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Appunti per disegnare una mappa del consenso a re Arduino

OSPITALE DI SAN BARTOLOMEO ‐ 2008

25 BENENTE 2008; BULGARELLI, GARDINI, MELLI 2001.

26 Per Vercelli VARETTO, PORTIGLIATTI-BARBOSO, TORRE 1984, p. 220-221; per Siena BEDINI, VALASSINA 1991. 6. Ospitali benedettini in età basso medievale. San Bartolomeo a Spilimberto di Modena: storia, archeologia e salute

ancora fortemente influenzate dall’ambito rurale 27. In ambito piemontese risaltano poi i corredi di oggetti per

il servizio fortemente connotati dal punto di vista morfologico e qualitativo e dalla notevole scarsità di vetro

28.

Se per un attimo rivolgiamo la nostra attenzione al più tradizionale dei rinvenimenti, e cioè ai contesti ceramici provenienti da alcuni di questi siti, possiamo intuire come la situazione delle restituzioni si presenti altamente diversificata. Le analisi di dettaglio dei materiali vercellesi hanno permesso di identificare nuclei di materiali specificamente prodotti per l’istituto sulla base della morfologia e della densità dei cluster, ma privi di segni di committenza riconoscibili. Nel caso senese, invece, i contesti ceramici paiono invece molto più caratterizzati di quelli vercellesi, con una maggiore quantità di forme e diffuse sigle dell’istituto sui pezzi 29.

Ancora diversa è la situazione del conservatorio romano di Santa Caterina della Rosa, dove le restituzioni ceramiche appaiono confrontabili con quelle degli ordini mendicanti femminili vista la fittissima serie di graffiti sui frammenti e dove il tenore sociale appare notevole almeno alla luce del consumo elitario di oggetti, non solo ceramici ma anche suntuari e ludici 30. Già ad un livello di analisi abbastanza superficiale, quindi,

vorremmo osservare che la definizione di istituzioni destinate all’assistenza non individua automaticamente alcun record prevedibile dal punto di vista della cultura materiale, e non certo perchè segnata dalla genericità, quanto piuttosto per una somma di specificità che accostano i contesti ad un ventaglio di esempi di insediamenti religiosi e comunitari molto diversificati. Si tratta di comportamenti assimilabili a quelli monastici, in alcuni casi, in altri contrassegnati da scelte strettamente funzionali.

Tutti elementi che, assommati, sembrano rappresentare chiari indicatori della natura specifica di simili contesti. In un simile panorama vorremmo segnalare almeno un caso piuttosto significativo, rappresentato dal contesto dell’ospedale della Misericordia di Rimini, fondato o rifondato nel 1368 per la Confraternita della Beata Vergine e trasformato in ospedale centralizzato della città nel 1486 da Galeotto Malatesta 31. I pochi

dati disponibili sulle strutture in alzato, prima del recente stravolgimento, lasciano intuire un complesso di concezione ancora tipicamente medievale, frutto di una serie di accorpamenti di edifici, in buona parte, forse, per nulla specifici. La struttura originaria appare leggibile nel lungo fabbricato a fianco dell’edificio religioso, sul modello di altri complessi tardomedievali 32. Interessanti, poi, appaiono alcuni elementi di differenziazione

su base censuale implicita nell’organizzazione del complesso, con la realizzazione degli ambienti destinati ai

ben nati 33. Il personale laico e religioso che risiedeva nella struttura era di numero modesto e, ovviamente,

viveva in ambienti distinti, così come le sepolture nei casi di morte dei pazienti avvenivano in un camposanto separato da quello dei religiosi.

Lo scavo ha portato in luce un contesto di ceramiche in uso presso l’istituto, chiaramente contraddistinto in due gruppi dal punto di vista iconografico: il primo composto da un nucleo di oggetti commissionati ai ceramisti con i simboli dell’ospedale, la M coronata, un’altro, più numeroso, rappresentato da materiali di mercato, alcuni decorati con improbabili araldiche. Poichè sulla base delle poche notizie disponibili riguardo alla gestione dell’istituto sappiamo che il funzionamento interno era organizzato sulla base di una compresenza di personale religioso e laico, si tratta di un dato che giustifica intrinsecamente la natura della restituzione. Pone infatti in luce una certa contiguità tra le pratiche di acquisizione dei materiali in uso nei monasteri ed in alcuni ospedali, contraddistinte dalla acquisizione di servizi comunitari siglati con gli emblemi dell’istituto 34. Ma l’aspetto più rilevante dell’intero contesto è costituito dalla presenza di un consistente

nucleo di oggetti, piatti, scodelle, ciotole e boccali, scartati in prima cottura ma privi di evidenti difetti che li rendano inutilizzabili. Si tratta evidentemente di una acquisizione, forse di una donazione, notevole per il basso tenore sociale che implica, un fatto abbastanza eccezionale nel quadro dei contesti d’uso noti ma che trova un confronto piuttosto pertinente anche a Vercelli. In S. Andrea, infatti, sono ricordati materiali di seconda scelta, che vengono interpretati come il frutto di una circolazione di prodotti a basso costo destinata ai ceti sociali minori 35. Le condizioni del rinvenimento riminese sembrano concordare in pieno con questo

tipo di interpretazione, in quanto tutti i pezzi sono nelle stesse condizioni, senza segni di danno rilevante e nessuna traccia di rivestimento malcotto.

Come primo risultato di questa analisi, dobbiamo quindi dedurre che l’indagine archeologica è costretta a misurarsi con uno spettro di variabili che, al di là della definizione genericamente sociale di questi organismi, tendono ad assimilare le restituzioni di questi complessi sulla base dell’organizzazione che li contraddistingue intrinsecamente. I modelli forzosi di vita comunitaria, come i conservatori, debordando dalla condotta delle istituzioni monastiche femminili, sembrano produrre segni diffusi di volontà di proprietà e

27 D’ERRICO, GIACOBINI, VILETTE 1984, p. 213. 28 PANTO’ et alii 1984, pp. 176-177.

29 MILANESE 1991, Fig. D a p. 334.

30 Si vedano dall’immondezzaio dell’amb. 63 le produzioni di pregio in MANACORDA 1984. 31 L’edizione dello scavo è in CARTOCETI, DE CAROLIS 2003.

32 Ci riferiamo a complessi ospedalieri consistenti in lunghi ambienti contigui alla chiesa, come nel caso di S. Maria Nuova a Firenze.

33 IBIDEM, p. 29.

34 Il fenomeno era già stato segnalato in GELICHI, LIBRENTI 2001, p. 22.

tracce di benessere come risultato dei consumi interni 36. L’organizzazione prettamente sanitaria dello spazio

ospedaliero, invece, sembra manifestarsi in committenze di tipo monastico maschile 37 oppure in servizi

funzionali e nuclei coerenti di tipologie.

Trasferire l’attenzione dai materiali mobili all’ambito strutturale costituisce un problema i cui caratteri esulano dalle caratteristiche del contesto. L’assenza di un numero significativo di scavi, in effetti, risulta fondamentale per la comprensione delle trasformazioni dal punto di vista strutturale ma la situazione stessa degli edifici attuali rappresenta in genere un palinsesto complesso, prodotto da una serie di stratificazioni murarie che coprono un ampio arco cronologico. Da questo punto di vista, ci pare esemplare il caso di alcuni ospedali toscani che le indagini ci documentano come complessi formatisi in un arco cronologico piuttosto lungo a partire dal tardo medioevo. Notissimo quello senese di S. Maria della Scala, aggregato di ambienti di varie epoche sul quale molto è già stato scritto 38, anche dal punto di vista degli alzati. Di notevole rilievo, in

questa prospettiva, ci pare l’evoluzione dell’ospedale fiorentino di S. Maria Nuova, un complesso fortemente articolato ed attualmente contraddistinto da un andamento cruciforme 39; l’analisi del suo sviluppo, però, ha

rivelato una trasformazione veramente importante dei nuclei strutturali e della loro funzione tra XIV e XV secolo, con mutamenti drastici e continui della planimetria del sito. L’andamento cruciforme, in effetti, è il risultato di una serie di integrazioni a completamento dell’iniziale ambiente allungato connesso alla chiesa di S. Egidio che rappresentava il nucleo religioso di riferimento per la fondazione privata. Si tratta quindi di un esempio sostanzialmente intermedio tra quelli che sono modelli che mantengono una planimetria sostanzialmente di modello medievale e le strutture cruciformi rinascimentali impiantate ex novo.

In effetti, lo sviluppo di questi istituti non segue traiettorie omogenee ed i casi di maggiore impatto architettonico, quelli impostati su di un progetto di matrice filaretiana, rappresentano frequentemente una eccezione in un panorama fortemente conservatore. Il caso vercellese, incentrato sulla grande struttura di S. Andrea, già definita nosocomio alla metà del sec. XIII, costituisce un caso rilevante, in quanto ospedale di grande valenza urbana che non evolverà mai, però, in una struttura completamente nuova come quelle cruciformi 40. A Vicenza, le analisi del patrimonio edilizio urbano hanno permesso di rilevare uno sviluppo per

contiguità del complesso che giunge a disporre, attraverso una serie articolata di fabbricati funzionali, le dimensioni di un grandissimo isolato urbano.

Se strutture come l’ospedale di Milano costituiscono certo casi esemplari di razionalizzazione, ma anche il prodotto di una scelta ideologicamente connotata, in molte aree urbane le realtà strutturali dell’assistenza sanitaria restano ancorate ad un’edilizia ben poco connotata.

Dal punto di vista architettonico, anche i lazzaretti sembrano rappresentare una delle novità dell’aspetto materiale dell’assistenza, in quanto contemplano tanto una disposizione decentrata quanto una scelta progettuale ben definita 41. I lazzaretti inaugurano probabilmente una parallela fase della coscienza sanitaria

in Europa, dove il dilagare di malattie infettive dovute alla circolazione, in particolare commerciale, si concretizza in nuove forme di difesa sanitaria, dapprima ignote per dimensioni e caratteristiche. Si tratta dei grandi complessi, sia quelli posti all’accesso delle città portuali 42, sia quelli decentrati sulla rete viaria o

idrica nei pressi delle città con funzioni di lebbrosari 43. Il maggiore istituto moderno è probabilmente quello

veneziano che sappiamo inizialmente ad impianto quadrilatero: essenzialmente era costituito da un muro di cinta con addossate delle abitazioni autonome e indipendenti, fornite di ingresso, focolare, servizi autonomi, funzionali alla politica di isolamento e prevenzione. Ben presto dovette assumere l’aspetto di un grande mercato, anche se in realtà al suo interno erano proibiti commerci e contrattazioni: Questo spazio era frazionato ulteriormente in vari settori, per poter rispettare i tempi diversi delle quarantene. Il caso di Venezia è certamente il più emblematico tra quelli preposti al filtro navale di uomini e merci, ma non è da meno il caso milanese, la cui costruzione integra quella dell’ospedale maggiore. La zona, prescelta è fuori Porta Orientale, presso San Gregorio, ritenuta idonea dalla commissione sanitaria. Realizzato attorno all’ultimo venticinquennio del Quattrocento era costituito da una grande struttura quadrata della disponibilità di quasi trecento camere di una ventina di metri quadrati ciascuna, destinate prevalentemente agli infermi, mentre al centro era una chiesa.

Le specificità sin qui osservate, anche se certamente emblematiche di una nuova relazione funzionale tra sanità ed edilizia, non rappresentano però un dato sufficiente per affrontare la questione. Data quasi per scontata l’assenza di sensibilità archeologica su simili problemi, un’assenza che ha finito per relegare gran parte delle informazioni su questi contesti in un limbo di comprensibilità dovuto alla inadeguata

36 GELICHI, LIBRENTI 1998, pp. 136-138; GELICHI, LIBRENTI 2001, pp. 21-22. 37 GELICHI, LIBRENTI 1998, p. 92 e Fig. 47-48.

38 Mancano comunque indicazioni chiare di sviluppo planimetrico del complesso: BOLDRINI E., PARENTI R. 1991. 39 HENDERSON 1997, pp. 27-32. L’autore riporta la lettura evolutiva di Patrick Sweeney.

40 PANTO’ 1984, p. 138. 41 LAZZARETTI 2004.

42 Si veda la panoramica dei complessi di contumacia mediterranei in Lazzaretti 2004.

43 Di particolare interesse, rispetto alla questione, ci paiono le notizie sui lebbrosari stradali intitolati a San Lazzaro riportate in FERLINI 1993, che comprendono la peculiarità della ritualità e dell’organizzazione finalizzata al contenimento del contagio.

6. Ospitali benedettini in età basso medievale. San Bartolomeo a Spilimberto di Modena: storia, archeologia e salute

caratterizzazione della ricerca, vorremmo però rilevare che, non necessariamente, l’assenza di informazioni archeologiche costringa a deviare completamente dall’obiettivo. La natura della questione, a tutti gli effetti, non riguarda affatto le sole strutture di assistenza, quanto il rapporto dell’archeologia con la massa di dati di ogni genere che i secoli moderni ci restituiscono. Da questo punto di vista non vi è probabilmente settore di lavoro, se non limitato ad alcuni aspetti della cultura materiale, che possa vantare una quantità appena sufficiente di informazioni. Si è cercato, quindi, di trasferire il piano della ricerca a contesti archivistici, con la tranquillità di poter ritenere qualunque fonte prodotta un documento della cultura materiale in grado di fornire risultati ad una elaborazione. In particolare, si è tentato di applicare modelli di indagine di genere e dimensione sociale alla documentazione disponibile. In particolare sfruttando lavori come quelli sui matrix degli accessi e della funzione degli ambienti 44.

Un caso che ci pare degno di interesse, al riguardo, è quello fornito dall’ospedale di Parma, indagato essenzialmente sulla base della cartografia disponibile, piuttosto tarda. Si tratta di un complesso ormai pesantemente trasformato, fondato da Rodolfo Tanzi, cavaliere, agli inizi del XIII secolo, del quale non disponiamo di dati di natura archeologica neppure in relazione all’alzato, ma dotato di una documentazione archivistica considerevole 45..

Un inventario redatto nel XIV secolo ci restituisce in parte l’organizzazione, ormai perduta, della struttura ospedaliera tardomedievale, o meglio, ci dà nozione di come essa dovesse essere percepita nell’articolazione gerarchica dei vari ambienti che la componevano. Dopo la chiesa, dotata di un piccolo cimitero, collegata al complesso ospedaliero, veniva descritto l’Hospitale Magno, la parte più rilevante dell’intero complesso, destinata ad accogliere pellegrini ed infermi, al cui piano terreno era la Domus Magna, destinata al soggiorno di quanti risiedevano stabilmente presso l’ospedale, con ambienti di servizio, cioè forno, cucina, e due refettori, uno per i famuli e uno per i fratres; a quello superiore si trovava l’austero dormitorio maschile, mentre la vicina camera del rettore era fortemente connotata da elementi di rappresentanza e di ostentazione. Le stalle ed il dormitorio per i famuli erano ospitati da strutture lignee adiacenti all’Hospitale Magno. Nel XIV secolo, dunque, l’ospedale era costituito da una gruppo di edifici fortemente gerarchizzato negli spazi e nella tipologia edilizia; oltre che negli aspetti di genere. Già al termine del XV secolo, soprattutto a causa delle nuove necessità che l’ospedale si era trovato a fronteggiare, si era avvertita la necessità di riorganizzare in maniera più coerente gli edifici che lo ospitavano. Il complesso si sviluppava tipicamente intorno ad una grande crociera che fungeva da infermeria, con chiostri interni ed orti, e venne concepito come unitario dal punto i vista architettonico, ma già predisposto per ospitare due enti che soddisfacevano esigenze differenti e amministrativamente autonomi. Tale distinzione si rifletteva nell’articolazione degli ambienti, speculare e asimmetrica allo stesso tempo, che garantiva una separazione anche fisica dei due settori, dotati persino di accessi differenti. Gli ambienti sembrano assumere in questa nuova fase un grado di specializzazione molto elevato che una articolazione la cui complessità riflette il grado di autonomia (e isolamento) di chi lo utilizza. Gli spazi riservati a chi gestisce l’organizzazione dell’ente, come padri cappuccini e priori, sono inoltre separati da quelli riservati a coloro che prestano servizi materiali ed anche la comunità degli infermi risulta “isolata” all’interno della crociera, su cui si affaccia anche un piccolo oratorio a loro destinato”. L’unico vero e proprio ambiente “pubblico”, aperto a tutti, era il portico, un elemento edilizio che accomuna numerosissimi complessi assistenziali in tutto il Nord Italia almeno. Vorremmo ricordare, infine, l’interesse che suscitano i tentativi di estendere la dimensione della specifica sfera medica all’ambito capillare delle strutture sociali, della mentalità e di gender 46, con l’obiettivo di

esaminare la ricaduta delle conoscenze e delle pratiche curative al di fuori dell’ambito strettamente ospedaliero. Le trasformazioni stesse delle metodologie di lavoro possono aprire squarci interessanti: la

gender archaeology 47 e la lettura sociale dei contesti, ad esempio, trovano applicazioni interessanti per la

loro puntualità sulla base dei risultati delle fonti archeologiche postmedievali non meno che per i secoli precedenti. Citando Mattew Johnson “spatial ordering goes hand to hand with the ordering of society and of

material culture” 48. Tra l’altro, possiamo notare come anche le analisi sui complessi di assistenza paiono

connaturate fisiologicamente ad una percezione di principio ai problemi della gerarchia sociale non meno che della dimensione individuale che contrassegna gli ambienti, sebbene la questione sia sovente tradotta a puro livello di organizzazione funzionale 49. Ad altra scala dimensionale, poi, la struttura urbana diviene il

palinsesto di una complessità di iniziative funzionali alla dimensione sociale che incide sullo spazio costruito in modo rilevante.

44 Rimandiamo alla bibliografia iniziale in RICHARDSON 2003. 45 MOINE 2013.