Appunti per disegnare una mappa del consenso a re Arduino
S AN BARTOLOMEO A SPILAMBERTO DI MODENA : STORIA , GENTI E SALUTE di Simone Biondi
Grazie a chi con pazienza mi ha accompagnato in questo progetto. Paola, Mauro, Stefano.
Alla varietà di fonti sul tema dell’accoglienza in età medievale corrisponde un’insufficiente conoscenza archeologica delle strutture ospedaliere, in particolare, fra i secoli XI‐XIII. Alcune realtà come la Liguria e la Tuscia hanno portato in stampa una serie di lavori molto specifici su contesti legati alle strutture del ricovero e di pellegrinaggio. Scavi realizzati a Siena e a Vercelli hanno permesso di evidenziare notevoli specificità anche nelle restituzioni paleoantropologiche. Così come per l’Ospedale di San Bartolomeo a Spilamberto di Modena. Studi che hanno permesso di ricostruire uno spaccato sociale e demografico difficilmente tracciabile. Che l’archeologia così come le discipline vicine (come l’antropologia fisica, la topografia funeraria, lo studio della cultura materiale, ecc.) non possano riempire tutti i vuoti della ricerca storica è certamente vero. Altrettanto vero è che la storia ricostruita solo attraverso le fonti archivistiche, per quanto precisa, presenta spesso un quadro incompleto anche se apparentemente organizzato rispetto a una realtà così articolata. Un sistema politico, religioso, sociale è qualcosa alle volte di molto elusivo in termini materiali e tuttavia a ben guardare, processi che hanno indubbiamente un peso nella ricostruzione della storia di un territorio, come la fondazione di monasteri, di ospedali, fino alla pianificazione e allo sviluppo del paesaggio stesso possono essere correttamente ipotizzati attraverso un nuovo approccio multidisciplinare. Marc Bloch (1886‐1944), esortava a prendere coscienza del fatto che «la varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui»1.
There is a scarsity of archaeological knowledge regarding the hospital structures between the 11th and 13th centuries due to the complexity of sources on the theme of hospitality in the Middle Ages, in relation to the different forms of hospitalization of the body and the soul,. Fortunately, some organizations such as Liguria and Tuscia have provided a series of very specific works on contexts linked to shelter and pilgrimage facilities. Excavations carried out in Siena and Vercelli have allowed us to identify noteworthy specificity even in paleoanthropological restitution, including for the San Bartolomeo Hospital in Spilamberto di Modena. This has made possible the reconstruction of a social and demographic cross‐section that has previously been difficult to trace. It is certainly true that archaeology cannot fill the gaps of historical research. It is equally true that history discussed through the examination of archival sources, however careful, presents an incomplete picture even if apparently organized with respect to such a complex reality. A political, religious, social system is something that is sometimes very elusive in material terms and yet on closer inspection, processes that undoubtedly have a bearing on the reconstruction of the history of a territory, such as the foundation of monasteries, hospitals, and even the planning and development of the landscape itself can be reconstructed through a multidisciplinary approach. This kind of project is perhaps closer to the "rules" of social history.
1 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico (1949), Einaudi, Torino 1998, p. 52; C. PACINO, Storia sociale.
Metodi esempi strumenti, Marsilio, Venezia 2003, p. 109.
6. Ospitali benedettini in età basso medievale. San Bartolomeo a Spilimberto di Modena: storia, archeologia e salute
Monasteri e eremi da una parte, ospitali o hospitia2 dall’altra furono oltre che i luoghi preposti alla conforto dello spirito e delle carni, centri di controllo e di organizzazione sul territorio alla base di un’attenta programmazione politica e fiscale3. Non solo in termini di presenza e costruzione ex novo di istituti maschili e femminili, religiosi o laicali, ma quali centri di riferimento radicati tanto nelle città così come nei piccoli paesi. Occupando in relazione alle caratteristiche delle varie regole monastiche sia i centri urbani che luoghi isolati e periferici. Un processo storico soggetto a continue variabili che si è espresso nel modo in cui, nelle varie epoche e società, si sono presentati nuovi bisogni e problemi sociali. La costruzione di strutture come ad esempio per San Bartolomeo di Spilamberto, interessò tanto le élites aristocratiche come moderna forma di affermazione sociale e politica, quanto li gruppi nella neonata “classe artigiana”. La laicizzazione degli istituti di assistenza, che trova le prime attestazione già nella 2 L'ospedale in età medievale fu principalmente un'istituzione dalle funzioni generiche e difficilmente definibili,
con una tendenza alla selezione più che alla specializzazione. In Occidente il termine ospedale era pressoché equivalente a quello di ospizio, di alloggio, e non indicava un'istituzione finalizzata alla cura di malati e feriti, come oggi viene inteso. La storia degli ospedali così come la storia dell’assistenza religiosa ospedaliera, superano di gran lunga gli orizzonti cronologici presi in esame in questa sede. E’ importante quindi, come storici prima di tutto, un uso ben ragionato dei termini che si ritrovano nelle fonti, contestualizzandoli. Così da evitare di proporre modelli teorici o concetti che si sono venuti ad affermare solo in età moderna. Una tradizione e un’esperienza, quella dell’assistenza, che, è appena il caso di ricordarlo, ha occupato un posto centrale nella cultura religiosa e sociale dall’Alto Medioevo in poi, e che è stata oggetto di elaborazione e rielaborazioni nel tempo dal forte valore politico e culturale. Nel XIV secolo per esempio negli elenchi delle Rationes decimarum, ritroviamo termini quali domus leprosorum, domus infectorum, hospitale pauperum, hospitale alamanorum. Alcune attribuzioni sono il risultato di una lunga fase di ricerca e di studio. Lo statuto dell'ospitale cittadino di S. Maria della Scala di Siena, nato intorno al sec. X e diventato una delle maggiori istituzioni ospitaliere europee del Medioevo, all'inizio del sec. XIV, ammetteva formalmente l’ingresso di tutti coloro che vi fossero portati, con la chiara esclusione di alcune categorie di malati, come i lebbrosi e i paralitici. In un documento del 16 gennaio 1346, relativo all'Ospedale della Misericordia in Ivrea, si legge: «si dà a ciascun infermo da mangiare secondo le possibilità della casa e, quando ciò non è possibile, si preparano loro dei buoni letti […] ai poveri non si dà il vitto tutti i giorni, perché, quando possono camminare, vanno a chiedere l'elemosina e alla sera tornano ai loro letti». In altri casi, in particolare per i contesti minori come San Bartolomeo a Spilamberto, la definizione recente di “Ospedale per pellegrini” a mio parere, può essere genericamente corretta quanto forviante nel momento in cui ne diventa una specifica in termini di funzione, in assenza di riscontri sicuri. Dal punto di vista archeologico (e antropologico) è poi estremamente difficile poter scrivere un vademecum, magari tascabile, contenente un prontuario di indicazioni relative alle varie forme degli ospedali in età medievale utile per una loro attribuzione. E. Nasalli Rocca,
Pievi ed ospedali, in Atti del primo Congresso italiano di storia ospitaliera, Reggio Emilia 1956, Reggio Emilia 1957,
pp. 493‐507; A. SIMILI, Sulla origine degli spedali, ivi, pp. 669‐681; A. Pazzini, L'ospedale nei secoli, Roma 1958; R. Zagnoni, 2004, Gli ospitali di San Giacomo di Pianoro e San Pietro di Livergnano sulla strada di Toscana nel
Medioevo in “Atti e memorie della Deputazione di storia patria per Province di Romagna”, LIV, pp. 133‐152; R. Zagnoni, L’elezione del rettore dell’ospitale di San Giacomo di Val Lamona (Fanano) nel 1344, in Noi altri. Storia, tradizione e ambiente della montagna bolognese e pistoiese, XLVII n. 2, 2016, pp. 259‐261. 3 È vastissima la bibliografia di fonti e studi sulle strutture ospedaliere medievali in generale e su alcuni contesti in particolare. Impossibile richiamarla in questa sede. È d’obbligo il riferimento allo studio di M. Gazzini, Ospedali nell’Italia medievale, in Rivista di Reti Medievali, Voll. 13, 1, 2012. Uno dei problema ancora più discussi riguarda
la mancata corrispondenza fra le attribuzioni registrate nelle fonti fra i vari tipi di ospedali e la ricerca archeologica. La voce Ospedale nell’Enciclopedia del dell’arte Medievale è ricca di sollecitazioni per chiunque si occupi di questo argomento.
tradizione benedettina altomedievale, interessò in particolare i secoli centrali del medioevo, quando sull’esempio del modello di San Benedetto nuovi ordini come quello Camaldolese4 quello Cistercense 5 o quello Certosino 6 , intrapresero un importante programma di ordinamento dei testi normativi che interessarono sia la gestione interna dei monasteri stessi sia le strutture a queste dipendenti. Una riforma che produsse in pochi anni un complessivo rinnovamento dell’istituti monastici sia nella gestione dell’amministrazione quotidiana delle strutture di ricovero, sia nelle scelta delle figure chiamate a coprire specifichi incarichi amministrativi. Come nel caso dei conversi e degli oblati. Uomini e donne che vissero la propria vocazione cristiana conservando il proprio status laicale, consacrandosi a Dio, ma senza abbracciare tutti i obblighi della Regola7. In primis quello dell’astinenza sessuale.
Sulle terre nonantolane, nella fascia fra pianura e passi appenninici, già dai secoli XI‐XII iniziarono a prendere forma e ad alternarsi importanti possessi in una rete capillare di strutture gerarchicamente e giuridicamente organizzare in abbazie, pievi, ospitali. L’ospitale di San Bartolomeo non fu costruito a caso lungo la direttrice che univa Modena con la Toscana, sottoposta al controllo dell’abbazia di Nonantola, alla quale facevano capo molti altri ospitali lungo la strata Francisca. Strutture che furono costruite a garanzia di confine e di entrata economica; che segnavano le tappe prestabilitile e obbligatorie del pellegrinaggio verso san Giacomo di Galizia o verso Roma e da qui la Terra Santa. Risale a Dante alla sua Vita Nova, scritta tra il 1293 ed il 1294, la classificazione per la verità un po’ scolastica dei vari tipi di pellegrini, «Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria; 4 U. Longo, Romualdo di Ravenna e le sue fondazioni, in L’abbazia di San Salvatore di Monte Acuto–Monte Corona nei secoli XI‐XVIII. Storia e arte, a cura di N. D’Acunto e M. Santanicchia, Perugia 2011, pp. 29‐42, con aggiornati riferimenti bibliografici; P. Foschi, Monasteri camaldolesi femminili in Emilia‐Romagna nel Medioevo (a cura di) C. Cécile e L. Pierluigi, in Camaldoli e l’ordine camaldolese dalle origini alla fine del xv secolo. Atti del I Convegno internazionale di studi in occasione del millenario di Camaldoli (1012‐2012), Monastero di Camaldoli, 2012, 31 maggio ‐ 2 giugno 5 I fondamenti della struttura giuridica del monachesimo cistercense sono esposti nella Charta caritatis, redatta sotto l'abate Stefano Harding e più volte modificata. Tra il 1152 e il 1165 la Charta caritatis ricevette almeno cinque approvazioni pontificie mediante cinque bolle aventi tutte il medesimo titolo, Sacrosanta Romana Ecclesia. La prima, di papa Eugenio III, venne promulgata il 1º agosto 1152; la seconda, di papa Anastasio IV, promulgata il 9 dicembre 1153; la terza, di papa Adriano IV, del 18 febbraio 1157; la quarta e la quinta, entrambe di papa Alessandro III, promulgate rispettivamente il 15 ottobre 1163 e il 5 ottobre 116, C. Stercal, Le origini
cisterciensi. Documenti, Jaca Book, Milano 2004.
6 R. Manselli, Certosini e cistercensi, in Il monachesimo e la riforma ecclesiastica (1049‐1122), in Atti della IV
Settimana Internazionale di Studio, Passo della Mendola, 23‐29 agosto 1968, Milano 1.
7 L'indeterminatezza degli incarichi loro attribuiti di volta in volta, i cui contenuti finivano per avvicinarli molto,
nei fatti, ai monaci incaricati dell'amministrazione, era diretta conseguenza della relativa confusione di ruoli e compiti degli officiali e della lentezza con cui la gerarchia abbaziale andava faticosamente strutturandosi. In coincidenza con il ritrarsi degli abati dalle funzioni di amministratori patrimoniali, divenute prerogativa propria dei cellerari, i semplici conversi finirono per perdere la funzione di intermediari tra le abbazie e il mondo laico, che pure avevano in molti casi rivestito. G. Penco, Storia del monachesimo in Italia: dalle origini alla fine del
Medioevo, Jaca Book, Milano, 2002; G. Merlo, Tra "vecchio" e "nuovo" monachesimo (metà XII–metà XIII secolo),
in "Studi storici", XXVIII, Roma, 1987, pp. 447‐469.
6. Ospitali benedettini in età basso medievale. San Bartolomeo a Spilimberto di Modena: storia, archeologia e salute
in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di Sa’ Iacopo o riede. E’ però da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio dell’Altisimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, la onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepoltura di Sa’ Iacopo fue la più lontana della sua patria che d’alcuno altro apostolo, chiamansi romei quanti vanno a Roma»8. Nel quotidiano, nella forma comune della lingua, era solito in verità un’anarchia lessicale, per cui si assegnava sia il titolo di Pellegrino sia il quello di Romeo a chiunque intraprendesse un viaggio verso i luoghi santi nell’Occidente europeo.
La via Francigena univa in un unico nome vari tronchi più antichi di età romana e longobarda con altri di età medievale, tratteggiando una realtà estremamente dilatata fatta di strade e percorsi alternativi usati per raggiungere sia i centri più importanti, come l’Abbazia di Nonantola9, sia ricoveri isolati intitolati a santi locali custodi di reliquie care alle forme della devozione popolare. Il percorso medievale da Modena verso la Toscana si doveva sviluppare, quasi certamente, scendendo lungo il versante occidentale del Panaro. La strada da Nonantola superato l’Ospedale di Santa Maria fuori le Mura10 e oltrepassato il Panaro in corrispondenza
8 M. Barbi (a cura di), Vita Nova di Dante Alighieri, Firenze, 1932, cap. LX; F. Corbara, Il fenomeno del
pellegrinaggio: storia ed evoluzione, in P. NOVARA (a cura), Peregrinatio ad loca Sancta. Testimonianze dei
pellegrini lungo i percorsi viari a sudest di Ravenna, 2000, pp. 9‐36.
9 R. Chellini, Note sulla viabilità medievale e le sue infrastrutture (ponti e ospitali) nel territorio fiorentino, S.
Patitucci Uggerri (a cura di), Archeologia del paesaggio medievale. Studi in memoria di Riccardo Francovich,
Quaderni di Archeologia Medievale, IX, Firenze, 2007, pp. 79‐104.
10 L’edificio fu fondato nel 1325 dalla Compagnia dei Battuti o dei Flagellanti che ottenne dall’abate di Nonantola
di poter costruire una casa fuori dalle mura dove poter accogliere poveri, infermi e pellegrini. G. Tiraboschi, Fig.1 La via Francigena. Il percorso principale da Pavia attraverso la provincia modenese e l’alta Tuscia.
Panaro in corrispondenza dell’ospitale di Sant’Ambrogio ‐fondato da Sant’Anselmo nell’VIII secolo‐11, proseguiva qui per Spilamberto e l’ospedale di San Bartolomeo12. Risaliva poi per l’Ospedale di San Salvatore di Garamolo13 per congiungersi con gli ospedali di Fanano e Val di Lamona e arrivare, superato il Passo della Calanca, a Pistoia14. Non dimentichiamo che Pistoia vantava e vanta tutt’ora una reliquia di San Giacomo. Alternativa più che valida per poveri e ammalati nell’impossibilità di raggiungere la Galizia. Altri centri importanti di pellegrinaggio sulla strada da e per Spilamberto, erano Prato con la reliquia della Sacra Cintola e, Lucca con il Volto Santo, l’immagine di Cristo crocefisso vestito di tunica e incoronato di spine.15 Tema quello della costruzione della rete stradale in età tardo medievale che condiziona profondamente la funzione delle strutture sul territorio. Tanto quelle monastiche sia quelle ospedaliere. Il contesto modenese e la via Francigena in particolare, la strada di Monte Bardone e il passo della Cisa, sono state durante il Medioevo una via di traffico importante e di scambi fra culture diverse, la cui costruzione con i suoi prolungamenti, cambiò profondamente l’antico sistema dei collegamenti tra la fascia costiera adriatica e il suo entroterra. Senza però interrompere mai la penetrazione di popoli dalla sponda adriatica. Come gli albanesi, che ritroviamo, a macchia di leopardo, specialmente nel centro e nel sud d’Italia, ma anche nella zona nord‐tirrenica e che andranno lentamente a integrarsi con le popolazioni “autoctone”. Elemento, quest’ultimo, che si è dimostrato importante per l’interpretazione dello antropologico sulla comunità dall’Ospedale di San Bartolomeo e sulla ricerca storica del popolamento del territorio dell’area di Spilamberto. Dizionario topografico‐storico degli Stati Estensi, I, Modena, 1824‐25, p. 174. D. Labate, 2013,” loco Castiglione
prope ospitale Spilamberti de supra”. Fonti archeologiche e documentarie a confronto: l’Ospitale di San Bartolomeo di Spilamberto, in D. Labate, M. Librenti (a cura di), L’ospitale di San Bartolomeo di Spilamberto (MO).
Archeologia, storia, antropologia di un insediamento medievale, ed. All’insegna del giglio, Firenze, 2013, pp. 17‐
22.
11 G. M. Sperandini, La domus dei Templari al ponte Sant’Ambrogio, in Pagani e Cristiani, IX, ed. Beccari,
Catelfranco Emilia, 2010, pp. 145‐157.
12 Titolatura credo non casuale. San Bartolomeo a motivo del suo martirio, scuoiato vivo, è considerato patrono
dei dermatologi e pregato contro le malattie della pelle e le eruzioni cutanee, le infiammazioni e la psoriasi. D. Labate, M. Librenti (a cura di), L’ospitale di San Bartolomeo di Spilamberto, cit.; D. Labate, 2010, Archeologia del
pellegrinaggio: il ritrovamento di tue tombe di pellegrini nell’Ospitale medievale di Spilamberto (MO) e altre testimonianze di signa peregrinationis dal Modenese, in Compostella. Rivista del Centro Italiano di studi Compostellani n. 31, pp. 40‐45;
13 D. Labate, M. Librenti (a cura di), L’ospitale di San Bartolomeo di Spilamberto, cit., p. 19.
14 G. Bottazzi, Le comunicazioni antiche fra il Modenese e la Toscana in età romana e nel Medioevo, in La viabilità
appenninica dall’Età Antica ad oggi, Atti delle giornate di Studio (Porretta Terme, 12 luglio, 2, 8, 18 agosto, 13
settembre 1997), P. Foschi, E. Penoncini, R. Zagnoni (a cura di), Pistoia, 1998, p. 66 ss; T. Mannoni, La Via
Francigena, cultura materiale ed economia, in La Via Francigena. Itinerario culturale del Consiglio d'Europa, "Atti
del Seminario, Torino 1994", Torino 1994, pp. 24‐31;
15 P. FOSCHI, Il Medioevo. Le orme dei pellegrini, in L’Europa e Roma nelle terre Padane e Adriatiche: le vie del
Giubilieo, W. BARICCHI (a cura di), ed. Arti Grafiche Amilcare Pizzi S.p.A., Cinisello Balsamo, 1999, 127‐146.
6. Ospitali benedettini in età basso medievale. San Bartolomeo a Spilimberto di Modena: storia, archeologia e salute
1. Introduzione
Il sito di San Bartolomeo a Spilamberto di Modena è stato oggetto di una serie di campagne archeologiche coordinate dalla S.A.B.A.P.‐ MO (ex Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia Romagna), realizzate nel corso del 2008.
Lo scavo è uno dei pochissimi casi di hospitali medievali indagati in estensione. Un cantiere che ha visto la sperimentazione di metodi diagnostici non nuovi, ma ancora poco presenti nelle operazioni di recupero e di indagine ‐ne è un esempio fra i pochi editi in Italia lo studio antropologico sulle sepolture scavate‐16. Oltre a
essere stato occasione anche in questi ultimi anni per la formazione di ricercatori universitari che hanno scelto nuclei tematici legati al sito di scavo, per farne oggetto di tesi di studio o pubblicazioni di ricerca.
Tuttavia non sono sufficienti queste scelte metodologiche adottate per inquadrare questa esperienza come conclusiva sul piano della ricerca. E’ importante anzi considerare in progetti futuri le funzioni e le connessioni di questa categoria di complessi insediativi con gli sviluppi del popolamento nei secoli centrali e del tardo medioevo, nei rapporti con le risorse del territorio e nel confronto con il dato archeologico rispetto a altri contesti similari. L’altro punto, più circoscritto al contesto dell’Ospitale di san Bartolomeo, è rivolto a analizzare i meccanismi che sono stati alla
base dell’organizzazione di questa realtà. E’ importante spiegare le relazioni esistenti tra spazio e funzioni, mettendo in luce le connotazioni sociali, culturali e economiche dell’ospedale e della chiesa omonima, con le forme del pellegrinaggio e della storia. Un approccio, quest’ultimo, utile per poter ricostruire la vita quotidiana delle persone che hanno vissuto nel tempo in questi luoghi.
La revisione del lavoro di tesi proposta in questa sede è stata l’occasione per confrontare e discutere i dati antropologici, demografici e paleopatologici registrati durante
16 Il presente lavoro è parte della tesi in Antropologia fisica e paleobiologia sperimentale applicata,
nell’insegnamento di Archeologia cristiana e medievale dell’Università Cà Foscari di Venezia, relatore Prof. S. Gelichi. Lo studio paleo biologico sulle sepolture ritrovate in sito è stato condotto in co‐cooperazione con il laboratorio di antropologia fisica Archeo LAB di Venezia e i Laboratori di Antropologia Fisica e del DNA antico di Ravenna, dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, in collaborazione con l’Università di Modena e ReggioDepartment of Chemical and Geological Sciences e Italian Paleopathology Project. Per la consultazione sullo studio completo, vedi https://independent.academia.edu/SimoneBiondi4
le indagini di laboratorio, con la documentazione storico‐archeologica, medica e archivistica curata dai colleghi. Lavoro che si è recentemente ampliato grazie sia ai risultati dell’analisi isotopica sulla provenienza dei “pellegrini” di S. Bartolomeo17, sia in relazione alle nuove