3. Il pensiero in pittura: dipingere la sensazione
3.4 Bacon e Cézanne si incontrano
Occupiamoci ora dell’opera deleuziana che tratta nello specifico del pittore irlandese, Francis Bacon, che utilizzeremo come sostegno per la nostra tesi: vogliamo mostrare che i due filosofi, Merleau Ponty e Deleuze, sono molto vicini, più di quanto creda Deleuze, sia nella concezione della pittura che portano avanti, sia nelle concezioni generali della loro filosofia. Deleuze infatti, come vedremo meglio in seguito, nel criticare l’altro filosofo francese, si ferma principalmente all’impostazione fenomenologica di questo, senza considerare nel modo adeguato la nuova impostazione ontologica, che dovremmo aver esplicitato, che è sicuramente più affine alla sua filosofia. I due pittori scelti come esemplari della loro idea di arte sono anch’essi avvicinabili, per quanto anche distanti; anche se può sembrare strano paragonarli, Deleuze è il primo a definire Bacon cézanniano. Il punto di partenza e anche la meta sembrano quindi gli stessi in entrambi i filosofi,
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e per quanto Deleuze voglia allontanarsi il più possibile dalla fenomenologia credo che possiamo dire che se ne allontana allo stesso modo di Merleau Ponty, che ripensa e rielabora ciò che aveva scritto in una chiave nuova, scegliendo un’altra strada, che è quella che a noi interessa. La strada della pittura sembra quindi aprire una nuova possibilità di avvicinamento tra la filosofia di Merleau Ponty e quella di Deleuze, ed è questo quello che vogliamo cercare di dimostrare. Deleuze nel 1981 pubblica l’opera già citata sul pittore irlandese, Francis Bacon. Logica della sensazione, e sebbene le riflessioni qui presenti abbiano un peso diverso da quello che aveva l’analisi merleaupontiana su Cézanne, possiamo comunque ricondurle al medesimo orizzonte concettuale e cercheremo di mostrare il perché. Già dal titolo capiamo qual è il tema centrale attorno a cui ruota l’analisi delle opere baconiane: la sensazione e la sua manifestazione pittorica. Bacon, inteso come pittore della sensazione, è fin da subito molto cézanniano, come lo definirà più volte anche Deleuze. Quest’ultimo prende le mosse dalle interviste rilasciate da Bacon a David Sylvester, in cui il pittore presenta la sua arte come pittura di matters of fact, che potremmo tradurre come dati di fatto, una pittura che si oppone quindi alle semplici manifestazioni di relazioni intellegibili e che rifiuta qualsiasi approccio narrativo e figurativo. Il filosofo distingue due alternative per contrapporsi al figurativo in pittura: verso la pura forma con la pittura astratta, oppure verso il figurale, e Bacon è un esempio di quest’ultimo polo. Figurale e figurativo si oppongono quindi in Deleuze, che riprende le due nozioni da Lyotard56. Questa contrapposizione
riprende anche l’opposizione tra arte classica e arte moderna analizzata da Malraux, di cui ci aveva parlato anche Merleau Ponty in Il linguaggio indiretto e le voci del
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silenzio; Deleuze precisa però che le idee di Malraux non sono del tutto adeguate, così come non lo è del tutto ciò che dice Bacon in riferimento a questo. Quest’ultimo distingueva un senso religioso della pittura classica, ancora attaccata alla figurazione, da un gioco ateo della pittura moderna, una volta che la fotografia ha assunto su di sé la funzione illustrativa. La dicotomia non è del tutto adeguata per Deleuze, e per mostrarcelo viene portato come esempio il quadro La sepoltura del conte di Orgaz di El Greco. Qui le figure si liberano da qualsiasi figurazione e hanno a che fare solo con sensazioni. Quindi non è il sentimento religioso che porta alla figurazione, ma anzi esso può rendere possibile la liberazione delle figure. Allo stesso tempo non si può nemmeno dire che la pittura moderna sia non figurativa e così facilmente libera dal rappresentativo, proprio perché assediata dalla fotografia, che pretende di regnare sulla vista.
Per superare il figurativo Bacon ci propone la figura isolata dal resto del quadro, chiusa dentro cubi o piste tonde, una figura mai narrativa, non immersa in una storia, contrassegno dell’avvenuta rottura con la narrazione/rappresentazione. La figura isolata non è però immobile, è un campo operativo e definisce un fatto. Con l’isolamento della figura ci si attiene quindi al fatto e non alla narrazione. Le figure, anche quando accoppiate, non raccontano nessuna storia, ma ci presentano un nuovo tipo di relazione: un matter of fact. Bacon distingue tre elementi nella sua pittura: «le grandi campiture, come struttura materiale spazializzante; la Figura, le Figure e il loro fatto; il luogo, cioè il tondo, la pista o il contorno, che è il limite comune alla Figura e alla campitura».57 Il contorno, di cui abbiamo parlato per la pittura di Cézanne, anche in questo caso, sebbene in modo differente, non vuole
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essere un semplice contorno fisso e rigido, un mero limite che rinchiude, ma è il luogo di uno scambio, tra la struttura materiale e la Figura e tra la Figura e la campitura. Nella pittura di Bacon inoltre non troviamo nessuno spettatore, ma solo testimoni, elementi di riferimento che non variano e rispetto a cui è possibile invece definire una variazione. Eliminando lo spettatore e quindi ogni spettacolo, la Figura dà prova di un grande atletismo. Non manca infatti il movimento nelle figure di Bacon, che spesso va dalla struttura materiale alla figura, in una forte reclusione dei corpi all’interno del quadro, oppure che va dalla figura alla campitura, in cui il corpo compie uno sforzo in se stesso, cerca di fuggire, spesso proprio attraverso uno dei suoi organi. La figura può essere quindi il corpo isolato, così come il corpo deformato che fugge. Come specifica anche il testo di Ubaldo Fadini, Figure nel tempo. A partire da Deleuze/Bacon, due temi fondamentali per capire l’opera che stiamo analizzando sono i corpi deformati e il tempo dipinto. Il contorno è il luogo dello scambio tra la struttura materiale e la figura e tra quest’ultima e la campitura. Il corpo si attiva nel senso di compiere quello sforzo su se stesso che lo fa diventare figura. La deformazione è inevitabile e il corpo scivola via verso quegli oggetti- protesi che troviamo nei quadri di Bacon: specchi, ombrelli, lavabi. Seguiamo Deleuze nella sua descrizione di ciò che definisce la scena isterica che ci propone Bacon nei suoi quadri:
In Bacon l’intera serie degli spasmi è di questo genere: amore, vomito, escremento; regolarmente il corpo tenta di fuggire attraverso uno dei suoi organi per raggiungere la campitura, la struttura materiale. Bacon dice spesso che nell’ambito delle Figure l’ombra ha altrettanta presenza che il corpo. Ma l’ombra acquista tale presenza solo perché fugge dal corpo, è essa stessa corpo fuggito attraverso un punto preciso, localizzato nel contorno. E il grido, il grido di Bacon, è l’operazione attraverso cui l’intero corpo fugge dalla bocca. Tutte le spinte del corpo. La vaschetta del lavandino è un luogo, un contorno, ossia una ripresa del tondo. […] Nello specchio il corpo sembra allungarsi, appiattirsi, stirarsi, così come si contraeva per passare attraverso il foro. […] Ma nei due casi, in quello dell’ombrello o del lavabo, come nell’altro dello
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specchio, la Figura non è più isolata, essa è deformata, a volte contratta e aspirata, altre volte stirata e dilatata. […] La figura non è soltanto il corpo isolato, ma il corpo deformato che fugge.58
Credo che questo passo sia fondamentale per renderci evidente la forza espressiva di Bacon e porci con la nostra immaginazione di fronte ai suoi quadri più famosi. Tutto il corpo è pervaso da un forte movimento e la causa delle deformazioni è sempre trovata nell’azione di forze invisibili sui corpi stessi; la pittura deve appunto rendere visibili queste forze che non sarebbero per noi percepibili. Bacon riesce a darci addirittura la grande forza del tempo nei suoi dipinti. Il corpo senza organi riuscirà, lo vedremo meglio in seguito, a introdurre il tempo nel quadro, poiché si definisce attraverso “la presenza temporanea e provvisoria di organi”.
La centralità del corpo non manca quindi nemmeno nell’analisi di Deleuze sulla pittura. Cerchiamo di capire, prima di andare avanti, la nozione di corpo senza organi che Deleuze propone già in opere precedenti.
Da Artaud riprende infatti il termine di corpo senza organi e proprio in riferimento a questo troviamo forse la più marcata critica alla fenomenologia che ci propone l’autore di Francis Bacon. Logica della sensazione. La pubblicazione di questo testo segue di un anno quella di Mille piani, scritto insieme a Guattari, in cui troviamo la descrizione del corpo senza organi, che l’autore ripropone nel testo su Bacon, scontrandosi contro le insufficienze del corpo vissuto della fenomenologia. Leggiamo in Mille piani:
Il CsO è quel che resta quando si è tolto tutto. Quel che si leva è proprio il fantasma, l’insieme delle significanze e delle soggettivazioni. La psicoanalisi fa il contrario: traduce tutto in fantasma, monetizza tutto in fantasmi, conserva il fantasma e manca il reale inevitabilmente, perché manca il CsO […] Un CsO è fatto in maniera che può essere occupato, popolato solo da intensità. Solo le intensità passano e circolano. Inoltre il CsO non è una scena, un luogo
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e neppure un supporto dove accadrebbe qualcosa. Niente a che vedere con un fantasma, niente da interpretare. 59
Scrive l’autore del testo sulla pittura baconiana che «in piena carne, la sensazione è direttamente condotta sull’onda nervosa o sull’emozione vitale. Si può credere che Bacon incontri Artaud in molti punti: la Figura è esattamente il corpo senza organi60», almeno secondo Deleuze, visto che in realtà lo stesso Bacon, come leggiamo nel testo di Kundera Il gesto brutale del pittore, in cui viene presentato il suo pensiero, definiva organiche le forme da lui dipinte, che proprio nelle loro distorsioni non cesserebbero di rinviare alla loro organicità. Nel termine deleuziano, ripreso da Artaud, non si racchiude comunque un’opposizione agli organi in sé, ma all’organizzazione di questi, cioè l’organismo, dato da sedimentazioni e stratificazioni che impongono forme e gerarchie. Se il desiderio non è visto da Deleuze come sintomo di mancanza, ma come principio produttivo, il corpo senza organi risulterà essere il campo d’immanenza e consistenza del desiderio. Il corpo vissuto della fenomenologia era invece troppo ancorato alla soggettività, secondo Deleuze, e ancora debitrice di una concezione unitaria e organica del corpo. Deleuze respinge quindi le istanze di unità della concezione fenomenologica della corporeità; nella Fenomenologia della percezione, che prende in prestito dalla psicologia della Gestalt buona parte delle analisi sulla percezione, Merleau Ponty è sicuramente vicino all’impostazione organicistica e quindi attento alla totalità, ma anche questo punto di vista sarà attenuato nella fase successiva. E’ inoltre indubitabile che l’ultimo Merleau Ponty non si accontenta del corpo vissuto e del corpo proprio, come fondamento di tutte le mie percezioni e
59 G. Deleuze- F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia 2, Istituto delle enciclopedia
italiana, Roma, 1987, pp. 220-222
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come punto di partenza per l’essere situato nel mondo, crede che queste nozioni siano insufficienti e che la filosofia di Husserl sia ancora stretta nella morsa della soggettività, che vada quindi superata attraverso una riabilitazione ontologica del sensibile e attraverso soprattutto le nozioni di chiasma e di carne. Merleau Ponty è il primo filosofo a rivendicare il valore filosofico della nozione di carne e la presenta come trama di differenze che unisce e intreccia tutto ciò che sembra essere separato, tenendo insieme unità e molteplicità. Deleuze, quando critica il corpo vissuto della fenomenologia, sembra quindi dimenticare la nozione di carne, che invece di rappresentare l’ultimo recesso della soggettività, cerca anzi di distanziarsi sempre di più dalla concezione soggettiva che aveva caratterizzato gran parte della filosofia. Una decina di anni dopo Mille piani Deleuze e Guattari, come abbiamo già visto, scrivono Che cos’è la filosofia? e qui gli autori rivolgono una critica a ciò che definiscono carnismo fenomenologico. La frase «troppo tenera è la carne» è rimasta una manifestazione importante della distanza che si instaura tra fenomenologia, se così ancora la possiamo chiamare, e filosofia deleuziana. Secondo Deleuze la nozione di carne non riesce a sostenere il percetto della sensazione, a costituire l’essere della sensazione. Leggiamo le pagine di Che cos’è la filosofia? dedicate proprio a questo tema:
Può la sensazione essere assimilata a un’opinione originaria, Urdoxa come fondazione del mondo o base immutabile? La fenomenologia ritrova la sensazione di a priori materiali percettivi o affettivi, che trascendono le percezioni e affezioni vissute: il giallo di Van Gogh o le sensazioni innate di Cézanne. La fenomenologia deve farsi fenomenologia dell’arte, come abbiamo già visto, perché l’immanenza del vissuto a un soggetto trascendentale ha bisogno di esprimersi in funzioni trascendenti che non determinano soltanto l’esperienza in generale ma attraversano qui e ora il vissuto stesso e vi si incarnano costituendo delle sensazioni viventi. […] è la carne che si libera contemporaneamente dal corpo vissuto, dal mondo percepito e dalla loro intenzionalità ancora troppo legata all’esperienza […] Carne del mondo e carne del corpo come correlati che si scambiano, coincidenza ideale. E’ un curioso carnismo a ispirare quest’ultima
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metamorfosi della fenomenologia e a precipitarla nel mistero dell’incarnazione: è una nozione al tempo stesso pia e sensuale […] La questione di sapere se la carne sia adeguata all’arte può enunciarsi nel modo seguente: è in grado di sostenere il percetto e l’affetto, di costituire l’essere di sensazione? O non è piuttosto essa a dover essere sostenuta e a dover passare in altre potenze di vita? La carne non è la sensazione anche se partecipa alla sua rivelazione. Quando dicevamo che la sensazione incarna non eravamo sufficientemente precisi. La pittura fa la carne sia con l’incarnato (sovrapposizione di rosso e di bianco) sia con dei toni spezzati (contrapposizione di complementari in proporzioni diseguali). […] Forse tutto questo sfocerebbe nella confusione o nel caos se non ci fosse un secondo elemento che fa “tenere” la carne. La carne non è che un termometro di un divenire. Troppo tenera è la carne. Il secondo elemento, più che l’osso o l’ossatura, è la casa, l’armatura. Il corpo sorge nella casa (o in un equivalente, in una fonte o un boschetto). Ora, ciò che definisce la casa sono i lembi, ossia i pezzi di piani diversamente orientati che fanno da armatura alla carne. […] Sono le facce del blocco di sensazione.61
La chair, la carne di Merleau Ponty, non sarà quindi sufficiente per lui e questo sarà reso evidente anche dalle descrizioni dei quadri di Bacon, in cui si parlerà di viande, carne macellata. I due termini però, per quanto lontani per Deleuze, presentano un forte legame. Leggiamo infatti in Francis Bacon. Logica della sensazione che «questa zona di indiscernibilità era già tutto il corpo, ma il corpo in quanto carne (chair) o carne macellata (viande)». E’ necessario raggiungere la tensione tra carne e ossa e questa è raggiunta solo attraverso la carne macellata, in cui la carne sembra discendere dalle ossa e le ossa si innalzano sulla carne. La carne macellata, carne che prende su di sé tutti i colori della carne viva, è l’oggetto della pietà di Bacon. Ci aveva parlato di zona d’indiscernibilità e infatti la carne macellata si presenta come la zona comune all’uomo e alla bestia. La carne di Merleau Ponty allo stesso modo era una zona chiasmatica, zona in cui le differenze venivano a cadere, ma il rischio che vede Deleuze è che si sfoci nel caos e nella confusione e che quindi la carne sia appunto troppo tenera. In realtà Merleau Ponty parla anch’egli di una zona
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di reversibilità tra l’animale e l’uomo, ma non come mera zona di indifferenziazione, ma sempre come zona chiasmatica. Parliamo ancora di Bacon e della sua pittura di teste, come viene più volte definita: la carne macellata, infatti, come abbiamo già detto, è carne viva, e Deleuze sostiene che la testa stessa è carne macellata. Il ritrattista Bacon, con la sua pittura, vuole disfare il volto e far emergere la testa sotto il volto. La testa è infatti la parte del corpo più prossima alle ossa. Riprendendo il discorso sul corpo senza organi, possiamo definire l’organismo, come già accennato, come una sorta di concrezione a partire da quello, derivato da continue deterritorializzazioni e riterritorializzazioni. La testa rappresenta, ci dice Deleuze in Mille piani, una deterritorializzazione rispetto all’animale e il viso rappresenta a sua volta una deterritorializzazione assoluta. Il piano della viseità è l’Anno zero, che separa il prima della soggettività dal dopo la soggettività. La creazione dell’organismo coinciderebbe quindi con quella che i nostri autori definiscono la viseificazione del corpo; a questo punto la testa cessa di far parte del corpo e quest’ultimo si trova surcodificato dal viso. La domanda allora sarà come farsi un corpo senza organi? Il corpo senza organi va realizzato concretamente, e solo così potremo cogliere le forze del desiderio assoluto. Il corpo senza organi ci è dato come piano d’immanenza, e in questo senso è molto vicino a quella chair merleaupontiana, in quanto entrambi si presentano come tessitura originaria da cui sorge la soggettività e l’organismo, quell’orizzonte ultimo, che non possiamo mai oltrepassare. Entrambi i nostri autori, attraverso la loro filosofia dell’immanenza, si oppongono al personalismo e ricercano un orizzonte impersonale e anteriore alle dicotomie tradizionali. Come dice Deleuze, il soggetto è prima di tutto un’ecceità, data da flussi e accadimenti, da una multivocità costitutiva e l’approdo ontologico
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merleaupontiano si distacca allo stesso modo dalla filosofia soggettiva che ancora caratterizzava Husserl, a dispetto di ciò che gli rimprovera lo stesso Deleuze. Quest’ultimo non riconosce appieno il carattere ontologico della filosofia merleaupontiana e non si accorge che pur mettendo l’accento anche sulla carne del corpo, Merleau Ponty non parla mai di una coincidenza ideale tra la carne del corpo e la carne del mondo, ma sempre di reversibilità e di reciproco avvolgimento. Dalla semplice correlazione tra soggetto percipiente e mondo percepito che si aveva in Fenomenologia della percezione giungiamo in Il visibile e l’invisibile, ultima opera merleaupontiana rimasta incompiuta, a una co-appartenenza del senziente e del sensibile, a un medesimo essere grezzo in cui quindi non si è nemmeno ancora formata la soggettività. L’analisi della pittura di Cézanne in L’occhio e lo spirito non elimina questa impronta ontologica e vede nella pittura dell’artista francese la manifestazione della sorgente delle sensazioni e delle radici stesse dell’essere carnale. Allo stesso modo la pittura di Bacon è capace per Deleuze di darci quel corpo senza organi, precedente alla soggettività e all’organismo, e non è solo capace di farcelo comprendere, ma ce lo mostra direttamente. Potremmo dire che il pensiero di Deleuze non è solo suggerito, ma reso evidente nella pittura di Bacon e lo stesso potremmo dire per Merleau Ponty riguardo a Cézanne. La filosofia e l’arte hanno compiti molto simili per i due autori, formano un chiasma indissolubile e sono un’eterna creazione. Ricordiamo le parole di Merleau Ponty: «è questa filosofia, ancora tutta da fare, che anima il pittore, non quando esprime le sue opinioni sul mondo, ma nell’istante in cui la sua visione si fa gesto, quando, dirà Cézanne, egli “pensa in pittura”62».
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Vediamo quindi di capire davvero dove Cézanne e Bacon si incontrano.
Leggiamo subito, come presupposto da tenere presente per tutta la nostra futura analisi, un passo ancora dal testo di Deleuze su Bacon:
io divengo nella sensazione e, al tempo stesso, qualcosa accade attraverso la sensazione, l’uno per l’altro, l’uno nell’altro. E, al limite, è il corpo stesso a dare e a ricevere la sensazione, a essere insieme oggetto e soggetto. Io, spettatore, non provo la sensazione se non entrando nel quadro, accedendo all’unità del senziente e del sentito. La lezione di Cézanne, al di là degli