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Capitolo II: Comprendere il male nella sua banalità.

1. Comprendere per riconciliarci.

Ciò che ha portato la Arendt alla scrittura è la sua sete di comprensione,

come essa stessa ha dichiarato in un’intervista rilasciata a Günter Gaus55 nel 1964:

«Ciò che mi preme è comprendere. Per me scrivere significa cercare di

comprendere, fa parte di questo processo»56. Ma cosa vuol dire per la nostra autrice

“comprendere”? La comprensione, per la Arendt, è un processo molto complesso, grazie al quale gli uomini possono venire a patti con la realtà che li circonda. Comprendere corrisponde a un'attività senza fine, sempre diversa e mutevole, la quale avviene secondo un processo circolare, che presuppone dapprima una comprensione preliminare, che sta alla base di ogni conoscenza, e poi una comprensione autentica, la quale abbraccia l’attività critica del giudicare, che trascende la conoscenza stessa e la rende significativa. Difatti, afferma la nostra autrice, «l’esito della comprensione è il significato, che noi generiamo nel processo stesso della vita nella misura in cui cerchiamo di riconciliarci con ciò che facciamo

e subiamo»57. Il risultato di tale processo sarà appunto la ricerca di significato che

inizia dal momento stesso in cui veniamo al mondo, dato che fin dall’attimo in cui siamo nati entriamo a far parte, data la nostra unicità, di un mondo di cui siamo effettivamente stranieri. Grazie a questa attività infinita noi riusciamo perciò ad affrontare ed accettare la realtà, qualunque essa sia. Evidenziata la definizione della

55 Günter Gaus è un noto giornalista tedesco che in seguito diverrà alto funzionario nel governo

guidato da Willy Brandt. Questa intervista venne investita del premio Adolf Grimme, premio televisivo tra i più prestigiosi per la televisione tedesca, se non il più importante, chiamato anche Oscar della tv tedesca.

56 Hannah Arendt, “Che cosa resta? Resta la lingua”. Una conversazione con Günter Gaus in

Antologia. cit., p. 3.

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comprensione all’interno del pensiero arendtiano possiamo ben capire che il comprendere non ha nulla a che fare con il dimenticare, ma è, invece, l’attività che permette agli uomini di riconciliarsi con un mondo in cui cose come il totalitarismo sono state rese possibili.

Il saggio Comprensione e politica (le difficoltà del comprendere) inizia esattamente cosi: «Sono in molti a sostenere che non si può combattere il totalitarismo senza comprenderlo, ma fortunatamente sbagliano, altrimenti il nostro

sarebbe un caso disperato»58. L’unica cosa che riusciamo a riconoscere del

totalitarismo in questo momento, secondo la nostra autrice, è la sua terribile originalità e, dato che il pericolo totalitario non scompare con la soppressione di tali regimi, perché potrebbe ripresentarsi ogni qual volta si riproporranno le condizioni preliminari che hanno permesso la sua evoluzione, non possiamo aspettare di comprendere il totalitarismo in toto per combatterlo, perché potremo comprenderlo, in ogni suo aspetto, solo quando quest’ultimo verrà sconfitto definitivamente. La compresione di eventi storici o politici risulta così complessa proprio perché tali eventi riguardano questioni prettamente umane. Il totalitarismo potrà essere compreso solo nel momento in cui un nuovo evento storico ci permetterà di mettere in luce il passato, questo non vuol dire però che potrà essere dedotto da quest’ultimo59. La novità, ci dice la Arendt, è il regno dello storico, il quale si occupa di eventi che avvengono una sola volta «Solo quando qualcosa di

irrevocabile è avvenuto possiamo cercare di ricostruirne la storia»60.

58 Ivi, p. 107.

59 La causalità, ovvero pretendere di spiegare gli eventi riconducendoli ad una catena causale, per la

Arendt corrisponde a negare la libertà umana, ovvero la nostra capacità a dare inizio a qualcosa di nuovo.

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E' compito difatti storico scoprire, in ogni periodo, l'imprevisto ed il nuovo con tutte le loro implicazioni e mettere in evidenza il pieno potere del loro significato. Sebbene ogni storia abbia un inizio ed una fine, lo storico deve sempre tenere presente che ogni evento avviene all’interno di una Storia più ampia, una storia che ha molti inizi ma nessuna fine.

La comprensione è un’impresa difatti che non potrà mai coincidere con la riduzione della complessità della realtà, tipica dei luoghi comuni o delle semplificazioni ideologiche, anche se ovviamente sarebbe molto più semplice assimilare il male totalitario a qualcosa di cui l’uomo ha già fatto esperienza. La difficoltà che concerne la comprensione di tale sistema si fa ancora più acuta nel momento in cui non solo gli uomini sono incapaci di generare significato, dato che quest’ultimo, come abbiamo detto, è il fine della comprensione, ma quando le persone, come è accaduto nella contemporaneità della Arendt, non ricercano più tale significato e non si preoccupano più di riconciliarsi con ciò che è accaduto, perché è proprio questo che vuol dire cercare di comprendere il totalitarismo: tentare di riconciliarci con un mondo in cui l’estremo orrore è divenuto reale. Ciò deve essere veramente compreso, in questo contesto, è che l’individualità umana può essere completamente distrutta anche se l’uomo fisico non è stato ancora ucciso. L’orrore del totalitarismo non risiede soltanto negli atti di cui gli uomini si sono resi protagonisti all’interno di questo sistema, ma sta soprattutto nell’aver messo in risalto l’inutilizzabilità dei nostri vecchi giudizi morali e categorie politiche. Come faremo allora a cogliere appieno il totalitarismo se esso ha distrutto tutti i nostri vecchi sistemi di riferimento, rendendoli inadeguati? Basti pensare, in questo caso, al processo di Norimberga, durante il quale il mondo intero si è reso

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conto dell’impossibilità di ricondurre i crimini nazisti a concetti quali omicidio o persecuzione. Sebbene la comprensione non ci possa dare dei risultati utili contro il totalitarismo, essa deve sempre accompagnare la lotta contro tali movimenti perché questi ultimi sono nati da un mondo non totalitario e proprio per questo si potrebbero ripresentare nel futuro. Anche se in questo momento gli uomini non sanno esattamente contro cosa stiano combattendo, è evidente per la Arendt che devono lottare per la libertà umana.

Come abbiamo sottolineato nel precedente capitolo, la combinazione di terrore ed indottrinamento ideologico nei regimi totalitari è riuscita a portare l’uomo in uno stato di completa insensatezza. Ciò che è avvenuto, all’interno di tali regimi,

è stata la sostituzione del senso comune61, il senso politico per eccellenza, con la

logica stringente del pensiero ideologico. Le ideologie, caratterizzate dal trattare un’ipotesi scientifica come un’idea che può essere applicata all’intero processo storico, hanno la particolarità, se divengono totalitarie, di far in modo che tale “idea” degeneri in una premessa logica, ovvero «un’asserzione autoevidente da cui

tutto il resto può essere derivato con implacabile coerenza»62. In questo contesto, il

concetto di verità viene eliminato del tutto e sostituito dalla pura logicità. È proprio nel momento in cui il senso comune non sostiene più il nostro bisogno di comprensione, come è avvenuto nei totalitarismi, che l’uomo accetta la logica al suo posto, dato che quest’ultima non presuppone nessun mondo comune condivisibile tra gli uomini e quando anche l’ultimo residuo di spazio tra gli individui sarà demolito a questi ultimi non rimarrà che affidarsi alle semplici, ma

61 Per Hannah Arendt il “senso comune” equivale alla facoltà di giudicare che è il senso politico per

eccellenza in quanto riesce a tener conto di più prospettive possibili di una determinata cosa.

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efficaci tautologie. Se l’uomo diviene incapace di agire non potrà mai dare avvio a qualcosa di nuovo che rompa gli schemi prefissati del totalitarismo stesso. Nel momento, però, in cui riusciamo a capire che la comprensione corrisponde all’altra faccia dell’azione, tramite cui gli uomini che agiscono vengono a patti con ciò che è accaduto, possiamo finalmente ricollegarci con ciò che esiste davvero: «Comprendere equivale a venire a patti con il mondo […] che significa quindi prendere atto della realtà assorbendone l’urto […] tale accettazione è a suo modo

catartica e terapeutica per l’essere umano»63. Questo vuol dire che il “fardello” che

il potere dell’azione fa gravare su ogni uomo in quanto agente, può essere supportato grazie al dono della comprensione. La Arendt, alla fine del saggio Comprensione e politica, cita infatti la preghiera di re Salomone, il quale implorava Dio di offrirgli un “cuore comprensivo”, dato che solo il cuore umano può riuscire a farsi carico del peso delle azioni che l’uomo può e potrebbe compiere, solo un cuore capace di comprendere può permetterci di «sopportare di vivere con gli altri,

sempre estranei, in uno stesso mondo, e consentire a loro di sopportarci»64.

Possiamo definire la comprensione, perciò, come il farsi carico di ciò che è accaduto di positivo o di negativo nella realtà che ci circonda. Qual è la capacità umana per eccellenza che ci permette di metterci a distanza dalla realtà effettiva e di comprenderla? È la facoltà dell’immaginazione, la quale riesce a dar luogo

«attraverso la rappresentazione del possibile» la «trasformazione dell’esistente»65.

L’immaginazione, per la nostra autrice, è parte integrante della comprensione. Tale capacità ci permette di porci a distanza rispetto ciò che è accaduto, per poter

63 P. Costa, Il dono di un cuore comprensivo: Hannah Arendt di fronte al Novecento, introduzione

in H. Arendt, Antologia, cit., p. XIX.

64 Ivi, p. 125.

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assumere il punto di vista degli altri, per poterci liberare dai nostri particolarismi ed accedere ad un giudizio imparziale distaccandoci da ciò che è dato. Questo processo creativo ci porta ad avere fiducia nella possibilità del cambiamento, infonde in noi speranza sul futuro, perché se il presente in cui viviamo non ci rappresenta può essere cambiato grazie alle nostre azioni.

La Arendt nelle sue opere sottolinea ripetutamente che il comprendere non ha nulla a che fare con il perdonare. Il perdono, di cui parleremo nei prossimi capitoli, è una capacità umana che può essere esercitata solo nei confronti di colpe individuali e punibili. Difatti possiamo perdonare esclusivamente quelle colpe che non oltrepassano i limiti di ciò che è umanamente significativo e proprio per questo il perdono non è applicabile al contesto dei totalitarismi. Mentre la comprensione si riferisce alla capacità umana di supportare il fardello del nostro tempo, perdonare invece è una delle azioni umane più audaci perché dà vita ad un nuovo inizio proprio dove l’atto era già stato compiuto, poiché l’uomo in quanto agente è per definizione un potenziale inizio e nell’agire deve farsi carico di un’insostenibile responsabilità, il perdono solleva, se concesso, l’uomo dal peso dei suoi atti. Dato che il nazismo risulta essere un attacco alla diversità e alla pluralità umana, il perdono dei crimini commessi durante tale regime risulta essere fuori discussione. Non è assolutamente possibile perdonare ciò che è avvenuto nei sistemi totalitari, ma in compenso c’è un estremo bisogno di comprendere come sia possibile sopportare questo “fardello” del nostro tempo per andare avanti. Comprendere è un’attività importantissima per riconoscere, ricordare ed infine poter giudicare. Vorrei concludere questo breve excursus sulla comprensione con una citazione della Arendt, che a mio parere riesce a racchiudere tutto ciò che volevo sottolineare su tale attività:

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La convinzione che tutto quanto avviene sulla terra debba essere comprensibile all’uomo può condurre a interpretare la storia con luoghi comuni. Comprendere non significa negare l’atroce, dedurre il fatto inaudito da precedenti, o spiegare i fenomeni con analogie e affermazioni generali in cui non si avverte più l’urto della realtà e dell’esperienza. Significa piuttosto esaminare e portare coscientemente il fardello che il nostro secolo ci ha posto sulle spalle, non negare l’esistenza, non sottomettersi supinamente al suo peso. Comprendere significa insomma affrontare spregiudicatamente, attentamente la realtà, qualunque essa sia.66