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La banalità del male ai nostri giorni.

Capitolo II: Comprendere il male nella sua banalità.

3. La banalità del male ai nostri giorni.

Hannah Arendt era partita per Gerusalemme con l’intenzione di scrivere un resoconto giornalistico del processo Eichmann, ma al suo ritorno negli Stati Uniti si rese conto, durante l’elaborazione degli articoli che poi andranno a formare il testo de La banalità del male, che tramite questa esperienza era riuscita a porsi della domande che mettevano in gioco la riflessione filosofica occidentale sul male.

Come abbiamo potuto notare nel paragrafo precedente la conclusione a cui arriva la Arendt dopo aver osservato Eichmann risulta essere l’esistenza di un collegamento tra il male e il pensiero, pensiero interpretato dalla nostra autrice come dialogo con se stessi, tramite cui ognuno ogni uomo scruta ciò che dice o fa. Secondo l’analisi arendtiana difatti non c’è bisogno di un “cuore malvagio” per compiere il male, come abbiamo ben potuto constatare dal caso Eichmann. A compiere il male sono persone “normali” che non pensano, il non pensare è «la possibilità sempre latente in ognuno di noi […] di mancare l’appuntamento con se

stessi»93, è qualcosa di estremamente pericoloso perché insegna agli individui ad

aggrapparsi a regole già prescritte abituandoli a non dover mai prendere una

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decisione da soli. Per questo nel nostro presente, come afferma la nostra autrice, c’è così tanto bisogno di filosofia, perché è necessario esercitare la nostra ragione come capacità di pensiero in quanto solo quest’ultima è in grado di prevenire il male.

Cosa resta dopo la riflessione arendtiana sulla banalità del male? È proprio

tale quesito che si pone Simona Forti94 nel suo saggio intitolato appunto Male.

Quest’autrice individua alcuni elementi del totalitarismo che continuano ad esistere ancora nel nostro presente. La filosofia secondo Simona Forti ha un compiuto importante nella nostra attualità, ovvero andare ad individuare quelle dinamiche messe in moto dai regimi totalitari che sono ancora in atto nel nostro tempo proprio perché se non si identificano tali sviluppi, che Simona Forti chiama “spettri”, corriamo il rischio che si presentino in altre sembianze nel nostro futuro, come dice la stessa autrice: «la filosofia di oggi deve chiedersi cosa resta ancora attivo di

quelle dinamiche totalizzanti potenzialmente totalitarie»95.

Uno di questi spettri di cui la filosofia ha il compito di occuparsi è lo “spettro

della normalità del male” o “spettro dell’irresponsabilità organizzata”96. Il male si

manifesta nel rendere gli uomini passivi e conformisti, l’esperienza di Auschwitz filtrata dalle parole della Arendt ha dimostrato al mondo intero che persone normali possono essere protagonisti di crimini enormi, sia tramite l’azione che l’inazione, basti pensare a quei soggetti che non hanno trovato la forza di opporsi a quello che

94 Professoressa di storia del pensiero politico contemporaneo, ha dedicato numerosi lavori allo

studio del totalitarismo tramite l’analisi del pensiero arendtiano.

95 Simona Forti, Male in Il Novecento di Hannah Arendt. Un lessico politico, cit., p. 56.

96 Hannah Arendt ha avuto il merito di individuare tre snodi teorici cruciati nei quali si svelano i resti

attuali della totalità. Simona Forti propone di chiamarli rispettivamente: spettro dell’ “Iper-umanità” o spettro bio-politico; spettro della menzogna assoluta o spettro della crisi del reale; spettro della normalità del male o spettro dell’irresponsabilità organizzata

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nel contesto del totalitarismo nazista era la regola. La Arendt ha provato come

«l’omissione non è meno attiva dell’azione»97, non agire in questo contesto ha la

sua colpevolezza. Persone normali sono riuscite a mettere in piedi un’organizzazione perfetta tramite l’intreccio di tante irresponsabilità, difatti senza il supporto di un popolo ubbidiente ciò che avvenne durante i regimi totalitari non sarebbe mai potuto accadere. Il totalitarismo ci ha mostrato che un male devastante può essere effettuato da semplici “demoni mediocri”.

Il male nella nostra contemporaneità non è più pensabile secondo la Forti come opposto al bene oppure come strumento utilizzato in previsione di un bene futuro. Il male deve essere ricondotto, è stato proprio questo l’intento della Arendt con l’elaborazione del testo La banalità del male, alla responsabilità di ogni singolo individuo. Questo ci serve per scardinare attualmente il legame tra potere colpevole e funzionari obbedienti ed innocenti. L’autoinganno che giornalmente ci imponiamo ripetendoci che è impossibile cambiare ci impone di conformarci agli altri. Noi come uomini possediamo la capacità di resistere al male tramite il pensiero mettendo in discussione l’autorità, contrastando ciò che viene definito dalla norma

perché «conformismo, obbedienza, inazione sono i nuovi attributi del male»98. La

Arendt sottolinea nel testo La banalità del male che Eichmann non è sprovvisto di coscienza, ma al contrario quest’ultima articola il proprio linguaggio a seconda di ciò che affermava la società rispettabile del suo tempo e se la società, nel contesto della Germania nazista, diceva che era normale uccidere vittime innocenti lui lo faceva senza porsi tante domande. È proprio su questo che si basa il crollo dei valori

97 Ivi, p. 65.

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morali del ventesimo secolo descritto dalla nostra autrice: «La manifestazione del vento del pensiero non è la conoscenza, è l’abilità di discernere il bene dal male, il

bello dal brutto»99.Il giudizio che ci esime dal commettere il male non proviene da

una particolare cultura, ma dalla nostra capacità di pensare. E proprio dove è assente tale capacità si trova potenzialmente “la banalità del male”. In tale prospettiva resistere al male significa esercitare il pensiero a interrogare costantemente se stesso, impedendo che si metta fine al dialogo.

Durante i primi tempi del regime Eichmann si era comportato come tante altre persone che non si erano opposte al nazismo perché erano impressionate dal suo successo e ad incapaci di pronunciare il proprio giudizio contro quello che essi stessi ritenevano un verdetto storico. Per questo Eichmann accetta: «il nuovo comandamento […] non recitava più “non uccidere”, ma “tu devi uccidere”; non un nemico che minaccia, ma persone inoffensive che avevano la colpa di fuoriuscire

dai parametri di umanità stabiliti dal regime»100. Solo all’interno della Germania

nazista questo diventa un dovere morale ed in condizioni diverse la maggior parte delle persone si sarebbero sottratte ad un comandamento del genere.

Hannah Arendt si è interrogata per tutta la sua vita sui presupposti teorici e ontologici che hanno reso possibili i regimi totalitari. Se questo è stato il compito dalla filosofia novecentesca allora la filosofia politica attuale si deve interrogare, come ha fatto Simona Forti, su queste dinamiche non ancora in atto ma che potrebbero portare a risultati totalitari.

99 Hannah Arendt, Il pensiero e le considerazioni morali in Responsabilità e giudizio, cit., p. 163. 100 Simona Forti, La figura del male in Le origini del totalitarismo, cit., p. XLVII.

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Capitolo III: Tra apolide e paria: il problema di chi vive senza “un posto nel