Per le conseguenze dell'eventuale illegittimità del licenziamento, restano fermi i limiti occupazionali per l'applicabilità dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (così come modificato dalla riforma).
Nei confronti dei datori di lavoro che non raggiungono i requisiti occupazionali previsti, quindi, continua a trovare applicazione la cosiddetta "tutela obbligatoria" di cui sopra si è detto (per cui il datore è tenuto a riassumere il lavoratore entro 3 giorni o, in alternativa, a corrispondergli un'indennità variabile da 2,5 a 6 mensilità di retribuzione). La riforma interviene invece in modo significativo sul contenuto della tutela riservata ai dipendenti delle aziende cui risulta applicabile, in considerazione del loro livello occupazionale, l'articolo 18.
La nuova disciplina introdotta dalla riforma (che non riguarda la tutela stabilita dalla normativa previgente in favore dei lavoratori appartenenti alla Rsa e/o Rsu la quale rimane pertanto immutata) prevede, quattro distinti regimi sanzionatori in relazione alle diverse fattispecie di illegittimità del licenziamento:
a. qualora il licenziamento disciplinare risulti nullo (perché discriminatorio o intimato in violazione delle ipotesi di divieto o dovuto a motivo illecito determinante)183, si applica la disciplina sanzionatoria prevista dai primi tre
commi del "nuovo" articolo 18 per tutti i casi di nullità del recesso. La normativa si applica a prescindere dalle dimensioni occupazionali dell'azienda (si veda il capitolo sui licenziamenti nulli)184.
b. ai sensi del nuovo comma 4 dell'articolo 18185, se il giudice accerta che il fatto
contestato al dipendente non sussiste, ovvero che rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa in base alle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento. Inoltre condanna il datore di lavoro a reintegrare il dipendente e a corrispondergli
183 Art. 18 c. 1-3 cd. REINTEGRAZIONE FORTE. La reintegra forte si applica in casi di nullità / inefficacia del licenziamento indipendentemente dal numero di dipendenti. Trattasi in altre parole dei licenziamenti discriminatori, a causa di matrimonio, in violazione art. 54 TU 151/01, ecc. o anche dei licenziamenti inefficaci in quanto intimati in forma orale. È altresì rientrante in tale fattispecie il licenziamento “determinato da motivo illecito determinante”.
184 Prevede la stessa disciplina dell’art. 18 St. Lav. vecchio testo con alcune peculiarità:
a) “ultima retribuzione globale di fatto”: la retribuzione viene congelata al momento del licenziamento, mentre la precedente formulazione permetteva di tenere conto anche delle eventuali maggiorazioni verificatesi medio tempore fino alla reintegrazione;
b) si fa riferimento esplicito all’aliunde perceptum - con sua implicita esclusione – con onere della prova in capo al datore di lavoro anche se il testo sul punto non è chiaro. In caso contrario in dottrina si è rilevato come si arriverebbe a un processo dai connotati inquisitori “i poteri istruttori del giudice si potranno sviluppare sulla base delle allegazioni delle parti” (CESTER, La
disciplina dei licenziamenti dopo la riforma Fornero: metamorfosi della tutela reale, in Commentario alla riforma Fornero, All. LG 2012, 861);
c) la richiesta dell’indennità di 15 mensilità determina la risoluzione del rapporto di lavoro. La giurisprudenza precedente riteneva che la cessazione si verificasse solo al momento del pagamento (CESTER, La disciplina dei licenziamenti dopo la riforma Fornero: metamorfosi della
tutela reale, in Commentario alla riforma Fornero, All. LG, 2012, 865);
d) i termini per optare per l’indennità decorrono alternativamente dal deposito della sentenza o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio se antecedente (soluzione conforme alla giurisprudenza sul testo precedente).
185 Art. 18 c. 4 REINTEGRAZIONE DEBOLE: La reintegra debole si applica ai casi più gravi di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e giusta causa “per insussistenza
del fatto contestato” o “perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicati”. Trova applicazione anche in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo
secondo quanto previsto dall’art. 18 c. 7 (licenziamento per inidoneità fisica, superamento del comporto e “può” trovare applicazione in caso di “manifesta insussistenza del fatto posto alla
un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altre attività nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione186.
Non è più prevista una misura minima dell'indennità (finora era di 5 mensilità) ma è invece stabilita una misura massima pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto; questa disposizione consente al datare di lavoro di evitare costi ulteriori provocati dalla durata del processo.
Il datore di lavoro è inoltre condannato al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento e fino a quello dell'effettiva reintegra, maggiorati degli interessi legali, ma senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione. L'entità è pari al differenziale tra la contribuzione che sarebbe maturata in caso di prosecuzione del rapporto illegittimamente risolto e quella eventualmente accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altra attività. L'espressa esclusione di sanzioni per il ritardato versamento contributivo elimina un ulteriore costo che gravava sui datori di lavoro in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi prima della riforma.
È infine previsto che il dipendente, entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, possa chiedere, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. La richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.
186 Prevede la reintegrazione nel posto di lavoro ma si può chiedere l’indennizzo di 15 mensilità in luogo della reintegra (viene cancellato il riferimento al risarcimento minimo di 5 mensilità) oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dedotto l’aliunde perceptum e l’aliunde percepiendum (si veda Cester che ritiene che l’onere della prova sul punto gravi sul datore di lavoro:CESTER, La disciplina dei licenziamenti dopo la
riforma Fornero: metamorfosi della tutela reale, in Commentario alla riforma Fornero, in All. LG
2012, 3).), il cui indennizzo massimo liquidabile è di 12 mensilità da intendersi fino alla sentenza e non fino alla eventuale reintegrazione (in tal senso Cester, in senso dubitativo VALLEBONA A., La riforma del lavoro, Giappichelli, 2012.).
c. nelle "altre ipotesi" (diverse, cioè, da quelle indicatè nella precedente lettera b)187 in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, il giudice dichiara risolto il rapporto con effetto alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto altresì conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo. Nel caso qui esaminato - che certamente è quello destinato a suscitare i maggiori dubbi interpretativi, stante la difficoltà di individuare chiaramente le "altre ipotesi" cui la legge si riferisce l'accertata illegittimità dellicenziamento per mancanza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo lascia comunque fermo l'effetto estintivo del rapporto di lavoro, che, pertanto, non viene ricostituito. La sanzione per l'illegittimità del licenziamento è rappresentata da un'indennità risarcitoria che la legge definisce espressamente "omnicomprensiva", cioè tale da coprire tutti i danni derivati al lavoratore dal licenziamento, non residuando pertanto spazio per ulteriori pretese risarcitorie, neppure con riferimento alle modalità del licenziamento. In tal senso sembrano deporre anche i criteri che la legge stabilisce per la determinazione dell'indennità, tra i quali vi è un riferimento al comportamento e alle condizioni delle parti;
d. qualora il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione dell'articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori (cioè per vizi formali relativi al procedimento disciplinare)188, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro alla data del
187 Art. 18 c. 5 TUTELA INDENNITARIA FORTE: Si applica “in ogni altro caso” di non applicazione della tutela reintegratoria debole ora descritta (sia per giusta causa e giustificato motivo soggettivo sia per giustificato motivo oggettivo) e prevede un’indennità onnicomprensiva (stesso termine usato ex art. 32 c. 5 L. 183/2010) contenuta tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione. La norma specifica che il giudice tiene conto del “comportamento” delle “condizioni” delle parti, delle “dimensioni dell’azienda” e della “anzianità di servizio”.
188 Art. 18 c. 6 TUTELA INDENNITARIA DEBOLE: Si applica in caso di “licenziamento dichiarato
licenziamento e condanna il datore al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione alla gravità della violazione. Ove il lavoratore lamenti non solo la violazione procedurale, ma anche altri profili di illegittimità del licenziamento, il giudice - qualora accerti che vi è anche un difetto di giustificazione - applica, a seconda dei casi, il regime sanzionatorio di cui alle precedenti lettere b) o c), in sostituzione di quello stabilito per la mera violazione formale.
La decorrenza degli effetti del licenziamento disciplinare dopo la riforma Fornero
L'articolo 1, comma 41, della legge di riforma dispone ora che il licenziamento intimato all'esito del procedimento disciplinare produce effetto dal giorno in cui il lavoratore . ha ricevuto la contestazione con cui lo stesso procedimento è stato avviato, salvo l'eventuale diritto al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva.
La norma precisa espressamente che gli effetti del licenziamento rimangono sospesi in caso di infortunio sul lavoro e nelle ipotesi previste dalla normativa in materia di tutela della maternità e della paternità. A nostro giudizio l'effetto sospensivo può essere riferito solo al licenziamento con preavviso e non a quello per giusta causa, in quanto, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, la conservazione del posto di lavoro non ha ragion d'essere in presenza di una causa che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto.
La nuova norma stabilisce che il periodo di eventuale lavoro svolto durante la procedura disciplinare si considera come preavviso lavorato. Ovviamente ciò vale qualora all'esito della procedura, venga intimato al lavoratore un
“della procedura di cui all’art. 7 L. 300”. L’indennità risarcitoria onnicomprensiva è contenuta tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità “in base alla gravità delle violazioni formali e
procedurali commesse dal datore di lavoro”. Tale norma presenta una lettura problematica ed in
dottrina sollevano dubbi di costituzionalità (SPEZIALE V., La riforma del licenziamento individuale
tra diritto e economia, in RIDL, 544; F. CARINCI, Il licenziamento inefficacie per la riforma fornero,
licenziamento con preavviso. In caso di licenziamento per giusta causa, invece, il periodo eventualmente lavorato nel corso del procedimento disciplinare non potrà essere imputato a preavviso, fermo restando che la prestazione resa di fatto dovrà comunque essere retribuita (articolo 2126 Codice civile). Questa situazione non dovrebbe tuttavia ricorrere frequentemente nella pratica, perché, in presenza di fatti di tale gravità da poter concretare una giusta causa di recesso, alla contestazione disciplinare si accompagna di norma la sospensione cautelare dal servizio del lavoratore.
La revoca del licenziamento
Da ultimo, si deve segnalare che, ai sensi del comma 10 del nuovo articolo 18189,
i regimi sanzionatori non trovano applicazione nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del licenziamento. In tale caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca. Si noti che, a differenza di quanto ritenuto dalla giurisprudenza con riferimento alla previgente normativa, perché la revoca del licenziamento produca gli effetti appena illustrati non è necessaria l'accettazione del lavoratore.