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d) I licenziamenti per giusta causa e le tipizzazioni contrattual

Nel documento Il controllo giudiziale sui licenziamenti (pagine 86-91)

190 Cass., 02 marzo 2011, n. 5095, in Guida al diritto, 2011, 13, 49 (s.m.). 191 Cass., 16 giugno 2011, n. 13161, in Diritto & Giustizia 2011.

L’art. 2119 cod. civ. autorizza ciascuna delle parti a recedere per giusta causa dal contratto “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione,

anche provvisoria, del rapporto”. In tale ipotesi la parte recedente non è tenuta a

dare il preavviso.

Sovente sono i contratti collettivi a provvedere ad elencare i fatti definibili in concreto come giusta causa e giustificato motivo soggettivo. Dottrina e giurisprudenza sono orientate a negare la vincolatività di tali indicazioni che, per quanto provviste di una qualche attendibilità in ragione della loro provenienza dalle parti sociali192, non esimono il giudice dall’indagare sulla

reale entità e gravità della mancanza, nel caso specifico, ai fini della eventuale prosecuzione del rapporto: un addebito, pur qualificato come giusta causa dal contratto collettivo, può non esserlo in concreto, tenuto conto delle più diverse circostanze di fatto o perché la previsione contrattuale ha violato l’art. 2119 c.c. trascurando gli estremi di gravità da questo fissati (ad es. previsione come giusta causa di una lieve insubordinazione)193; viceversa, altro fatto può essere

considerato come giusta causa dal giudice alla stregua dell’art. 2119 cod. civ. pur se non risulta ricompreso tra quelli espressamente contemplati nel contratto, restando in definitiva sovrana la prudente valutazione del magistrato e conservando il disposto contrattuale una portata indicativa194.

Si è altresì ritenuto che la previsione negoziale che ricollega ad un determinato fatto solo una sanzione conservativa o consente il licenziamento solo in presenza di precise circostanze vincolano il giudice in quanto, anche nel caso di contrasto con la nozione legale di giusta causa o di giustificato motivo,

192 Secondo Cass., 30 gennaio 1981, n. 713, in Giust. civ., Mass., 1981, fasc. 1, l’elencazione dei contratti collettivi “ non può essere svalutata ai fini di una dichiarazione generica della gravità dell’inadempienza”, cfr. da ultimo, Cass., 10 dicembre 2002, n. 17562, in Mass. Giust. civ., 2002, 2161; Cass., 26 maggio 2000, n. 6900, in Giust. civ. Mass., 2000, 1113; Cass., 21 maggio 1998, n. 5103, in Giust. civ. Mass., 1998, 1100.

193 Cass., 23 aprile 1990, n. 3357, in Riv. it. dir. lav., 1990, II,902.

194 Cass., 14 giugno 2000, n. 8139, in Giust. civ. Mass., 2000, 1303; cfr. BASCHERINI, I licenziamenti

individuali, in Indirizzi di Giurisprudenza, a cura di ENRICA MINALE COSTA, Giappichelli, Torino, 2007, 133 e ss..

costituisce una disposizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12 della L. n. 604/1966.

Sul punto tuttavia è espressamente intervenuto l’art. 30, III comma, della L. n. 183/2010 che ha disposto che il giudice nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento deve tener conto delle tipizzazioni della giusta causa e del giustificato motivo presenti nei contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi o nei contatti individuali certificati avanti ad una delle commissioni previste dalla legge, da cui il chiaro tentativo del legislatore di limitare la discrezionalità dei giudici a favore di una maggiore certezza al diritto.

Le tipizzazioni sino ad oggi

Il più recente orientamento giurisprudenziale, prende atto che il contratto collettivo non può che specificare gli obblighi derivanti dalla legge, in quanto le fattispecie legali già assolvono alla funzione della preventiva pubblicità degli stessi195. Si è superato, così, lo stato di totale incertezza creato dal ricorso alle

belle formule delle «regole fondamentali del vivere civile» oppure dei «doveri fondamentali»196. Formule che sembravano ispirate all’errata idea di fondo che il

potere disciplinare punisce non solo il mancato rispetto degli obblighi scaturenti dal sinallagma contrattuale, ma anche la violazione dei doveri extracontrattuali197 i quali, peraltro, non dovrebbero essere riformulati nel

codice disciplinare. In tal modo si nega ab imis lo stesso sforzo contrattualistico profuso dalla dottrina giuslavoristica. Ma, soprattutto, l’incertezza che accompagna questi criteri è dimostrata dal fatto che, in base ad essi, la Cassazione è, ad es., giunta al punto di dichiarare illegittimo il licenziamento di

195 Cfr. Cass., 25 settembre 2004 n. 19306, in Orient. giur. lav., 2004, I, 920; Cass., 08 giugno 2001n. 7819, in Not. giur. lav., 2001, 600.

196 v. Cass., 13 gennaio 2005 n. 488, in Orient. giur. lav., 2005, I, 81. 197 Cass., 04 giugno 2004 n. 10663, in Orient. giur. lav., 2004, I, 636.

una guardia giurata che aveva aggredito un collega costringendolo a medicarsi all’ospedale 198.

Contraddice il principio della gerarchia delle fonti, invece, l’ulteriore orientamento giurisprudenziale che richiede vengano indicati nel codice i «comportamenti, che non sarebbero – di per sé – riconducibili a dette nozioni legali, ma – in relazione alle peculiarità dell’attività e/o dell’organizzazione dell’impresa – possono integrare comunque specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo soggettivo»199. Tale orientamento non diminuisce tuttavia

l’incertezza perché in base al criterio testé rammentato è stata esclusa dalla giurisprudenza200, la legittimità del licenziamento per colluttazione sul luogo di

lavoro con la rottura della protesi dentaria del collega201. Licenziamenti per giusta causa e procedimento penale

Tra le varie ipotesi che possono indurre il datore di lavoro a comminare un licenziamento vi è il caso particolare della pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore. Tale fatto tuttavia non rappresenta di per sé giusta causa, ma ciò che rileva è piuttosto il fatto oggetto dell’imputazione, che può integrare giusta causa di licenziamento a seconda dell’incidenza o meno sul piano delle obbligazioni contrattuali e dell’aspettativa o probabilità di adempimento202.

198 Cass., 21 giugno 2006n. 14305, in Riv. it. dir. lav., 2007, 1, II, 224.

199 Cass., 25 settembre 2004 n. 19306, in Notiziario giur. lav., 2005, 231; Cass., 21 luglio 2004 n. 13526, in Orient. giur. lav., 2004, I, 669; Cass., 27 maggio 2004 n. 10201, in Orient. giur. lav., 2004, I, 350; in dottrina sulla sindacabilità dei contratti collettivi cfr. NAPOLI,op. cit., 1980, 221; nel senso dell’opinabile orientamento secondo cui il lavoratore ha l’«onere della prova di circostanze tali da fondare lo scostamento dalle valutazioni operate dall’autonomia collettiva», VALLEBONA,Il rapporto di lavoro, Verona, Cedam, 2005, 386. Sul punto peraltro NOEGLER,op. cit., 2007, 593 ss., fa notare che le cicliche proposte di legge che impongono al giudice di far riferimento alle tipizzazioni presenti nei contratti collettivi dovrebbero specificare che ciò riguarda le sanzioni conservative ed è riferito al giudizio di adeguatezza del licenziamento. 200 Trib. Tivoli 20 settembre 2005, in Riv. it. dir. lav., 2007, II, 224.

201 L. NOGLER, op. cit., 2007, 593 ss..

Taluni contratti collettivi richiedono, che - ai fini della sussistenza della giusta causa - il fatto sia stato accertato in sede penale con sentenza passata in giudicato. Il nuovo codice di procedura penale tuttavia non prevede più – salvo ipotesi marginali – che la sentenza penale spieghi la sua efficacia di giudicato anche in sede civile, con la conseguenza che il giudice del lavoro non è più tenuto a sospendere il processo civile sino all’esito definitivo di quello penale avente ad oggetto i medesimi fatti203.

Licenziamenti per giusta causa e conversione in licenziamento per giustificato motivo

Taluni licenziamenti possono essere interpretati dai giudici nella gravità dei fatti oggetto di sanzione e quindi convertiti, per esempio, da licenziamenti per giusta causa a licenziamenti per giustificato motivo. Nel vigore del codice civile, l’orientamento prevalente ammetteva la conversione del licenziamento intimato per giusta causa, poi considerata insussistente, in licenziamento ad nutum con pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. La questione si ripropone negli stessi termini per le situazioni disciplinate dalla L. 604/1966 e dall’art. 18 St. lav.: anche in questa ipotesi viene accreditata la tesi della conversione ove si accerti che il fatto contestato come giusta causa concretizzi in realtà un giustificato motivo soggettivo, conseguendone il solo diritto del lavoratore all’indennità per mancato preavviso.

La modificazione del titolo di recesso viene quindi ritenuta possibile senza fare ricorso all’istituto della conversione degli atti giuridici nulli di cui all’art. 1424 cod. civ., ma come conseguenza del dovere del giudice di qualificare esattamente la situazione di fatto posta a fondamento del provvedimento espulsivo204.

203 Cass., 3 luglio 2009, n. 15641, in Giust. civ. Mass., 2009, 7-8, 1033; Cass., 13 gennaio 2003 n. 314, in Giust. civ. Mass., 2003, 67.

204 Così da ultimo, Cass., 3 novembre 2008, n. 26379, in Diritto & Giustizia, 2008; Cass., 14 giugno 2005, n. 12781, in Riv. it. dir. lav., 2007, 1, II, 126 (s.m.); CARINCI,DE LUCA TAMAJO,TOSI,TREU, op. cit., Torino, 2011, 325 e s..

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