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L'ordinamento italiano 1 La presentazione della domanda.

4. L'ACCESSO ALLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE NEGLI ORDINAMENTI INTERNI.

4.1. L'ordinamento italiano 1 La presentazione della domanda.

L'accesso alla procedura d'asilo nel nostro ordinamento è

disciplinato dal decreto legislativo 28.01.2008,110 cosiddetto decreto

procedure, di recepimento della direttiva 2005/85/CE.

L'art. 6 del decreto prevede che “la domanda di protezione internazionale è

presentata personalmente dal richiedente presso l'ufficio di polizia di frontiera all'atto dell'ingresso nel territorio nazionale o presso l'ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente”.

Da questa disposizione si evince che un presupposto per la formulazione di una domanda d'asilo è rappresentato dal raggiungimento del territorio nazionale da parte dell'interessato. Peraltro va subito osservato come tale requisito non si sostanzi nell'ingresso regolare sul territorio, giacché anche coloro che siano entrati clandestinamente hanno diritto di avanzare la richiesta di protezione internazionale.

La polizia di frontiera che abbia ricevuto una richiesta di asilo, deve trasmetterla per via informatica alla questura competente per territorio, disponendo l'invio dell'interessato presso il medesimo ufficio. La questura, una volta ricevuta la domanda, procede alla redazione del verbale delle dichiarazioni del richiedente, e successivamente ha l'onere di assicurare

l'inoltro della domanda alla Commissione territoriale competente.111 A

questo proposito, va messa in evidenza l'importanza che può assumere

110 D.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”, in G.U. 16.02.2008, n. 40.

l'opera svolta dagli uffici delle questure: la fase di verbalizzazione, infatti, rappresenta un primo momento molto delicato, nel quale occorre cercare di fare emergere le ragioni che stanno alla base della domanda di protezione. Questa fase può condurre ad un risultato più o meno soddisfacente a seconda della capacità di venire incontro alle difficoltà di comunicazione del richiedente, delle prassi operative dei diversi uffici di questura, e del carico di lavoro cui gli stessi sono

sottoposti.112 A tale proposito va sottolineato come dalla buona qualità

della verbalizzazione discenda la possibilità per la Commissione territoriale di svolgere un'adeguata valutazione preliminare del caso sottoposto alla sua attenzione.

Va osservato come nella prassi operativa di talune questure si proceda alle operazioni inerenti la presentazione di una domanda di asilo in due distinte fasi. A tale proposito l'interessato si reca una prima volta presso gli uffici, ove generalmente si registra la domanda e si eseguono i rilievi fotodattiloscopici; quindi si invita il richiedente a ripresentarsi per un secondo appuntamento, ed è solo in questa ulteriore occasione che si procede alla vera e propria formalizzazione

della domanda di protezione e alla relativa verbalizzazione.113 Questa

prassi, le cui ragioni sono spesso da ravvisare nell'ingente carico di lavoro cui sono sottoposti gli uffici delle questure, è però foriera di possibili risvolti pregiudizievoli per i soggetti in cerca di protezione: nel lasso di tempo intercorrente fra le due presentazioni in questura, che può variare sensibilmente da un ufficio all'altro, il richiedente è in possesso solamente di un cedolino attestante il successivo

112 Questi aspetti sono emersi con particolare evidenza attraverso una ricerca effettuata sul

campo: cfr. M. Benvenuti (a cura di), “La protezione internazionale degli stranieri in Italia. Uno studio integrato sull'applicazione dei decreti di recepimento delle direttive europee sull'accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure”, Jovene, 2011, pp. 359 sgg. Sull'incidenza del carico di lavoro gravante sulle Questure, anche in termini di efficienza delle procedure, cfr. lo studio di E. Rossi e L. Vitali, “I rifugiati in Italia e in Europa. Procedure di asilo fra controllo e diritti umani”, Giappichelli, 2011, pp. 37 sgg.

appuntamento negli uffici. Questa situazione, come è stato giustamente osservato, “appare del tutto incompatibile con l'attuale quadro normativo

delineato sia nel diritto dell'UE che in quello statale, in quanto produce una categoria di c.d. richiedenti asilo de facto (e non quindi de iure), collocati in una sorta di limbo giuridico, creato dal mero ritardo dei pubblici poteri”.114 A questo

proposito occorre non dimenticare quanto disposto dalla direttiva sulle condizioni di accoglienza, in base alla quale “gli Stati membri provvedono

affinché, entro tre giorni dalla presentazione della domanda di asilo all'autorità competente, ai richiedenti asilo sia rilasciato un documento nominativo che certifichi lo status di richiedente asilo o che attesti che il richiedente asilo è autorizzato a soggiornare nel territorio dello Stato membro nel periodo in cui la domanda è pendente o in esame”.115

È importante osservare come, a differenza di quanto previsto in

precedenza nella Legge Martelli,116 la polizia di frontiera non sia più titolare

di alcun potere di filtro in merito all'ammissibilità delle domande di protezione internazionale: ciò significa che la stessa non può impedire l'accesso al territorio e alla procedura di un richiedente asilo, essendo ogni questione sull'ammissibilità e sul merito demandata alla competenza esclusiva della Commissione territoriale competente per l'esame della

domanda.117

In dottrina è stato osservato come l'eventuale distinzione fra i due momenti della presentazione della domanda (alla polizia di frontiera) e della redazione del verbale (presso la questura), unita all'assenza di indicazioni specifiche circa le modalità di formulazione della richiesta, debbano far ritenere che la domanda di asilo possa “essere avanzata in

114 M. Benvenuti (a cura di), cit., p. 374. 115 Art. 6 par 1. della direttiva 03/9/CE.

116 D.l. 30 dicembre 1989, n. 416, G.U. 30 dicembre, n. 303, convertito con modificazioni in

legge 28 febbraio 1990, n. 39, G.U. 28 febbraio 1990, n. 49, “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato”.

qualsiasi forma e possa anche esplicarsi nella semplice manifestazione di volontà di voler accedere alla procedura”.118 Tuttavia, se questi sono i principi affermati dalle

norme di diritto, spesso può accadere che, nella realtà dei fatti, tali principi vengano messi in discussione da difficoltà di ordine pratico. È stato infatti messo in evidenza come il corretto espletamento delle procedure per l'accompagnamento del richiedente alla formalizzazione della domanda di asilo dipenda in buona misura dalla propensione e dalla capacità del personale della polizia di frontiera di interpretare e recepire le esigenze di protezione del soggetto: ciò risulta tanto più vero in quei casi in cui una richiesta di protezione non venga espressa chiaramente e

manifestamente.119 A questo proposito non bisogna dimenticare che, come

affermato dalla Commissione europea, “un cittadino di un paese terzo deve essere

considerato un richiedente asilo se esprime in un qualsiasi modo il timore di subire un grave danno facendo ritorno al proprio Paese di origine o nel Paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale. L'intenzione di chiedere protezione non deve essere manifestata in una forma particolare. Non occorre che la parola “asilo” sia pronunciata espressamente; l'elemento determinante è l'espressione del timore di quanto potrebbe accadere in caso di ritorno”.120

Va osservato come l'assenza di qualsiasi formalità nella proposizione dell'istanza e di qualsiasi obbligo di allegazione di documentazione a sostegno, determinino nell'autorità incaricata dell'esame della richiesta, cioè la Commissione territoriale, l'obbligo di svolgere un ruolo attivo nell'istruzione della domanda. Questo principio è stato sottolineato anche dalla giurisprudenza di legittimità,121 la quale ha inoltre ribadito come un tale ruolo attivo

investa anche il Giudice, il quale gode e deve fare uso di ampi poteri

118 A. De Bonis, “La procedura per il riconoscimento della protezione internazionale”, in C. Favilli (a cura

di), “Procedure e garanzie del diritto d'asilo”, Cedam, 2011, p. 190.

119 Sul punto cfr. M. Benvenuti (a cura di), cit., p. 353 sgg.

120 Commissione europea, raccomandazione C/2006/5186, che istituisce un comune Manuale pratico per le guardie di frontiera, p.to 10.1.

istruttori non solo quando si tratti di adottare una decisione in merito alla fondatezza o meno di una domanda di protezione internazionale, ma anche quando occorra stabilire se una richiesta di asilo sia stata effettivamente presentata alla polizia di frontiera, e da quest'ultima ignorata.

Nella medesima pronuncia la Corte di Cassazione ha ribadito il principio in base al quale “in tema di protezione internazionale, lo straniero

che sia giunto clandestinamente in Italia e venga trattenuto per accertamenti presso l'aerostazione di arrivo, ha diritto di presentare contestuale istanza di riconoscimento della condizione di rifugiato politico e di permanere nello Stato (munito di permesso temporaneo o ristretto nel Centro di identificazione) fino alla definizione della procedura avente ad oggetto la verifica delle condizioni per beneficiare dello status di rifugiato ovvero della protezione umanitaria. Ne consegue che deve ritenersi illegittimo il rifiuto da parte della polizia aeroportuale di ricevere detta istanza in sede di svolgimento dei primi controlli”.122

Allo scopo di rendere maggiormente effettiva la possibilità di accesso alla protezione internazionale, l'art. 11 comma 6 del D.Lgs. 25.07.1998, n. 286, ha inoltre previsto l'istituzione presso i valichi di frontiera di appositi servizi di accoglienza “al fine di fornire informazioni e

assistenza agli stranieri che intendano presentare domanda di asilo”.

Il decreto procedure non riprende la categoria di “persona a carico” di cui all'art. 6 della direttiva 05/85/CE, e pertanto ne consegue che tutti gli interessati hanno titolo per avanzare una richiesta di asilo autonomamente,

fondata su motivi individuali.123 Per quanto riguarda i minori, l'art. 6 del

decreto procedure stabilisce che “la domanda presentata da un genitore si

intende estesa anche ai figli minori non coniugati presenti sul territorio nazionale con il genitore all'atto della presentazione della stessa”. Tale disposizione fa sì

che la questura debba aprire autonomi fascicoli per ogni figlio minore,

122 Cassazione civile, sez. I, 15 dicembre 2009, n. 26253. 123 Sul punto cfr. M. Benvenuti (a cura di), cit., p. 366.

e la Commissione territoriale debba adottare una pronuncia individuale per ciascuno di essi, la quale dovrà ovviamente essere coerente con la

decisione adottata per il genitore.124 La norma in commento non

esclude tuttavia la possibilità per i minori di presentare un'autonoma

domanda di protezione internazionale.125

4.1.2. Il diritto a permanere sul territorio nazionale.

L'art. 7 comma 1 del decreto procedure, recependo quasi letteralmente l'omologo art. 7 par. 1 della direttiva procedure, afferma che “il richiedente e' autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato, ai fini

esclusivi della procedura, (...) fino alla decisione della Commissione territoriale in ordine alla domanda”. Si tratta a ben vedere di una garanzia fondamentale

a tutela dell'individuo, in assenza della quale il diritto di accesso alla protezione internazionale sarebbe messo seriamente in discussione. A tale proposito l'art. 26 prevede che, fatta eccezione per i richiedenti asilo che debbano essere accolti nei CARA o trattenuti nei CIE, all'interessato viene rilasciato un permesso di soggiorno valido per tre mesi, rinnovabile fino alla definizione della procedura di riconoscimento della protezione internazionale.

Sempre l'art. 7 comma 1 del decreto procedure prevede che “il

prefetto competente stabilisce un luogo di residenza o un'area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare”. Su tale disposizione è opportuno

spendere alcune parole, dal momento che la stessa solleva alcuni dubbi in merito alla sua legittimità costituzionale ed alla sua conformità con la disciplina dell'Unione europea.

Sotto il primo profilo va osservato come la disposizione del decreto legislativo appaia affetta da eccesso di delega, dal momento che la direttiva procedure, la cui disciplina l'esecutivo era stato incaricato di

124 A. De Bonis, cit., p. 191.

recepire, si limita a prevedere la possibilità che “i richiedenti asilo siano

tenuti a informare le autorità competenti del loro luogo di residenza o domicilio del momento e di qualsiasi cambiamento dello stesso, non appena possibile”,126 senza

nulla dire in merito ad un'eventuale limitazione alla libertà di

circolazione.127

In secondo luogo, occorre porsi il problema della compatibilità della disposizione in commento con la normativa dell'Unione. A tale proposito va osservato come la direttiva sulle condizioni di accoglienza affermi che “i richiedenti asilo possono circolare liberamente nel territorio dello

Stato membro ospitante o nell'area loro assegnata da tale Stato membro. L'area assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo d'azione sufficiente a garantire l'accesso a tutti i benefici della presente direttiva”.128 Dalla norma appena citata emerge che, se da un lato appare

ammissibile una limitazione dell'area geografica all'interno della quale il richiedente asilo possa circolare, lo stesso non può dirsi con riferimento alla possibilità in via generale di assegnare al richiedente uno specifico luogo di residenza. A riprova di quanto appena sostenuto, va osservato come la direttiva accoglienza preveda la possibilità di adottare una misura di questo tipo non in via generale, bensì solo in presenza di “motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove

necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda”.129 Alla

luce di quanto esposto, dunque, la disciplina del decreto procedure non appare in linea con la direttiva sulle condizioni di accoglienza, dal momento che contempla la possibilità di adottare in via generale, e dunque potenzialmente nei confronti di qualsiasi richiedente asilo, una

126 Art. 11 par. 2 lett. c.

127 Sul punto cfr. M. Benvenuti (a cura di), cit., p. 339. 128 Art. 7 par. 1 della direttiva 2003/9/CE.

misura che invece dovrebbe essere azionabile solo in presenza di

determinate ragioni tassative.130

Come si accennava, l'ingresso regolare sul territorio nazionale non è un requisito per la presentazione della domanda di protezione. Ne consegue che i richiedenti asilo non possono essere soggetti a provvedimenti di respingimento alla frontiera, né a provvedimenti di espulsione amministrativa.

La prima di tali figure è disciplinata dall'art. 10 del D. Lgs. n. 286 del 1998, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell'immigrazione e la condizione dello straniero.131 Tale norma opera

una distinzione fra il respingimento in senso stretto, previsto al primo comma, ed il respingimento differito, regolato dal capoverso. Il primo è effettuato nei confronti di coloro che raggiungono i valichi di frontiera privi dei documenti necessari per l'ingresso; il secondo è invece disposto dal questore con accompagnamento coattivo nei confronti degli stranieri che hanno fatto ingresso sottraendosi ai controlli di frontiera, o che siano stati fermati appena dopo essere entrati sul territorio nazionale, o ancora che vengano temporaneamente

130 Sul punto cfr. M. Benvenuti (a cura di), cit., p. 340.

131 Art. 10: “1. La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato.

2. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri:

a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendoli ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo;

b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso.

3. Il vettore che ha condotto alla frontiera uno straniero privo dei documenti di cui all'articolo 4, o che deve essere comunque respinto a norma del presente articolo, è tenuto a prenderlo immediatamente a carico ed a ricondurlo nello Stato di provenienza, o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio eventualmente in possesso dello straniero. Tale disposizione si applica anche quando l'ingresso è negato allo straniero in transito, qualora il vettore che avrebbe dovuto trasportarlo nel Paese di destinazione rifiuti di imbarcarlo o le autorità dello Stato di destinazione gli abbiano negato l'ingresso o lo abbiano rinviato nello Stato (1) .

4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 e quelle dell'articolo 4, commi 3 e 6, non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari.

5. Per lo straniero respinto è prevista l'assistenza necessaria presso i valichi di frontiera. 6. I respingimenti di cui al presente articolo sono registrati dall'autorità di pubblica sicurezza”.

ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso.132 Con

riferimento a queste fattispecie, il sesto comma della norma in esame prevede espressamente che “le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 e quelle

dell'articolo 4, commi 3 e 6, non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari”. La

norma pone pertanto un esplicito divieto di effettuare misure di respingimento alla frontiera nei confronti di soggetti che, entrati irregolarmente sul territorio nazionale o essendosi presentati alla frontiera senza avere i titoli per l'ingresso, abbiano avanzato una richiesta di protezione internazionale.

L'art. 19 del Testo unico prevede una norma a carattere più generale, applicabile sia alla fattispecie del respingimento alla frontiera che a quella dell'espulsione amministrativa, che richiama il principio di

non refoulement di cui alla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei

rifugiati. Afferma infatti la disposizione che “in nessun caso può disporsi

l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.

Anche la norma di cui all'art. 10 bis del D. Lgs. n. 286/1998,133 che

sanziona il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, detta una disposizione speciale a tutela dei richiedenti asilo: è previsto infatti che nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale il procedimento penale venga sospeso, e a

132 Cfr. M. Malena, “Respingimenti, rinvii forzati e politiche di «non arrivo»”, in F. Angelini, M.

Benvenuti, A. Schillaci (a cura di), “Le nuove frontiere del diritto dell'immigrazione: integrazione diritti, sicurezza”, Jovene, 2011, pp. 43 sgg.

seguito del riconoscimento della protezione il Giudice debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere.

L'art. 7 del decreto procedure prevede alcune eccezioni al diritto di permanenza sul territorio nazionale del richiedente asilo. Queste riguardano i casi di estradizione in forza di un mandato di arresto europeo, di consegna ad una Corte o ad un Tribunale penale internazionale, e di trasferimento in un altro Stato europeo in virtù delle norme del regolamento Dublino, relativo alla determinazione della competenza ad esaminare le domande di protezione internazionale. Va osservato a questo proposito come il decreto procedure presenti una disciplina più favorevole per i richiedenti asilo rispetto alla corrispondente norma della direttiva; quest'ultima, infatti, all'art. 7 par. 2 prevede due ulteriori deroghe al diritto di rimanere nel territorio dello Stato, che non sono state recepite dalla disciplina nazionale: ci riferiamo al caso dei richiedenti asilo nei confronti dei quali vi sia una domanda di estradizione verso uno Stato non appartenente all'Unione europea, nonché al caso dei soggetti che

abbiano presentato una domanda reiterata.134

Riassumendo, le norme descritte definiscono un quadro nel quale è previsto il diritto in capo al richiedente asilo di permanere sul territorio nazionale durante il corso della procedura per il riconoscimento della protezione. Corollario di tale principio è il dovere dello Stato di astenersi da qualsiasi misura di allontanamento che impedisca il corso e la definizione della richiesta dell'interessato.

Pertanto non sono dunque ammissibili forme di respingimento indiscriminato alla frontiera: le autorità dovrebbero sempre essere tenute ad effettuare un previo accertamento sull'identità dei soggetti e sulla loro effettiva provenienza, al fine di verificare la sussistenza di

eventuali esigenze di protezione internazionale.135 Ne consegue che

eventuali provvedimenti di allontanamento adottati dall'autorità amministrativa non possono avere carattere collettivo, essendo illegittime “le espulsioni adottate nei riguardi di un gruppo di stranieri senza che

per ciascuno di essi venga svolto un esame ragionevole ed obiettivo delle rispettive ragioni e difese innanzi all'autorità competente”.136

Questo principio non pare tuttavia essere stato preso sufficientemente in considerazione al momento dell'adozione del

Decreto Ministeriale n. 11835 del 14.07.2003,137 provvedimento con il

quale si è dettata la disciplina per l'esercizio dei poteri nell'ambito delle operazioni per il controllo e la prevenzione dell'immigrazione

irregolare via mare.138 A tale proposito, l'art. 7 comma 2 del decreto

prevede che “le unità navali (...) procedono, ove ne ricorrano i presupposti,

all'effettuazione dell'inchiesta di bandiera, alla visita a bordo, qualora sussista