L'ACCESSO ALLA PROCEDURA PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE
2. LE BARRIERE NORMATIVE ALL'ACCESSO ALLA PROCEDURA PER IL RICONOSCIMENTO DELLA
2.2 Barriere normative all'accesso alla procedura nell'ambito della direttiva sulle procedure
2.2.1 La nozione di Paese di primo asilo.
La direttiva 05/85/CE ha predisposto in maniera organica la disciplina relativa alle nozioni di Paese sicuro, dal punto di vista tanto delle definizioni quanto delle conseguenze giuridiche.
La direttiva stabilisce infatti che uno Stato può essere considerato
Paese di primo asilo di un richiedente qualora questi “sia stato riconosciuto in detto Paese quale rifugiato e possa ancora avvalersi di tale protezione”, oppure “goda altrimenti di protezione sufficiente in detto Paese, tra cui il fatto di beneficiare del principio di non refoulement”.206 Tale definizione ricomprende
dunque nell'ambito di applicazione della norma sia le fattispecie in cui al richiedente asilo sia stato riconosciuto lo status di rifugiato, sia i casi in cui al medesimo sia stata concessa una forma complementare di protezione. In quest'ultimo caso la disposizione richiede tuttavia dei requisiti ulteriori. Occorre in primo luogo che sia garantito il rispetto del principio di non respingimento, e su tale aspetto non si pongono particolari questioni interpretative. In secondo luogo è necessario che la protezione accordata sia “sufficiente”, e sull'esatto significato di tale espressione possono sorgere dei dubbi. È stato infatti giustamente osservato come le norme di diritto internazionale facciano costante riferimento al diverso concetto di “protezione effettiva”, nozione il cui contenuto, grazie anche agli apporti giurisprudenziali di varia provenienza, è venuto a delinearsi nei suoi aspetti fondamentali.
Di particolare interesse sono, a tale proposito, le osservazioni svolte dalla Commissione europea nella comunicazione “Verso regimi di asilo
più accessibili, equi e meglio gestiti”.207 Qui la Commissione ha osservato 206 Art. 26.
207 Commissione europea, “Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Verso regimi di asilo più accessibili, equi e meglio gestiti”, 03.06.2003, COM (2003) 315 def., par. II, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2003:0315:FIN:IT:PDF
che “sembra esservi (...) un consenso generale fra gli Stati membri sul fatto che la
protezione può dirsi "effettiva" quando ricorrono come minimo le seguenti condizioni: sicurezza fisica, garanzia contro il respingimento (refoulement), accesso alle procedure d'asilo dell'ACNUR o alle procedure nazionali con sufficienti garanzie, qualora ciò sia necessario per accedere a una protezione effettiva o a soluzioni durature, e benessere socioeconomico, inclusi, come minimo, l'accesso ai servizi sanitari di base e all'istruzione elementare, nonché l'accesso al mercato del lavoro e a mezzi di sostentamento sufficienti per mantenere un tenore di vita adeguato”.
È interessante osservare come, alla luce di quanto affermato dalla Commissione, il concetto di “protezione effettiva” vada al di là della mera osservanza del principio di non respingimento, e si arricchisca di un contenuto che coinvolge anche gli aspetti dell'accoglienza che potremmo definire di matrice socio-economica. Tale impostazione pare trovare una qualche assonanza in talune pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di protezione par ricochet ex art. 3 Cedu. I giudici di Strasburgo, infatti, pur non arrivando ad affermare un obbligo in capo agli Stati di garantire determinati standard di assistenza, hanno tuttavia riconosciuto che, in situazioni ben determinate, l'art. 3 Cedu osta all'allontanamento dello straniero non solo verso un Paese in cui vi sia un pericolo di persecuzione o tortura, bensì anche verso quei contesti in cui, in ragione della posizione particolare dell'interessato e della situazione nello Stato di destinazione, l'individuo venga ad essere sottoposto a situazioni di estrema sofferenza correlata a mancanza di condizioni di vita adeguate (carenza di mezzi di cura, di nutrimento, ecc).208 Per quanto riguarda
l'ambito della nostra indagine, questa impostazione è stata di recente
208 Di particolare evidenza Corte europea dei diritti dell'uomo, D. c. Regno Unito, sentenza
02.05.1997, ricorso n. 146/1996. Sul punto cfr. inoltre Röhl Katharina, “Fleeing violence and poverty :non-refoulement obligations under the European Convention of Human Rights”, in UNHCR New issues in refugee research, Working Paper No. 111, january 2005, in particolare pagg. 20 sgg., reperibile in http://www.unhcr.org/41f8ef4f2.pdf
adottata nella pronuncia nel caso M.S.S. c. Belgio e Grecia:209 in tale occasione
la Corte, dopo aver ribadito la necessità di prendere in considerazione la
situazione particolare dei singoli individui,210 ha ritenuto che proprio la
vulnerabilità che contraddistingue la condizione dei soggetti in cerca di protezione dovesse farle concludere che “the Greek authorities have not had due
regard to the applicant’s vulnerability as an asylum seeker and must be held responsible, because of their inaction, for the situation in which he has found himself for several months, living in the street, with no resources or access to sanitary facilities, and without any means of providing for his essential needs. The Court considers that the applicant has been the victim of humiliating treatment showing a lack of respect for his dignity and that this situation has, without doubt, aroused in him feelings of fear, anguish or inferiority capable of inducing desperation. It considers that such living conditions, combined with the prolonged uncertainty in which he has remained and the total lack of any prospects of his situation improving, have attained the level of severity required to fall within the scope of Article 3 of the Convention”.211
Pertanto, se da un lato la Commissione ha affermato che la “protezione
effettiva” degli individui non si limita al rispetto del principio di non refoulement, ma presuppone anche la garanzia di determinati diritti sociali di
base, dall'altro lato la Corte di Strasburgo ha riconosciuto che la posizione di particolare vulnerabilità dei richiedenti fa sì che questi non possano essere inviati verso luoghi ove non siano garantiti loro livelli accettabili di assistenza.
Alla luce di quanto sopra occorre dunque porsi il problema dell'effettivo significato della diversa nozione di “protezione sufficiente”, utilizzata dalla direttiva procedure nella definizione dei criteri per l'individuazione degli Stati terzi che possono rientrare nell'ambito della
209 Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, M.S.S. c. Belgio e Grecia, sentenza
21.01.2011, ricorso n. 30696/09.
210 Cfr. par. 217, ove si osserva che “where the Court is called upon to examine the conformity of the manner and method of the execution of the measure with the provisions of the Convention, it must look at the particular situations of the persons concerned”.
categoria dei Paesi di primo asilo. Per quale motivo il legislatore dell'Unione avrebbe adottato tale nozione dai contorni alquanto sbiaditi, a scapito di una categoria ampiamente radicata nel diritto internazionale, quale quella afferente al concetto di “protezione effettiva”? Il sospetto, avanzato da parte della dottrina, è che si sia inteso in tal modo abbassare gli standard di tutela, predisponendo dei criteri meno stringenti ai fini dell'applicazione della
nozione di Paese di primo asilo.212 Anche l'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati ha criticato espressamente l'utilizzo del concetto di
“protezione sufficiente”, affermando che quest'ultimo “non è definito, e non rappresenta un'adeguata garanzia quando occorre determinare se un richiedente asilo può essere rinviato in condizioni di sicurezza in un Paese di primo asilo”.213 In ogni
caso è da precisare che gli Stati membri, nel disporre il rinvio di un richiedente in applicazione della nozione di Paese di primo asilo, non potranno non tenere in considerazione la posizione della Corte europea dei diritti dell'Uomo, la quale ha sancito che i soggetti in cerca di protezione non possono essere trasferiti verso luoghi ove i livelli di accoglienza diano luogo a condizioni di vita caratterizzate da indigenza e assoluta precarietà.
La conseguenza giuridica dell'individuazione di uno Stato terzo come Paese di primo asilo del richiedente, ai sensi della direttiva 05/85/CE, è l'irricevibilità della domanda di protezione, che lo Stato membro non sarà
tenuto ad esaminare nel merito.214 È evidente dunque l'impatto che tale
strumento può avere in termini di accesso alla procedura per il
212 Sul punto cfr. C. Costello, “The Asylum Procedures Directive and the Proliferation of Safe Country Practices: Deterrence, Deflection and the Dismantling of International Protection?”, in European Journal of Migration and Law, 2005, n. 7, p. 56.
213 Traduzione a cura dell'autore, cfr. Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(UNHCR), “UNHCR comments on the European Commission’s proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on minimum standards on procedures in Member States for granting and withdrawing international protection (COM(2009)554, 21 October 2009)”, par. 26, reperibile in: http://www.unhcr.org/cgi-bin/texis/vtx/refworld/rwmain?docid=4c63ebd32
214 Cfr. art. 25 della direttiva. Il medesimo significato è inoltre anticipato nel considerando n. 22
della direttiva, in base al quale “gli Stati membri dovrebbero esaminare tutte le domande nel merito (...) salvo se altrimenti previsto dalla presente direttiva, in particolare se si può ragionevolmente presumere che un altro Paese proceda all'esame o fornisca sufficiente protezione. In particolare, gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a valutare il merito della domanda di asilo se il Paese di primo asilo ha concesso al richiedente lo status di rifugiato o ha altrimenti concesso sufficiente protezione e il richiedente sarà riammesso in detto Paese”.
riconoscimento della protezione internazionale, e l'importanza che dello stesso venga fatta un'applicazione conforme ai principi di diritto internazionale e non lesiva dei diritti degli individui, aspetti sui quali avremo modo di approfondire lo studio nel prosieguo della trattazione.
2.2.2 La nozione di Paese terzo sicuro.
L'art. 27 della direttiva sulle procedure non fornisce una definizione del concetto di “Paese terzo sicuro”; piuttosto, detta i criteri alla base della sua applicazione . Occorre in primo luogo che nello Stato in questione non sussistano minacce alla vita ed alla libertà “per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale”, norma che
richiama i parametri della Convenzione di Ginevra alla base del riconoscimento dello status di rifugiato. Inoltre è necessario che nel Paese terzo sia rispettato il principio di non refoulement, nonché “il divieto di allontanamento in violazione del
diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti”. Occorre
inoltre che vi sia la possibilità di chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato e, in caso di accoglimento della domanda, di ottenere protezione in conformità alla Convenzione di Ginevra. In dottrina è stato osservato come all'interno di tali criteri difetti un esplicito riferimento all'effettiva tutela dei diritti umani nello Stato terzo, aspetto che solo in parte viene coinvolto dal requisito che impone l'assenza di minacce alla vita ed alla libertà. Tale lacuna deriverebbe da una concezione che tende a considerare
separatamente l'ambito dei diritti umani e quello dei diritti dei rifugiati:215 a
ben vedere trattasi di un'impostazione discutibile, soprattutto se si considera l'importanza che il pieno ed effettivo rispetto di tutti i diritti umani dovrebbe avere nell'ambito della valutazione sulla sicurezza di uno Stato.
215 Cfr. G. Bartolini, “Osservazioni in margine alla direttiva procedure 2005/85/CE”, in P. Benvenuti
È importante notare come l'onere della prova circa la sicurezza dello Stato terzo ricada sulle autorità dello Stato membro: la disposizione in esame stabilisce infatti che “gli Stati membri possono applicare il concetto di Paese
terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che una persona richiedente asilo nel Paese terzo in questione riceverà un trattamento conforme ai (...) criteri” sopra
elencati.
Va tuttavia osservato che i parametri posti dalla direttiva alla base della qualificazione di uno Stato come Paese terzo sicuro appaiono insufficienti a fornire indicazioni adeguate e stringenti, risolvendosi in criteri minimali. In particolare la direttiva non affronta in maniera diretta la questione centrale del tipo di legame che deve intercorrere fra lo Stato terzo ed il richiedente asilo: su tale punto si limita infatti a demandare alle legislazioni nazionali, senza alcuna ulteriore indicazione al riguardo, la predisposizione di norme che definiscano tale legame, in base al quale possa ritenersi “ragionevole” per l'interessato recarsi nel Paese terzo. Sulla necessità di definire in maniera rigorosa il legame che deve sussistere fra il richiedente protezione e lo Stato terzo si è espresso anche l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il quale ha peraltro sottolineato come a tal fine il mero transito dell'interessato sul territorio del Paese terzo non possa essere considerato un elemento sufficiente, risolvendosi spesso nel “risultato di circostanze
fortuite, e non implicando necessariamente l'esistenza di un significativo legame o connessione”.216
Analogamente a quanto abbiamo visto per la fattispecie relativa al Paese
di primo asilo, anche l'applicazione della nozione di Paese terzo sicuro fa sì che
gli Stati membri abbiano la facoltà di giudicare la domanda di asilo
216 Traduzione a cura dell'autore, cfr. Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(UNHCR), “UNHCR comments on the European Commission’s proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on minimum standards on procedures in Member States for granting and withdrawing international protection (COM(2009)554, 21 October 2009)”, par. 27, reperibile in: http://www.unhcr.org/cgi-bin/texis/vtx/refworld/rwmain?docid=4c63ebd32
irricevibile, con la conseguenza che in tal caso gli stessi “non sono tenuti ad
esaminare se al richiedente sia attribuibile” la protezione internazionale.217
Va tuttavia osservato che, se da un lato gli Stati membri possono ritenersi esonerati da un esame nel merito delle ragioni che stanno alla base della domanda di asilo, d'altro canto gli stessi non possono sottrarsi ad un'analisi approfondita, condotta su base individuale, che miri ad accertare se lo Stato terzo può realmente essere considerato un Paese terzo sicuro per quel determinato soggetto. La direttiva prevede infatti l'adozione di disposizioni interne da parte degli Stati membri che disciplinino le modalità di applicazione dell'istituto in esame: fra queste vi sono norme che prevedono “l'esame caso per caso della sicurezza del Paese per un determinato
richiedente”, nonché “norme conformi al diritto internazionale per accertare con un esame individuale se il Paese terzo interessato sia sicuro per un determinato richiedente”.218
Va ancora osservato come l'art 23 par. 4 lett. c) della direttiva preveda la possibilità per gli Stati membri, allorquando si tratti di decidere nel merito su una domanda di protezione in relazione alla quale sia da applicare la nozione di Paese terzo sicuro, di adottare una procedura di esame prioritaria o accelerata. Tale facoltà risulta dunque predisposta a favore degli Stati membri che non prevedano nel proprio sistema la automatica irricevibilità di tali domande.
Un elemento della direttiva che deve essere accolto favorevolmente è la previsione di norme interne“che consentano almeno al richiedente di impugnare
l'applicazione del concetto di Paese terzo sicuro a motivo del fatto che egli vi sarebbe soggetto a tortura o ad altra forma di pena o trattamento crudele, disumano o degradante”.219 Tale disposizione consente infatti di dare ulteriore rilievo alla
situazione individuale e personale del richiedente, indipendentemente dalle
217 Cfr. art. 25 della direttiva. 218 Cfr art. 27 par. 2 lett. b) e c). 219 Art. 27, par. 2, lett. c.
considerazioni generali sul Paese terzo, permettendogli di far valere le proprie ragioni a fronte di eventuali valutazioni aprioristiche. Tuttavia, come è stato giustamente osservato, tale previsione non pare sufficiente a fare emergere completamente le esigenze di tutela dei diritti umani e di
“protezione effettiva” dell'individuo, limitandosi a predisporre un rimedio per i
soli casi in cui la situazione di pericolo nello Stato terzo sia di una criticità tale da poter essere equiparabile alle fattispecie contemplate all'art. 3
Cedu.220
La direttiva prevede che quando le autorità degli Stati membri adottano una decisione basata esclusivamente sull'applicazione della nozione in esame, devono informarne l'interessato, cui dovrà essere consegnato un documento con il quale si avvisano le autorità dello Stato terzo che la
domanda di asilo non è stata esaminata nel merito.221 È inoltre stabilito che,
qualora non venga concesso al richiedente asilo l'ingresso nel Paese terzo, questi venga ammesso alla procedura per il riconoscimento della
protezione internazionale nello Stato membro.222 Tuttavia, come avremo
modo di vedere nel prosieguo della trattazione, tali garanzie non paiono sufficienti ad assicurare il pieno rispetto del diritto di accesso alla protezione internazionale.
Infine va sottolineato come l'ACNUR abbia riscontrato, sulla base di un'indagine condotta negli Stati membri, che l'applicazione del concetto di
Paese terzo sicuro negli ordinamenti nazionali è oggi estremamente ridotta.223
Ciò è dovuto in primo luogo al fatto che, in seguito all'allargamento
220 Sul punto cfr. C. Costello, cit., p. 60. 221 Cfr. art. 27 par. 3.
222 Art. 27, par. 4.
223 Cfr. Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), “Improving asylum procedures. Comparative analysis and recommendations for law and practice”, marzo 2010, p. 60, reperibile in: http://www.unhcr.it/news/dir/91/view/763/improving-asylum-procedures-76300.html
Cfr. inoltre Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), “UNHCR comments on the European Commission’s proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on minimum standards on procedures in Member States for granting and withdrawing international protection (COM(2009)554, 21 October 2009)”, par. 27, reperibile in: http://www.unhcr.org/cgi- bin/texis/vtx/refworld/rwmain?docid=4c63ebd32
dell'Unione agli Stati dell'Europa centro-orientale, un gran numero di Paesi in riferimento ai quali l'istituto poteva trovare potenziale applicazione hanno cessato di essere “Stati terzi”. Il conseguente ingresso di tali Paesi nel cosiddetto “sistema di Dublino” ha fatto sì che l'ambito di applicazione dei trasferimenti ai sensi del regolamento Dublino II si sia esteso grandemente, a scapito dei rinvii verso i Paesi terzi sicuri.224
2.2.3 La nozione di “Paese terzo europeo sicuro”.
La direttiva 05/85/CE ha introdotto anche una nuova categoria giuridica, quella dei “Paesi terzi europei sicuri”. Possono essere riconosciuti tali gli Stati che abbiano ratificato ed osservino la Convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche, che dispongano di una procedura di asilo, che abbiano aderito alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e ne rispettino le disposizioni, ivi comprese quelle in materia di ricorso
effettivo.225 Proprio il requisito dell'adesione alla Cedu costituisce la ragione
della denominazione “Paese terzo europeo sicuro”, dal momento che solo gli Stati del continente europeo hanno la possibilità di soddisfare tale condizione, e conseguentemente essere ricompresi nella categoria in esame.
La direttiva prevede che qualora un richiedente asilo sia entrato illegalmente, o abbia tentato di entrare illegalmente, da un Paese appartenente a tale categoria, “gli Stati membri possono prevedere che l'esame della
domanda di asilo e della sicurezza del richiedente stesso relativamente alle sue condizioni specifiche (...) non abbia luogo o non sia condotto esaurientemente”.226
La ratio di questa previsione risiede nella presunzione che determinati Stati terzi, caratterizzati in particolare dal fatto di essere parti della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, possano essere considerati più sicuri di altri, tanto che in dottrina qualcuno ha parlato di “Paesi terzi
224 Sul punto cgr. Cfr. C. Costello, cit., p. 43. 225 Cfr. art. 36 par. 2.
supersicuri”,227 o “supersafe third countries”.228 Tale presunzione si fonda sulla
constatazione, per utilizzare le parole del considerando n. 24 della direttiva, che “determinati Paesi terzi europei (...) rispettano norme particolarmente elevate in
materia di diritti dell'uomo e di protezione dei rifugiati”. Tuttavia in dottrina è stato
giustamente osservato come la definizione dei requisiti per la determinazione degli Stati appartenenti a tale categoria si fondi su criteri prettamente formali (la ratifica della Convenzione di Ginevra, l'adesione alla Cedu, l'esistenza di una procedura di asilo), con una scarsa attenzione alla concreta salvaguardia dei diritti degli individui all'interno dei Paesi: ciò può dare origine ad attribuzione di tale qualifica a Stati che nei fatti non risultano sicuri per i richiedenti asilo, con il conseguente rischio di violazioni delle posizioni individuali di questi ultimi, ivi compreso il
pericolo di refoulement indiretto.229
Le conseguenze giuridiche dell'applicazione della nozione in esame