2. Deleuze a partire da Bergson
2.3 Dai dualismi al monismo: il piano di immanenza
Abbiamo quindi visto come Deleuze trovi in Bergson un punto di partenza importante. Alla discesa di Bergson aveva corrisposto anche quella della fenomenologia francese e le conseguenti critiche che quest’ultima muove a Bergson23. Merleau Ponty, visto che a noi interessa in particolare, critica la concezione della durata in Fenomenologia della percezione, dandone un’interpretazione che però può essere considerata discutibile. Concepisce infatti la durata ancora dal punto di vista psicologico, che invece Bergson vuole superare; possiamo infatti dire che sia il fenomenologo che il filosofo francese precedente alla sua fenomenologia sono in realtà interessati a confutare la soggettivizzazione del tempo, che rimane l’emblema della concezione dualista della coscienza. Inoltre in Fenomenologia della percezione l’autore non riesce a cogliere la prossimità che crediamo possa sussistere tra la concezione della durata e il tema husserliano della sintesi passiva, che Merleau Ponty riprende ampiamente e fa suo, per oltrepassare appunto quel realismo o idealismo tipico della tradizione.
Deleuze, che si oppone fermamente alla fenomenologia francese, vede invece in Bergson un solido sostegno per le sue idee. Ma egli non recepisce solo la filosofia bergsoniana, pone anzi molta attenzione anche verso Spinoza, altro centro filosofico attorno a cui ruoterà la sua filosofia. I temi spinoziani rielaborati dal filosofo francese sono: il piano di immanenza e il percorso etico che segue per costruirlo. Il piano di immanenza sarà ciò su cui ci interessa soffermarci, mentre tralasceremo in questo caso il secondo punto. Il piano di immanenza possiamo comprenderlo in realtà anche alla luce di ciò che abbiamo detto per quanto riguarda
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Bergson, come dovrebbe ormai essere chiaro. Quando infatti alla fine del paragrafo precedente abbiamo parlato di un monismo ontologico di fondo a cui secondo Deleuze approda Bergson abbiamo aperto la strada alla possibilità di costituire questo piano. Spinoza unisce ontologia ed etica, e le fonde in maniera orizzontale, cioè non privilegiando nessuna delle due, a differenza della ontologia tradizionale che poneva un principio superiore all’essere e si sottoponeva a un’istanza morale. Le cose sono modi dell’essere e l’essenza non sarà più generale, ma legata inscindibilmente all’esistenza. Non esiste trascendenza, nessun principio superiore, non esiste un piano delle essenze e un piano dei modi, ma esiste invece un unico piano di immanenza. Sarà in Deleuze un piano di composizione, cioè da costruire, da tracciare, e non già dato e meramente contemplativo. Questo sarà illuminante per ciò che diremo nel prossimo capitolo riguardo alla differenza tra rappresentazione e figurazione. Il mondo è fatto di mescolanze corporee, ma queste si uniscono e si rapportano tra loro producendo effetti incorporei, eventi, essenze singolari, immanenti alle mescolanze corporee, cioè gli stessi corpi (entità estensive) sotto il profilo intensivo. Ciò che accade implica sempre una parte di attualità e una parte di virtualità, da una parte lo scorrere del tempo cronologico e dall’altra, a un livello non più cronologico, l’eternità dell’evento. In ogni caso tutto questo è da intendere come disgiunto e unito, appunto nel piano di immanenza. Questo piano può essere pensato, leggiamo nel testo La piega. Leibniz e il barocco, in due modi, cioè come due piani, che corrispondono al movimento del pensiero e al movimento dell’essere, che sono presentati come indiscernibili, così come ci aveva detto per le mescolanze corporee e l’incorporeo in Logica del senso. In Che cos’è la filosofia? oltre a Spinoza è appunto Bergson l’altro filosofo portato come
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esempio di colui che ha saputo riconoscere un piano di immanenza: Materia e memoria è la manifestazione dell’indiscernibilità appunto del movimento della materia e del movimento della coscienza che si uniscono su uno stesso piano. L’inizio del testo bergsoniano ripartiva dal senso comune: un mondo di immagini che ci viene dato e la nostra percezione ordinaria come una limitazione e selezione di ciò che ci è offerto. Deleuze sembra riprendere Bergson quando poi nelle opere sul cinema ci parlerà dell’occhio non umano, come condizione di un mondo di immagini esistenti in sé, che sarà affine alla coscienza impersonale che Bergson sembra teorizzare tra le righe dei suoi testi. La vita stessa deve essere pensata come immanenza assoluta, come leggiamo in un brevissimo saggio di Deleuze. E allora per capire meglio cosa voglia significare quest’immanenza rifacciamoci al suo opposto: la trascendenza per il filosofo è ciò da cui derivano mere illusioni, l’illusione di un principio del mondo che è ontologicamente distinto. Deleuze si contrappone al principio dell’identità e della trascendenza, l’illusione del negativo di stampo hegeliano, che coglie solo le differenze attuali e estese nel reale. Le differenze invece hanno una natura intensiva. Il concetto chiave per comprendere il significato di immanenza è il termine espressione24. Con questo concetto ci liberiamo dal peso dell’emanazione e della rassomiglianza: le idee non sono modelli, le cose non sono imitazioni ma modi del divino in Spinoza. La produzione dei modi avviene per differenziazione, così come avveniva per linee di attualizzazione lo smembrarsi della forza interna dello slancio vitale bergsoniano. Paradossalmente quindi concludiamo cercando di spiegare l’affermazione che possiamo leggere nel testo di Miguel De Beistegui, L’immagine di quel pensiero.
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Deleuze filosofo dell’immanenza: “l’univocità apre direttamente a un’ontologia della differenza”. Ripartiamo quindi da dove eravamo inizialmente con Bergson; quel districarsi continuo tra dualismo e monismo è ciò che caratterizza entrambi i filosofi. Tutte le differenze sono espressione dello stesso senso dell’essere, che è proprio la stessa differenza. Viene in questo modo riconciliato l’univocità dell’essere e il fluire del divenire. L’espressione può allora essere identificata con la differenziazione.
Spinoza rimarrà centrale anche quando Deleuze abbandonerà la problematica dell’espressione per affrontare la questione della produzione e si avvicinerà allora all’ambito della psicoanalisi, per criticare i suoi concetti cardine. Il testo che a questo punto è bene tenere in considerazione è allora Mille piani. Leggiamo un passo che tratta proprio del piano di immanenza:
Forse ci sono due piani o due maniere di concepire il piano. Il piano può essere un principio nascosto, che dà a vedere ciò che si vede, a capire ciò che si capisce…ecc., facendo in modo che a ogni istante il dato sia dato, sotto un certo stato, in un certo momento. Ma il piano stesso non è dato. E’ nascosto per natura. Si può soltanto inferirlo, indurlo, dedurlo a partire da ciò che dà (simultaneamente o successivamente, in sincronia o diacronia). Un tale piano infatti è tanto d’organizzazione quanto di sviluppo: è strutturale e genetico, o le due cose a un tempo. […] Il fatto è che il piano, così concepito o così fatto, concerne ad ogni modo lo sviluppo delle forme e la formazione dei soggetti. E’ inevitabile quindi che il piano stesso non sia dato. […] Anche se viene detto immanente, lo è solo per assenza, analogicamente (metaforicamente, metonimicamente ecc..) […] Poi c’è un piano o una concezione del piano del tutto differente. Qui non ci sono assolutamente più forme o sviluppi di forme né soggetti e formazioni di soggetti. Non c’è più struttura che genesi. Ci sono soltanto rapporti di movimento e di riposo, di velocità e lentezza tra elementi non formati, molecole e particelle di ogni sorta. Ci sono soltanto ecceità, affetti, individuazioni senza soggetto, che costituiscono concatenamenti collettivi. […] Chiamiamo questo piano, che conosce soltanto le longitudini e le latitudini, le velocità e le ecceità, piano di consistenza e di composizione (in opposizione al piano di organizzazione e di sviluppo). E’ necessario un piano di immanenza e di univocità. Lo chiamiamo quindi un piano di Natura25.
25 G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia 2, Istituto della Enciclopedia
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2. 4 Il mondo rizomatico di Deleuze
Mille piani. Capitalismo e schizofrenia 2, che esce nel 1980, è scritto insieme a Felix Guattari, come il precedente volume L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, opera pubblicata nel 1972, che critica l’impostazione della psicoanalisi, vista come castrazione del desiderio, e ci presenta un’ipotesi alternativa a questa: vedere la schizofrenia non come una malattia, ma come il processo stesso del desiderio e della vita e concepire la schizoanalisi come quella disciplina che si propone una distruzione preliminare, distruzione dell’io e dei suoi presupposti, liberando la vita non organica e prepersonale, per poi far scoprire in ogni soggetto la natura delle sue macchine desideranti. L’inconscio della psicoanalisi si oppone all’inconscio produttivo di Deleuze, che deriva ancora da quel virtuale bergsoniano, che si rinnova continuamente. L’opposizione a Freud è quindi molto sentita: non dobbiamo sostituire alla manifestazione dell’inconscio un apparato di macchine di soggettivazione, ma arrivare invece alla produzione del desiderio stesso. L’anti-Edipo aveva, come dice Deleuze, un’ambizione kantiana, mentre Mille piani rivendica una posizione post-kantiana. Vogliamo costruire positivamente in questo secondo testo. In Differenza e ripetizione e nell’opera L’anti-Edipo Deleuze aveva un’impostazione che potremmo definire trascendentale, mentre in Mille piani, allo stesso modo che in Logica del senso, precedente, si vuole specificare in cosa consista veramente questo piano di immanenza. Un concetto fondamentale in quest’opera che stiamo analizzando è quello di concatenamento, che Deleuze considera da due differenti punti di vista:
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semiotico (rapporto tra corpi e segni26) e cartografico, che sviluppa il concetto di concatenamento in termini di linee, spazi, territori. Il concatenamento è da intendere come un accoppiamento tra elementi (un contenuto e un’espressione) disparati, ma che allo stesso tempo divengono elementi indiscernibili, un incontro, che è allo stesso tempo un modo d’individuazione, che viene definito da Deleuze e Guattari come ecceità. Si tratta di un’individuazione che potremmo chiamare impersonale27,
che si distingue dall’individuazione di una persona, di un soggetto, di una cosa. E’ infatti centrale nella filosofia deleuziana il termine singolare, da non intendere come individuale, ma anzi da considerare come una sua opposta alternativa. La singolarità accade nella trama delle connessioni macchiniche, che vedremo meglio in seguito, è processuale, non è né la persona, né la coscienza, né l’individuo. E’ sempre prioritario il processo di individuazione e non l’individuo stesso. Avevamo già trattato di una dualità di termini, nel ricordare la distinzione di Logica del senso tra corpi ed eventi incorporei, ma qui la distinzione tra contenuto ed espressione si fa sempre più flebile e vedremo come questo sarà di assoluta importanza per capire anche la pittura di Bacon, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo e che Deleuze tratta in particolar modo nell’opera Francis Bacon. Logica della sensazione. Vogliamo infatti dare un’idea dei concetti chiave di Mille piani proprio perché secondo la nostra prospettiva sono imprescindibili per poter comprendere cosa interessi di Bacon a Deleuze e perché la sua pittura possa essere considerata una trasposizione artistica del pensiero deleuziano. Ripartiamo allora dal concatenamento: questo deve descrivere una molteplicità di configurazioni e allo
26 A proposito del concatenamento come relazione tra corpi Deleuze parla di concatenamento
macchinico, mentre per la relazione tra segni abbiamo il concatenamento collettivo di enunciazione
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stesso tempo permettere una loro distinzione intrinseca. Deleuze scrive che il concatenamento si apre sulle forze del Cosmo.28 Leggiamo in Mille piani:
Appare qui un rapporto diretto materiale-forze. […] Si tratta ora di elaborare un materiale destinato a captare forze di un altro ordine: il materiale visivo deve catturare forze non visibili. Rendere visibile, diceva Klee, e non rendere o riprodurre il visibile. In questa prospettiva la filosofia segue lo stesso movimento delle altre attività; mentre la filosofia romantica invocava ancora un’identità sintetica formale che assicurasse un’intellegibilità continua della materia (sintesi a priori), la filosofia moderna tende a elaborare un materiale di pensiero per catturare delle forze non pensabili in quanto tali. E’ la filosofia- Cosmo, alla maniera di Nietzsche. E’ la svolta postromantica; l’essenziale non è più nelle forme e nelle materie o nei temi, ma nelle forze, nelle densità, nelle intensità. La terra stessa si capovolge e tende a valere come il puro materiale di una forza gravifica o di pesantezza. Forse bisognerà attendere Cézanne perché le rocce esistano soltanto per le forze di piegamento che captano, le mele per le forze di germinazione: forze non visibili e tuttavia rese visibili.29
Troviamo qui citato Cézanne e sarà proprio del rapporto tra la sua pittura e quella di Bacon che parleremo approfonditamente nel prossimo capitolo, prima a partire dalla trattazione della pittura cézanniana in Merleau Ponty, per poi passare all’analisi della pittura di Bacon in Deleuze, mantenendo come presupposto teorico le concezioni filosofiche da cui traggono origine.
Per descrivere un concatenamento, seguendo un metodo dell’immanenza, Deleuze utilizza la linea, come grado intensivo: avremo linee segmentarie, molecolari o di fuga. Questa metodologia è ciò che possiamo chiamare cartografia, che si oppone fortemente al metodo arborescente (metodo arborescente basato sul concetto di radice e tronco e su una gerarchia verticale, logica del calco e della riproduzione30). Il modello cartografico è in realtà il modello del rizoma, che si realizza sempre localmente, come una molteplicità di linee poste su un unico piano, senza una
28 Le forze saranno un concetto centrale nella trattazione della pittura di Bacon
29 G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia 2, Istituto della Enciclopedia
italiana, Roma 1987 p. 499
30 Dobbiamo tenere presente queste precisazioni per la presentazione della pittura di Bacon che
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finalità globale e senza conseguire la realizzazione di uno sviluppo organico. Se il rizoma è il modello astratto del pensiero che interessa portare avanti in quest’opera, la macchina astratta (altro concetto fondamentale per Deleuze è proprio quello di macchina) è il modo concreto in cui il pensiero rizomatico si realizza. Questa è singolare, creatrice, opera nei concatenamenti concreti e non ha nulla di trascendente, ha semplicemente il carattere di virtuale rispetto al concatenamento che è attuale. Scrive Deleuze: “Le macchine sono sempre delle chiavi singolari che aprono e richiudono un concatenamento, un territorio”.
Vediamo ora in cosa consiste il rizoma. Si presenta come un tubero, un bulbo, e quindi al contrario di un albero o di una radice non ha un orientamento verticale, dall’alto al basso o viceversa e non ha un ordinamento gerarchico e non si origina a partire da un’unità centrale, ma può essere più assimilabile a una rete, anche se non coincide nemmeno con questa. Il pensiero tradizionale è invece arborescente e non ha quindi mai compreso la molteplicità. I caratteri del rizoma sono: la connessione tra i vari punti che costituiscono l’insieme e che si uniscono quindi tra loro, l’eterogeneità degli elementi che lo compongono, la molteplicità, nel momento in cui il molteplice diventa un sostantivo e non ci sono punti ma solo linee, la rottura asignificante, data dalle possibilità che offre la linea di fuga, il principio di cartografia e decalcomania, per cui non esiste un asse genetico e una struttura profonda ma solo una carta in presa sul reale.
La dimensione rizomatica si impone come un esito da costruire. Intravediamo allora un certo dualismo se seguiamo Deleuze nelle pagine di Mille piani, poiché sembra quasi suggerire che la radice e il rizoma si spartiscono il mondo, in una continua contingenza processuale in cui si formano stati di cose
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misti. L’albero e il rizoma non sono però due modelli in contrasto, poiché l’uno è da intendere come trascendente e l’uno come immanente; quindi non assistiamo in realtà a un altro dualismo ma possiamo dire che in quest’opera siamo immersi in un pluralismo che è al contempo monismo. Definiamo piano qualsiasi molteplicità connettibile ad altre per fare un rizoma. Il rizoma è sempre “tra”, mai “da-a”, sta nel mezzo, non comincia e non finisce, è un movimento di linee, è divenire. Nella sua teoria della molteplicità Deleuze presenta quindi il rizoma come ciò in cui si intersecano i vettori, gradi di deterritorializzazione, che si alternano a riterritorializzazioni31. Si formano infatti degli strati, fenomeni di ispessimento, che creano il mondo come lo conosciamo: si tratta di strati di tipo fisico-chimico, organico e antropomorfico. Ciò che interessa l’autore è però, ormai dovremmo averlo capito, comprendere come poter uscire dagli strati, comprendere ciò che ci può trascinare al di fuori. Gli strati fisici non esauriscono la materia, gli strati organici non esauriscono la vita, gli strati antropomorfici non sono gli unici possibili. Vedremo nel dettaglio il non organico nel paragrafo del capitolo seguente in cui tratteremo del corpo senza organi. Leggiamo solo un passo del testo per iniziare ad avere un’idea, sebbene ancora poco precisa al riguardo:
Un corpo non si riduce ad un organismo, come lo spirito di corpo non si riduce all’anima di un organismo. Lo spirito non è migliore, ma è volatile, mentre l’anima è gravifica, centro di gravità. Bisogna allora indicare un’origine militare del corpo e dello spirito di corpo? Non è “militare” che conta, ma una lontana origine nomade. […] Vi è qui qualcosa che non si lascia ricondurre né al monopolio di un potere organico né ad una rappresentazione locale, ma rinvia alla potenza di un corpo vorticoso in uno spazio nomade.32
31 Con il concetto di territorio dobbiamo pensare al fenomeno di soggettivazione e chiusura, che
se non accompagnato da un movimento di deterritorializzazione è dogmatico e assiologico e contro quest’impostazione centrata sul soggetto Deleuze si oppone fortemente in tutta la sua filosofia, secondo una concezione del reale prepersonale, in divenire, de-soggettivata e rizomatica.
32 G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia 2, Istituto della Enciclopedia
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La potenza di un corpo vorticoso in uno spazio nomade, per chi conosce la pittura di Bacon, sembra l’espressione perfetta per descrivere buona parte dei suoi quadri, ed è per questo che il tema del corpo ritornerà prepotentemente, proprio nella sua originarietà. E poche pagine dopo troviamo una precisazione proprio su questo spazio nomade e il Nomade stesso:
In questo senso si può dire che il nomade non ha punti, né tragitti, né terra, benché indubbiamente ne abbia. Se il Nomade può essere chiamato il Deterritorializzato per eccellenza è precisamente perché la riterritorializzazione non si produce dopo, come per il migrante, né su altra cosa, come per il sedentario […] Per il nomade al contrario è la deterritorializzazione a costituire il rapporto con la terra, cosicché egli si riterritorializza sulla deterritorializzazione stessa.33
Per il momento è sufficiente soffermarci sul concetto di strato. I significati di strato e di concatenamento non sono sovrapponibili, poiché in realtà i concatenamenti, anche quando si costituiscono negli strati, operano in funzione di decodificazione, di deterritorializzazione. Come abbiamo già detto i due movimenti chiave nella dimensione rizomatica deleuziana sono appunto la territorializzazione e la deterritorializzazione, lasciare cioè il territorio, che si realizzano nei complessi di linee e questi due movimenti sono inscindibili. Possiamo ora passare all’ultima distinzione che ci interessa tra quelle proposte da Deleuze in Mille piani: esistono due tipi di linee, corrispondenti a due tipi di spazi. La linea può essere subordinata al punto, se si tratta di una linea molare e forma allora uno spazio striato, in un sistema arborescente, o la linea può invece essere privilegiata rispetto al punto, se si tratta di linee molecolari, e forma uno spazio liscio, rizomatico. Questa distinzione di spazi prende le mosse anch’essa dalla precedente suddivisione bergsoniana di spazio omogeneo ed estensione, che Deleuze reinterpreta per la sua
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filosofia. Vedremo come la concezione della linea sarà uno snodo centrale per la pittura di Bacon. E il tutto sarà da ricollegare anche alla tematica del corpo, a cui vogliamo dedicarci espressamente proprio a partire dal testo su Bacon, e senza la quale non potremmo appunto afferrare l’idea artistica del pittore. Leggiamo un