Anche in tale contesto rileva l’operato dei giudici, i quali devono accertare l’effettiva soppressione di una posizione lavorativa all’interno dell’azienda. Dall’analisi della giurisprudenza emerge come la soppressione del posto vada ricondotta sia a scelte organizzative che si risolvono in una modificazione dell’apparato strutturale, sia a scelte organizzative che lasciano inalterato il suddetto apparato. Pertanto le ipotesi che possono legittimare la soppressione del posto ricalcano, in modo speculare, le causali del licenziamento collettivo,
212 I regimi di tutela e sanzionatori illustrati (commi da 4 a 7 del nuovo articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori), fatta eccezione per le tutele contro il licenziamento discriminatorio che sono universali, trovano applicazione soltanto al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto auto nomo nel quale abbia avuto luogo il licenziamento occupi alla sue dipendenze più di 15 lavoratori, nonché al datore di lavoro che nell'ambito dello stesso comune occupi più di 15 dipendenti, anche se in ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa più di 60 dipendenti (articolo 18, comma 8. Statuto dei. Lavoratori). Pertanto, alle impre- se "minori" (cioè prive di questi requisiti) continua trovare applicazione l'articolo 8 della legge n. 604/1966 (tutela cosiddetta "risarcitoria" da 2,5 e 6 mensilità di retribuzione).
ossia la ‘riduzione o trasformazione di attività o di lavoro’ di cui all’art. 24, I comma, L. 223/1991.
È opinione largamente prevalente che – anche in forza del principio di libertà dell’iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost. – le scelte di gestione dell’imprenditore non siano sindacabili da parte del giudice che deve limitarsi ad accertarne la sola effettiva realizzazione e consistenza213. Non può insomma
il giudice valutare la convenienza economica o l’indispensabilità della ristrutturazione, riconversione, ecc., che restano nell’esclusiva discrezionalità organizzativa del datore, ma solo verificarne la concreta attuazione214.
Minoritaria è la tesi che, privilegiando il II rispetto al I comma dell’art. 41 Cost., ritiene oggettivamente giustificato soltanto il licenziamento connesso a scelte
socialmente opportune, aprendo un ampio varco nell’insindacabilità delle scelte
gestionali da commisurare a parametri di non facile individuazione215.
Sul punto è da ultimo intervenuto in maniera tranchant l’art. 30, I comma, della L. n. 183/2010. La norma afferma che in presenza di clausole generali, tra cui sono espressamente comprese anche le norme in tema di recesso, ‘il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali
213 FASANO, Il controllo giudiziale sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in Il lavoro
nella giurisprudenza, 5, 2009, 500, che commentando la sentenza del Tribunale di Bergamo, 23
febbraio 2009, ricorda come “il giudice nel valutare le scelte dei criteri di gestione dell’impresa
non possa sindacarne le decisioni poiché tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.; spettando al giudice il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore attraverso un apprezzamento dei dati di fatto e delle prove (Cass., 14 dicembre 1998, n. 12554; Cass., 30 maggio 2001, n. 7376)”.
214 In giurisprudenza Cass., 1 febbraio 2003, n. 1527, in Giust. civ. Mass., 2003, 252; Cass., 23 ottobre 2001, n. 13021, in Giust. civ. Mass., 2001, 1790; Cass., 30 marzo 1994, n. 3128, in Riv. it.
dir. lav. 1995, II, 173; Cass., 2 febbraio 1988, n. 986, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc. 2; Cass., 16
dicembre 2000, n. 15894, in Giust. civ. Mass., 2000, 2613 che afferma “Il controllo giudiziale sul
licenziamento per giustificato motivo oggettivo comparata la verifica dell'assolvimento da parte del datore di lavoro dell'onere di provare l'effettività della dedotta ristrutturazione organizzativa, la sua incidenza sulla posizione rivestita in azienda dal lavoratore licenziato e la non utilizzabilità di quest'ultimo in un altro settore aziendale, ma non può estendersi ad un sindacato sull'opportunità e la congruità delle scelte in materia di assetti produttivi ed organizzativi, rispetto a cui l'imprenditore gode di una riserva di autonomia, garantita dall'art. 41 cost. e non limitata da una contrapposta posizione di vantaggio attribuita al lavoratore dalla legge ordinaria.”.
dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro’216.
Il nesso di causalità fra scelta imprenditoriale e licenziamento
In sede giudiziale è invece possibile verificare – e viene così ad esaminare la seconda delle accennate condizioni – la coerenza del licenziamento rispetto alla modifica organizzativa alla stregua delle ‘comuni regole tecniche di buona organizzazione’: sarebbe quindi giustificato un licenziamento che, secondo tali ‘regole’, non appaia come conseguenza razionale e indefettibile rispetto alla, pur insindacabile, scelta tecnico-organizzativa, ovvero non sia legato a quest’ultima da uno stretto nesso di causalità (ad es. un lavoratore non interessato da un processo di riorganizzazione)217.
Di massima si ritiene che il licenziamento risulti assistito da un giustificato motivo oggettivo soltanto allorquando il lavoratore non possa essere utilizzato su posizioni di lavoro alternative e ciò in un ordine di idee che tende a collocare il licenziamento in un’area di extrema ratio218.
In linea teorica ed astratta l’onere di provare l’impossibilità di proficuo utilizzo del licenziamento in posti di lavoro diversi cade a carico del datore di lavoro219,
ma, data la concreta difficoltà di una prova che dovrebbe riguardare tutti i comparti dell’azienda, la giurisprudenza tende ad accontentarsi di elementi
216 CARINCI,DE LUCA TAMAJO,TOSI,TREU, op. cit., Torino, 2011, 328 e s..
217 Cass., 23 gennaio 2003, n. 1008, in Giust. civ. Mass., 2003, 158; Cass., 22 giugno 2000, n. 8515, in Notiziario giur. lav., 2000, 747.
218 Cass., 20 maggio 2009, n. 11720, in Diritto & Giustizia, 2009; Cass., 20 novembre 2001, n. 14592, in Riv. giur. lav., 2002, II, 452; Cass., 20 dicembre 2001, n. 16106, in Lavoro nella giur. (Il), 2002, 974; Cass., 3 ottobre 2000, n. 13134, in Giust. civ. Mass., 2000, 2081; diversamente Cass., 7 agosto 1998, n. 7755, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 170, orientamento giurisprudenziale diretto a riconoscere in capo al datore di lavoro un vero e proprio obbligo, anche in assenza di espressa previsione del contratto collettivo, di assegnare al lavoratore, ove disponibili in azienda, diverse mansioni anche inferiori.
219 Cass., 23 gennaio 2003, n. 1008, in Giust. civ. Mass., 2003, 158; Cass., 14 dicembre 2002, n. 17928, in Giust. civ. Mass., 2002, 2199; Cass., 18 novembre 1998, n. 11646, in Dir. lav. 2000, II, 31.
probatori presuntivi, ritenendo, ad es., sufficiente la dimostrazione di non aver proceduto ad assunzioni o tutt’al più della mancata liberazione di posti nel periodo del licenziamento220. In ogni caso si chiede una prova di tipo ‘statico’,
riferita allo stato dell’organizzazione del lavoro e non alle ipotetiche modifiche organizzative che il datore potrebbe attuare per reperire nuove possibilità occupazionali221.