime. Del resto, in tale senso si muovono anche quelle sentenze di legittimità e di merito [cfr. Corte d’Appello di Firenze 12 maggio 2003, in D&L, 2003,931, con nota di ROMOLI] che, in tema di assunzione obbligatoria di disabili, hanno affermato che il datore di lavoro può essere sollevato dall’obbligo di assunzione qualora risulti assolutamente impossibile collocare il soggetto disabile nella struttura organizzativa aziendale [Cass., 8 giugno 1998, n. 5639, in Notiz. giust.
lav., 1998, 406]; e che il datore può procedere al licenziamento ove l’aggravamento
dell’infermità sia tale da non consentire più l’utile occupazione del lavoratore disabile [Cass., 17 luglio 2002, n. 10347, in Foro it, 2002, I, 2614].
da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”347, limitazioni
che variano e che, nel caso per esempio di licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, si concretizzano nell’utilità della prestazione all’interno dell’assetto
organizzativo stabilito dal solo imprenditore348.
Peraltro, un’ulteriore soluzione, anche se parziale, pare derivare dall’osservazione349 che la valutazione del giudice debba essere condotta in
riferimento alla realtà aziendale oggettiva e alla situazione soggettiva del lavoratore sussistente al momento del licenziamento, tralasciate quindi tutte le sopravvenienze350. Pertanto, il giudice dovrà prestare attenzione al fatto che,
nella complessiva organizzazione351, vi siano posizioni resesi vacanti prima del
licenziamento, oppure se il datore abbia proceduto subito dopo il licenziamento a nuove assunzioni, essendo questi due fattori, evidentemente, rivelatori di un posto potenzialmente occupabile dal soggetto licenziato.
Un terzo orientamento giurisprudenziale (minoritario) sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo
È quindi necessario porsi il quesito se la giurisprudenza possa, o meno, sottoporre le decisioni imprenditoriali ad un esplicito sindacato di merito. In particolare, il riferimento è a quel filone giurisprudenziale secondo cui “la
decisione organizzativa aziendale, da cui deriva l’esubero di personale, non può
347 Così l’articolo 41, secondo comma, della Costituzione.
348 In tema di bilanciamento tra principi costituzionali si veda R. GUASTINI, Principi di diritto e
discrezionalità giudiziale, L. CABELLA PISU, L. NANNI (a cura di), op. cit., 95.
349 Fatta da MANNACIO, op. cit., 438 ss.
350 M.T.CARINCI, op. cit., 21 e ss., sottolinea come “per giurisprudenza costante, si ha riguardo alla struttura organizzativa esistente all’atto del licenziamento (purché non preordinata ad arte con atti illeciti) e dunque alle posizioni lavorative in quel momento vacanti; è, infatti, pacifico che il datore non è in alcun modo tenuto a modificare l’organizzazione per creare ex novo un «posto» in cui collocare il lavoratore in esubero.”
351 Pertanto, come rilevato da CARINCI M.T., op., cit., 23, l’indagine non dovrà riguardare solo: articolazione, reparto, ufficio o sede cui era addetto il dipendente. In proposito si vedano anche, Cass., 23 gennaio 2003, n. 1008 s.m., in Mass. giust. lav., 2003, 256; Cass., 3 ottobre 1998, n. 9768,
essere sorretta da esigenze di mero profitto, ma deve essere dettata da necessità di mercato o dall’intento di migliorare l’efficienza o la produttività dell’impresa” 352.
Se ne deve dedurre che se le difficoltà sono legate a una crisi temporanea, un’azienda non dovrebbe rispondere con la chiusura.
Si può osservare che licenziare è certamente il modo più semplice per ridurre i costi. Ma non è l’unica soluzione e soprattutto non è etico, poiché se fino all’anno prima ‘quell’azienda’ ha realizzato dei profitti e magari distribuito dividendi, lo ha fatto grazie al lavoro dei suoi dipendenti. Non grazie alle macchine o alla finanza. Ma al lavoro.
Per questo, laddove le imprese accusano un passivo, non possono rimediare scaricando i lavoratori. Fare ciò significa privatizzare gli utili e socializzare le perdite. L’azienda deve perciò accollarsi quel costo del lavoro, temporaneamente improduttivo, ma che le ha fatto guadagnare fino a ieri e la farà guadagnare di nuovo domani.
Certamente se la crisi è strutturale come nel caso di un’azienda che produce macchine da scrivere quando le persone usano i computer, non ha molte alternative e sarebbe ingiusto scaricare tutte le responsabilità all’azienda chiedendole di restare per lungo tempo in perdita, perché distruggerebbe ricchezza e quindi lavoro.
Ciò che oggi si avverte come esigenza imprescindibile è una diversa interpretazione dell’impresa, piuttosto un’'intrapresa' come comunità di uomini e donne, radicata in un territorio, per creare sviluppo e benessere a favore dei singoli e della comunità stessa. La responsabilità personale e d’impresa quindi diviene il perno centrale dell’agire, a cominciare dal farsi carico del futuro di chi ha lavorato con l’impresa, di coloro che hanno contribuito al suo sviluppo, di territori cresciuti insieme e a volte per quell’impresa353.
352 Cass., 9 luglio 2001, n. 9310, in Mass. giur. lav., 2001, 1241. In senso conforme si vedano anche Cass., 18 novembre 1998, n. 11646, in DL, 2000, II, 31, con nota di Lepore; Cass., 18 aprile 1991, n. 4164, in Mass. giur. lav., 1991, 426 e Cass., 5 aprile 1990, n. 2824, in Riv. giur. lav., 1991, II, 306.
353 Intervista di Marco Girardo a Luigino Bruni, Contro la crisi, imprese più responsabili, il Sole 24 ore, 2 Febbraio 2010.
La teoria della c.d. “perdita attesa” di Pietro Ichino in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Particolare interesse per la dottrina è suscitata dal licenziamento per motivi economici, tipologia di licenziamento che più si presta ad alimentare il dibattito tra potere dell’imprenditore, e quindi di iniziativa economica, e potere di controllo giudiziario.
In particolare P. Ichino, è tra gli studiosi del diritto che più si è dedicato a tale tema, ritenendo che per aversi un giustificato motivo oggettivo sia sufficiente una perdita attesa dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con il lavoratore licenziato. In particolare, afferma Ichino, occorre che tale perdita attesa, superi
una determinata soglia minima, dando così una garanzia al rapporto di lavoro e -
attraverso il giustificato motivo oggettivo – un limite della copertura del rischio posta a carico dell’impresa354.
Da tale tesi ne deriva che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha un’implicazione processuale rilevante: la perdita attesa, che non è né documentale e né testimoniale.
Giova anzitutto precisare che nella dottrina economica quando si considerano i costi derivanti da una scelta effettuata tra più alternative possibili abitualmente si fa riferimento alla nozione di costo-opportunità che è costituito dalla rinuncia all’utilità associata ad un’alternativa praticabile rispetto alla scelta compiuta. Tale concetto di costo-opportunità – afferma Ichino355 – guida la scelta del datore
di lavoro quando debba decidere se licenziare un lavoratore per motivo organizzativo: se non vi sono motivi discriminatori o illeciti, quindi, la decisione datoriale dipende da una comparazione tra costi e benefici derivanti dalla continuazione del rapporto e costi benefici derivanti dalla soluzione alternativa. Il rapporto sarà tenuto in vita finché il suo bilancio complessivo non sarà in