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La filosofia della differenza in Bergson

2. Deleuze a partire da Bergson

2.2 La filosofia della differenza in Bergson

Le orme bergsoniane nella filosofia di Deleuze sono infinite. Sicuramente non potremo metterle in luce tutte e in ogni caso ci concentreremo solo sui punti che ci interessano per il nostro discorso. Da Bergson infatti Deleuze recupera senza dubbio la centralità del tempo e della durata, che si ripercuote innanzitutto nella sua opera sul cinema (L’immagine-movimento e L’immagine-tempo). Il concetto di durata infatti è ciò che a Bergson interessa sviscerare fin dal Saggio sui dati immediati della coscienza, in cui l’attenzione è posta appunto sull’interiorità del soggetto, sulla modalità degli stati della coscienza, in contrapposizione a ciò che rimane esterno. In quest’opera la durata è la manifestazione della coscienza, esperienza interna, mentre il tempo quantificato, esterno, le è del tutto estraneo. Se ci fermiamo qui avremmo allora una visione dualistica delle cose, visione che in

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tutto il nostro lavoro cercheremo invece di confutare. Ma dobbiamo subito dire che Bergson ci aiuterà a farlo, poiché nelle opere successive sarà proprio tra coloro che cercheranno di mettere in luce non solo le distinzioni e le dicotomie, ma anche l’intrecciarsi continuo dei due termini dicotomici, l’inseparabilità nella distinzione e il rapporto che intercorre tra i poli. Non avremo più allora la durata, come mondo interno, e il tempo esterno, che non dura, ma avremo invece la durata come principio unico di tutte le cose. Le distinzioni di Bergson sono molteplici, per esempio distingue tra tempo omogeneo e durata reale, che lo stesso Deleuze riproporrà in termini diversi nella distinzione tra spazio striato e spazio liscio. Il tempo omogeneo è scomponibile in istanti sempre uguali, che si ripetono, misurabili, mentre la durata va pensata come un flusso e un divenire continuo, in cui non abbiamo istanti esterni l’uno all’altro, ma momenti che si compenetrano continuamente. Il dualismo però tra tempo interno e tempo esterno sarà per Bergson da superare, come abbiamo già accennato. Infatti in Materia e memoria, opera del 1896, cerca di affrontare il problema del rapporto mente-corpo, o spirito-corpo, seguendo una posizione interazionista, secondo cui è lo stesso mondo materiale che ha una durata. La trattazione si articola nell’analisi della percezione pura e in quella della memoria pura, ci si occupa quindi prima della materia e poi della coscienza. Tra percezione e memoria Bergson sottolinea una differenza di natura, diversamente dai realisti e dagli idealisti, di cui abbiamo precedentemente parlato anche per Husserl e Merleau Ponty. L’idealista riduce la materia a nostre percezioni, mentre per il realista io conosco sempre la materia così com’è. La nozione di immagine di Bergson indica quel momento in cui non esiste ancora la frattura tra soggetto e oggetto, è l’inizio ingenuo, vicino al senso comune, che semplicemente

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mi pone di fronte un mondo di immagini. Si parte dal presupposto che la realtà si dà all’uomo, il punto di origine è quindi anche molto simile a quello della fenomenologia, ma la conclusione non sarà la stessa. Se nel Saggio sui dati immediati della coscienza Bergson si era interessato al soggetto in una sorta di separazione dal mondo esterno, in Materia e memoria vuole trattare della soggettività inserendo l’io nel mondo. La natura del reale è una natura dinamica e la memoria, da non intendere semplicemente come ripetizione, ma come coscienza indivisa della mia durata, è la possibilità della coscienza di questo divenire e della coscienza di sé. La memoria permette l’intuizione, come conoscenza teoretica e la libertà, come scelta. In che senso Materia e memoria può essere considerata una svolta per la filosofia di Bergson?

In quest’opera l’autore si occupa allo stesso tempo del soggetto e dell’oggetto, e non principalmente del soggetto, come in Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), né dell’oggetto e dell’evoluzione di tutto ciò che, vivente, ci circonda come uomini, come in L’evoluzione creatrice (1907). Quindi l’opera si presenta come trampolino di lancio per comprendere la filosofia della differenza e al contempo della non differenza di Bergson.

Se recido i nervi, scrive in Materia e memoria, è la mia percezione che svanisce. La materia, cioè ciò che egli chiama mondo di immagini, e la percezione della materia si distinguono, poiché la percezione mi dà quelle immagini riferite all’azione possibile del mio corpo, centro d’azione, mi seleziona quindi le immagini che mi interessano. La materia non avrà una natura diversa dalla percezione se intesa in questo modo, cioè tra essere ed essere percepiti ci sarà una semplice differenza di grado, poiché la percezione non crea niente, ma semplicemente

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seleziona dalla materia solo ciò che è di interesse per l’azione e la vita quotidiana, come una vera e propria limitazione. Si scelgono delle immagini e non altre, grazie alla nostra indeterminazione del volere e alla nostra libertà. Ci sarebbero allora delle immagini invariabili nell’universo e variabili nella percezione e questo porterebbe alla questione del realismo o idealismo, a cui abbiamo accennato più volte. Per Bergson dobbiamo appunto trovare un terreno comune. La percezione non può però essere semplice percezione pura, poiché è invece sempre impregnata di ricordi e da un lato soggettivo, composto dalla memoria. La rappresentazione che deriva dalla memoria sarà virtuale, altro termine fondamentale per la filosofia di Bergson e che verrà ripreso ampiamente da Deleuze. Questo vuol dire che non agisce veramente, non ha a che fare con l’azione, e che questa virtualità si mischia costantemente alla nostra percezione. L’errore è vedere solo una differenza di intensità, di grado e non di natura tra la percezione e il ricordo. Bergson vuole invece distinguere fortemente questi due momenti, per poi mostrare che nella loro differenza in realtà si trovano al contempo insieme:

Dunque questi due atti, percezione e ricordo, si compenetrano sempre, scambiano sempre qualcosa delle loro sostanze per un fenomeno di endosmosi17.

Capiamo a questo punto quanto sia importante la filosofia di Bergson per una filosofia che si voglia allontanare il più possibile dall’assiologico dualismo che aveva caratterizzato la tradizione. Non c’è infatti una pura percezione, perché è sempre data insieme al ritmo della nostra coscienza, alla durata. La percezione occupa quindi sempre un certo spessore di durata. Leggiamo in Materia e memoria che «si vede facilmente come la percezione e la materia si distinguano e come

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coincidano». Se allora abbiamo seguito Bergson per capire cosa è la materia e la percezione, cerchiamo ora di capire meglio in cosa consista questa memoria e occupiamoci quindi dell’altro polo, lo spirito. Per fare questo dobbiamo, dice preliminarmente Bergson, circoscrivere la funzione del corpo per quanto riguarda la memoria. Il corpo avrà infatti un ruolo centrale nella filosofia bergsoniana e lo ritroveremo in Deleuze, che avanzerà la proposta del corpo senza organi e inoltre questo tema era già fondante in Husserl e Merleau Ponty. Vedremo quindi come il tema del corpo è imprescindibile per una trattazione che voglia scardinare il dualismo soggetto-oggetto e che voglia problematizzare la rigidità della tradizione filosofica, imperniata o su un termine o sull’altro.

Il cervello, che fa parte del corpo appunto, rappresenta per Bergson il centralino telefonico, il centro d’azione e non di rappresentazione. Non vi si formano immagini nuove, ma semplicemente tutto accade come se le nostre immagini si formassero dal nostro stato cerebrale, anche se così non è. Il puro ricordo è la rappresentazione di un oggetto assente, non si localizza in nessuna parte del cervello e tra il ricordo e la percezione avremo una differenza di natura. Sono due processi completamente diversi, per quanto intrecciati l’uno nell’altro. Bergson distingue due tipi di memoria: una memoria abitudine e una memoria spontanea, una che ripete e una che immagina, una che guarda all’azione e una che guarda alla rappresentazione. Le due memorie si prestano mutuo sostegno. Nel riconoscimento automatico, quello della memoria abitudine, i nostri movimenti prolungano la percezione in vista di effetti utili, e quindi ci allontanano dall’oggetto, mentre nel riconoscimento spontaneo e attento ci riconducono all’oggetto per sottolinearne i contorni. La percezione riflessa è come un circuito, non una linea retta, in cui tutti

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gli elementi sono in uno stato di mutua tensione. Si fa sempre ritorno all’oggetto. Si ha solidarietà tra spirito e oggetto e il circuito chiuso è dato da cerchi della memoria, che possono essere più o meno vicini alla percezione immediata. I cerchi della memoria formano la sua totalità e costituiscono i vari gradi di tensione dello spirito. Le correnti della percezione sono centripeta e centrifuga, l’una che deriva dall’oggetto esterno e l’altra dal puro ricordo, l’oggetto virtuale che tende ad attualizzarsi. Siamo percorsi da più influssi, dall’esterno e dall’interno, termini che derivano anch’essi dal nostro corpo e che vanno quindi relativizzati. Il passato, che è inattuale, può tornare ad avere influenza. Il presente reale occupa una durata, sconfina nel passato e nel futuro, è quindi un presente sensorio-motorio e consiste nella coscienza che ho del mio corpo. Dobbiamo tenere presente a questo punto un ulteriore distinzione: il ricordo puro e l’immagine-ricordo. Il ricordo finché rimane puro resta inattuale, senza legame con il presente e quindi inestensivo. Possiamo quindi parlare di rappresentazioni inconsce e queste rappresentazioni possono cessare di essere utili. I ricordi accumulati sono rappresentati da Bergson come un cono rovesciato, in cui il vertice è il presente e il piano su cui poggia il vertice è la mia attuale rappresentazione dell’universo. Io posso essere più o meno tendente a uno dei due estremi del cono.

Possiamo quindi concludere ciò che abbiamo detto per Materia e memoria sottolineando che la distinzione fondamentale è appunto quella tra spirito e materia, puro ricordo e pura percezione; abbiamo anche visto che questa distinzione netta non esiste mai di fatto ma solo di diritto, poiché in realtà la percezione è sempre mescolata a immagini ricordo. Per Bergson dobbiamo allora porci in ciò che chiama la svolta dell’esperienza e illuminare il passaggio dall’immediato all’utile.

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Dobbiamo cambiare modo di pensare, capire la materia al di là dello spazio omogeneo e arrivare all’estensione concreta, e capire la durata al di là di stati discontinui e comprenderla invece come il flusso continuo della cose. Bergson si oppone quindi, e anche per questo sarà un punto fermo per Deleuze, all’idea che la coscienza sia data da sensazioni inestensive, posta di fronte a oggetti che stanno fuori e che possiedono estensione; la sensazione riconquista la sua estensione e l’estensione la sua continuità. Il problema centrale rimane ancora lo stesso e attorno a questo ruota la riflessione bergsoniana di Materia e memoria. Leggiamo:

La questione verso la quale tutte le nostre ricerche convergono, quella dell’unione dell’anima con il corpo. L’oscurità di questo problema, nell’ipotesi dualista, deriva dal fatto che si considera la materia come essenzialmente divisibile, ed ogni stato d’animo come rigorosamente inesteso, così che si incomincia con lo spezzare la comunicazione tra i due termini. [..] Da qui l’impossibilità di comprendere come lo spirito agisca sul corpo, o il corpo sullo spirito. […] Ma la relazione tra il corpo e lo spirito diventa più chiara? Ad una distinzione spaziale sostituiamo una distinzione temporale: i due termini sono maggiormente capaci di unirsi? Bisogna notare che la prima distinzione non comporta gradualità; la materia è nello spazio, lo spirito è fuori dallo spazio; tra di essi non è possibile alcuna transizione. Al contrario, se il più umile compito dello spirito consiste nel legare i successivi momenti della durata delle cose, se è in quest’operazione che prende contatto con la materia e per essa anche se ne distingue innanzi tutto, si può concepire un’infinità di gradi tra la materia e lo spirito pienamente sviluppato18

Dopo aver seguito Bergson in Materia e memoria, vediamo se possiamo comprendere quale apporto originale ne derivi per la filosofia di Deleuze e che interpretazione ne dà nel suo saggio Il bergsonismo. Di Bergson sono molti i temi che il nostro filosofo può utilizzare per la sua trattazione: non dobbiamo innanzi tutto dimenticarci quanto l’insistere sulla memoria voglia dire insistere anche sulla sua virtualità, sulla possibilità di creare qualcosa di nuovo, di aprire altre possibilità e non semplicemente ripetere il passato, insistere quindi anche sulla libertà.

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E’ bene tenere presente che non possiamo prescindere dai concetti di attualizzazione e virtuale per capire quelli di differenziazione e differenza in Deleuze. Il virtuale non è attuale, ma possiede una realtà. Diversamente dal possibile, che non è reale, il virtuale non deve realizzarsi, ma semplicemente divenire attuale. Abbiamo delle linee di attualizzazione, che troviamo espresse chiaramente nell’opera del 1907, L’evoluzione creatrice. In questo testo vediamo come la durata faccia parte di tutto l’universo, anch’esso dura e questo è ben visibile nell’attesa19, che unisce la nostra coscienza al mondo materiale. Se ci collochiamo

nella durata, come esperienza vissuta, possiamo intuire allora la realtà concreta. L’intuizione sarà il metodo presentato da Deleuze come il metodo bergsoniano per eccellenza nel saggio Il bergsonismo, caratterizzato dalla conoscenza immediata, dalla denuncia dei falsi problemi e la riconciliazione tra verità e creazione, ritrovando le differenze di natura e le articolazioni del reale. Se seguiamo Bergson, dice l’autore, possiamo comprendere le articolazioni del reale, ma vedere anche dove queste convergono. L’intuizione quindi è presentata come un metodo problematizzante, temporalizzante, differenziante.

La durata comunque sarà immanente all’universo ed è in questo senso che vanno viste le linee di attualizzazione. La realtà è presentata in L’evoluzione creatrice come mobilità, in cui non esistono cose ma solo stati che mutano. La vita è come una corrente che va da un germe all’altro tramite lo sviluppo dell’organismo. Che cosa è allora lo slancio vitale? Questo slancio si conserva nelle linee evolutive in cui si divide e causa le variazioni che si trasmettono e che creano nuove specie. La vita quindi procede per dissociazione e sdoppiamento a partire da un tutto unico e

19 Si veda il celebre esempio in L’evoluzione creatrice del bicchiere d’acqua zuccherata, in cui

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viene paragonata a una granata esplosa in frammenti a partire da una forza interna esplosiva. E’ la forza interna allo slancio vitale stesso a far sì che esistano queste linee di attualizzazione. La durata rappresenta qui il principio unico e allora potremmo chiederci se Bergson può essere visto come un monista in questo caso. La questione se egli sia monista o dualista è problematica. Jankélévich, nel suo testo Bergson, parla di “uno monismo della sostanza e un dualismo della tendenza”. La durata anche in questo testo successivo è un insieme che si divide in tendenze irriducibili tra loro, che porta da un lato alla vita e all’intelligenza e da un lato alla materialità.

In ogni linea di attualizzazione si crea qualcosa di nuovo, uno scarto. E in questo senso possiamo allora occuparci della differenza e della ripetizione, concetti che formano il titolo di un’opera deleuziana. La virtualità si differenzia, l’evoluzione è un continuo cambiamento e mutamento in qualcosa che prima non esisteva. La differenza non può essere ricondotta al concetto di rappresentazione e di identità. La ripetizione sarà allora possibile solo se si accompagna a un piccolo scarto; deve cadere quel primato dell’identità proprio del mondo della rappresentazione e Deleuze insisterà molto su questo, e lo farà proprio a partire da Bergson. Sarà allora a questo proposito molto utile rifarsi al linguaggio artistico, come vedremo nel capitolo successivo, per uscire dalla concettualizzazione della filosofia classica. La figura artistica, che sia l’immagine cinematografica o la pittura di Bacon, di cui noi ci occuperemo in particolar modo, costituisce un’entità complessa autonoma, un composto di sensazioni che attraversa vari livelli e si muove in una pluralità di campi. Deleuze sviluppa con grande forza il concetto bergsoniano di virtuale,

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proprio a partire dal concetto di differenza20. Nei termini deleuziani l’opera d’arte si presenterà come forma ibrida e paradossale, intermedia tra l’organicità e il caos del disordine. L’opera artistica rappresenterà quindi per noi l’intreccio di attualità e virtualità in cui il ritmo, di derivazione maldineyana, costituisce l’unità dei sensi nella sensazione non rappresentativa. Ma di questo parleremo più approfonditamente nel prossimo capitolo. Dobbiamo però partire dalla filosofia dell’immanenza di Bergson per capire veramente poi l’estetica deleuziana.

Per Bergson il reale è mutamento, e solo se ci allontaniamo dalle abitudini condivise dell’esperienza ordinaria, che ci offre oggetti distinti e immobili possiamo comprenderlo veramente; lo scopo della filosofia è allora oltrepassare i limiti dell’esperienza ordinaria, a cui secondo Bergson la fenomenologia resta ancora troppo ancorata, e arrivare a una metafisica antidogmatica. La posizione preliminare di un soggetto costituente è dogmatica e Bergson parte allora dal mondo di immagini, come abbiamo già detto. Per questo sarà accusato di dogmatismo, ma secondo Godani21 ingiustamente, visto che anche se preesistono al soggetto le immagini non trascendono mai l’esperienza. Quindi, ci dice Godani, il bergsonismo non è né uno spiritualismo né un materialismo. Ci propone semplicemente un piano di immanenza, concetto fondamentale poi in Deleuze. La nostra percezione è nelle cose e le cose partecipano della natura della nostra percezione. Arriviamo a comprendere questa strutturazione delle cose attraverso il concetto di tensione, che ci consente di superare l’opposizione tra quantità e qualità, così come il concetto di estensione ci faceva oltrepassare la dicotomia tra esteso e inesteso. Si ha una medesima molteplicità intensiva, con vari gradi di tensione, un unico piano in cui

20Cfr. il saggio Il concetto della differenza in Bergson, del 1956 21 Vedi per questo P. Godani, Bergson e la filosofia, ETS, Pisa, 2008

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si ha l’eterogeneo come modificazione interna. Il bergsonismo può essere visto, come dice anche Godani, come una vera e propria teoria della molteplicità. E soprattutto ciò che viene trattata è una molteplicità continua, senza punti di disgiunzione: la durata è composta da istanti che si compenetrano. Se la continuità (molteplicità numerica) nello spazio è una continuità aritmetica e omogenea, la continuità (molteplicità continua) nel tempo è tale per cui ogni divisione muta la natura della stessa molteplicità, porta a una trasformazione. Il movimento stesso in Bergson sarà primariamente molteplicità continua e solo dai nostri schemi spaziali viene ridotto a molteplicità numerica, mentre invece la condizione del movimento reale è la stessa memoria, come contrazione temporale. La durata è molteplicità intensiva e ogni sintesi temporale della durata è opera di ciò che viene definita memoria ontologica. Nel saggio Il bergsonismo Deleuze mette in luce l’indiscernibilità che secondo lui sussiste tra memoria, durata e virtuale. Con il ricordo che si attualizza ci installiamo nel passato e questo secondo l’autore ci porta a un passo importante: il salto nell’ontologia, che caratterizza la seconda fase del pensiero bergsoniano. L’appello al ricordo è il passaggio necessario per potersi installare nell’ontologia, ci dice Deleuze, che però sembra non distinguere troppo i diversi punti di vista all’interno delle opere bergsoniane, poiché in realtà Materia e memoria non offre nessuna concezione ontologica, che troviamo esclusivamente nell’opera successiva, L’evoluzione creatrice. Quando Deleuze parla di contrazione ontologica per descrivere la contrazione di tutti i piani virtuali del passato sta in realtà dando un’interpretazione forzata della filosofia di Bergson, che non sempre ricade nell’ontologia.

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A questo punto è forse il caso di passare a trattare un tema fondamentale: in Bergson troviamo un’impostazione dualista o monista? Deleuze scrive:

Non c’è forse contraddizione fra i due momenti del metodo, fra il dualismo delle differenze di natura e il monismo della contrazione-distensione? […] Tra distensione e contrazione che differenza ci può essere se non quella di grado e di intensità?22

In Materia e memoria Bergson sembra presentarci un pluralismo di durate e una pluralità di ritmi, mentre in L’evoluzione creatrice le cose durano in rapporto al